A R A C N E A

A R A C N E A
Ogni creata cosa vede il fine
Salvo la mente ch’è cieca ed avara
E volta verso il dio le flesse rine,
Che quanto più possiede più desia
Partendosi dal ben la vita amara,
E si smarrisce la diritta via.
(Cecco d’Ascoli)
Turannyda, la Possessora Egemone, di nascita incestuosa, figlia di mamma Democrazia e del padre di costei Mercantone il Fenicio, ideatore e iniziatore dei mercanteggiamenti e dei traffici; Turannyda, di costui figlia e nipote, convocò tutto l’alto Accolitato e dette questa disposizione: “È data facoltà ai soggetti tutti, maschi, femmine e trans, per tre giorni consecutivi dall’alba di domani, di uscire dalle loro case, passeggiare per i viali delle città con la proibizione di formar assembramenti, gruppi o capannelli. È data anche facoltà di provvedere alle provviste alimentari e alle altre spese necessarie, evitando di provocare affollamenti; di visitare i luoghi di culto, le case di riposo per anziani, le biblioteche e i musei, sempre evitando gli assembramenti. Al tramonto del terzo giorno i soggetti tutti, senza indugi, dovranno rientrare nelle loro dimore.”
E allo scadere del terzo giorno dall’alto Accolitato fu anche diramato l’ordine, tramite i servo-robotici, allo S M E (Secret Medical Service) di riportare ARACNEA, cioè l’intera globalizzazione, nella morsa della pandemia.
ARACNEA, cioè il Globo Ragnatela, era stata così nomata dai Filantropi Massimi, l’alto Accolitato, di cui Turannyda, la Egemone, quella che tutto possiede, detta la Grande Figlia della Democrazia, era il Primus inter pares; i Pari, cioè gli ineguagliabili signori della dovizia; i Divi che (qui ut deus nihil indigere videtur) non mancano di nulla . . . infatti posseggono tutto il mondo, racchiuso in una ragna . . .
ARACNEA . . . la grossa Ragna . . . ben tessuta e . . . velenosa!
ARACNEA . . . l’USURA . . .
Embè? Embè . . . i Filantropi Massimi scommisero, e la vinsero, che la santa Usura si sarebbe massime rimpinguata con lo sfruttamento delle pandemie! Bastava semplicemente tener buona la folla dei ciuchi con lo spauracchio del bau bau . . . e il dolcigno di qualche bieta-rapa . . . e anche tanto sopore . . . tanto sopore tivvudico . . . il narcotico assopimento tivvudico! Per i ribelli, poi – e quando ci vuole, ci vuole! – anche il bastone; macché manganello, quella incivile usanza fascista! . . . una educativa invece e cospicua multa, pingue e salata, pingue e salata . . .
ARACNEA, il grande Continente, il Globo terraqueo intero e la Luna e il congiunto Sistema solare; qual dovizia! e tutto sotto il controllo dell’alto Accolitato, nel quale erano arcignamente assisi i Filantropi Massimi! Grandi benefattori, avevano persino eliminato il pericolo d’una guerra nucleare, quell’incubo principe l’avevano relegato in cantina, cioè nei fondi recessi del subconscio collettivo, e mantenevano il mondo, con tutti i crismi, in una sbilanciata perfezione, con una popolazione contenuta e giovanile, di continuo svecchiata, cioè controllata e frenata mediante un malthusianismo aggiornato: l’umanesimo malthusiano, accademicamente definito malthusianesimo virologico, ovvero spopolamento pianificato secondo ragione. Il relativo Ministero era nelle mani d’un fidatissimo Accolite nominato direttamente dall’Altissimo Venerabile, l’Ente Sommo non divulgabile.
ARACNEA e . . . Aracneea, la florida Capitale, abitata da Turannyda, la figlia dell’incesto, la Possessora e Vicaria Egemone dell’Altissimo Venerabile, nell’immenso palazzo detto il Gran Tabernacolo della Banca Universale e della profittabile Finanza, e dai ventiquattro membri dell’Alto Accolitato con le loro dominanti famiglie. Vi era inoltre il palazzo dello S M E (Secret Medical Service) con i medici, gli infermieri e tutti gli altri servo-robotici, gendarmeria e genio spionistico compreso.
Nell’intero continente non vi erano carceri, tutta la grossa criminalità era stata scarcerata. Per risolvere nel benessere il crimine, per riscattarne la sostanza e i benefici, se n’erano assunto il peso sulle loro amplissime spalle, sia l’Altissimo Venerabile, l’Ente sommo non divulgabile, Dominatore e Signore del benessere e del malessere, che l’intero suo Alto Accolitato. La dottrina di questi Aracnidisti recita, infatti, che quando il crimine raggiunge le vette diviene una sola cosa con il benessere generale. The high criminal = the high benefactor (posto in anglo-yankee, il concetto è più chiaro e facilmente afferrabile); persino quel meschinello di Calvino, servo comunque del sommo Ente, lo aveva predicato: “Solo i ricchi, i più doviziosi, raggiungono il regno dei cieli.” Il che, fuor di metafora, vuol dire ch’essi soltanto detengono il dominio assoluto del mondo.
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“E come vivono, e quanti sono gli abitanti di Aracnea?” Chiesero alcuni; s’era in uno sperso villaggio d’un perduto luogo del gelido Antartide tra i pochi superstiti d’una ondata epidemica. “Cosa volete che vi dica! Immaginatelo voi e ciascuno a suo modo! Banda di ciuchini impinguiti!” Rispose Bufo, il ribelle, e scappò via per evitare la gelida, pungente sassaiola. Ansante, sostò per placare il fiatone e s’avvide di trovarsi solo tra i ghiacci e centinaia e centinaia di pinguini. Avvertì una vaga ma incisiva sensazione, come un atteso smarrirsi, e l’improvviso, vasto e incredibile canto di quelle schiere di sfeniscidi gli portò l’eco lontana e pur costernante d’una inabissata Atlantide.
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E qui ci vien da porre al nostro lettore una domanda un po’ particolare. Ti saresti mai aspettato che lo scorso anno duemila e diciannove si sarebbe, sul suo finire, infiltrato nell’anno in corso, l’anno duro, sotto la specie del Covid19? Certo, la risposta dipenderà dal ricordo di quanto vissuto nel corso di quell’anno, un vissuto lieto ovvero triste, un vissuto per te significante ovvero ordinario, banale et cetera. Ma, se un po’ più o un po’ meno, per tutti noi una sgradevole sorpresa indubbiamente è stata questa insidia epidemica trasfusa dall’anno morente nell’anno nuovo che tutti si auguravano felice e si apprestavano a vivere con entusiasmo.
Or bene, riflettiamo! Gli anni trascorrono regolarmente con le loro stagioni, le loro giornate di sole e le loro giornate di pioggia, le albe e i tramonti, i diurni cieli splendenti e i firmamenti sfavillanti nelle notti d’astri lucenti. Gli anni! anuli, anelli, in tal forma restano impressi nei tronchi degli alberi a segnarne l’età; e uguale cosa avviene dentro di noi, silenziosi vi s’imprimono a suggello della giustezza d’un computo, che prima o poi s’ha da fare. E restano fissi là, ma forse non in quiete come nei tronchi arborei. È l’uomo quindi che muove l’anno, tutti gli anni che vive; è l’uomo che illustra gli anni coi fatti, con racconti e imprese e tante storielle; è l’uomo che tesse i suoi anni. C’è il tessitore saggio, cosciente, e quello poco consapevole; c’è il tessitore attento e il tessitore distratto, il tessitore sveglio e quello torpido, pigro. L’anno è solo un anello ch’è simile a un altro e a un altro ancora. L’uomo segna l’anno sul calendario; lui, l’uomo, è il responsabile di tutto quel che accade nel corso degli anni. Mentre l’anno 2019 spirava tra bengala, razzi, girandole e mortaretti, un uomo di scienza (è così che si dice?) segnava sul calendario: Covid19, e infilava la pandemia nel nascente anno, questo corrente anno duemila e venti. Chi dunque il responsabile? Una mente disattenta, una mente troppo affaticata, una mente pigra e poco consapevole? Davvero una mente sbrigativa? Forse poco timorata o addirittura spregiudicata? Quale si sia, sappiamo che il responsabile c’è. Eppoi, la reità comunitaria, la dissennatezza collettiva, l’inerzia, la pavidità popolare, l’indifferenza verso il publicum bonum, la PUBLICA SALUS; e, ancora, la gravemente disattesa CIVITATIUM SALUS, cioè la salvezza degli Stati, nonostante si faccia tanto parlare in giro di sovranismo.
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Cosa è accaduto, dunque? Accade . . . sì, proprio così, che un mattino ci svegliamo e ci dicono che è venuto a dimorare qui, in mezzo a noi, o addirittura a star di casa in noi il Covid19 . . . Embè? - “Ohé, cacchio! Si tratta di un’epidemia!” - Ci sgridano, e con duro cipiglio. Ci tocca abbozzare, portar pazienza. Il timore è che ci toccherà subire lo stillicidio di mille arbitri e balzelli. Poi comincia la conta dei morti . . . Turannyda, la figlia dell’incesto demo-mercantesco, senza tregua, da mane a sera e giorno e notte, scompagina, scompagina, scombina, mette in marcia tutto il sistema e l’apparato tivvudico e ne vien fuori un gran cianfrugliare, o piuttosto una messinscena farsesca sul morbo pandemico. Dei discorsi sull’epidemia non si capisce niente, i virologi litigano, quelli seri e competenti sono i meno ascoltati; i medici lamentano le carenze ospedaliere, i governanti sono dei vanitosi cacasotto e mancano di competenza persino in materia politica, per cui combinano disastri; i parlamentari seggono in aula sulle loro poltrone con la mascherina: buffo, ma effettivamente emblematico, sembra che il morbo in maniera intelligente abbia imposto loro la museruola: bando alle chiacchiere inutili! Bene, era l’ora! La polizia è costretta a far rispettare disposizioni insensate, ingiuste, mentre si scarcerano i boss. Fioccano le contravvenzioni. La gente, ristretta nelle proprie stanze sotto le bocche da fuoco tivvudiche, si sporge dalle finestrelle, s’affaccia ai balconcini, e sfoga il malumore cantando fuori tono. Tra ordini e contrordini, continua la conta dei morti . . . o amabili vecchi, senza un addio! Questo pretendono, che dimentichiate i nonni e l’epoca loro; che defediate la vostra memoria. E Turannyda, la figlia dell’incesto, senza tregua prosegue sfrontata nel piano di scompaginamento . . . e di ché? Cosa resta ancora da scompaginare?
Or, se prendiamo a scorrere questi fogli d'un testo irrimediabilmente scompaginato, ci accorgiamo che davvero un bel mattino la gente saltando fuor dal letto, senza forse neanche prontamente accorgersene, s’è trovata in un mondo covideolescamente scompaginato, incoerente, franoso . . . Ohè! davvero gli uomini s’accingevano a sperimentare un anno, azzardato, inconseguente, covideolesco? a trascorrere mesi covideoleschi? a fronteggiare o a schivare rischi covideoleschi? a campare o ad andarsene secondo una moda recentissima, covideolesca?
Ohilà, la primavera! Trascorre lieta, con i verzieri fioriti, con i viridi campi e i poggi che son rinverditi di arbusti e dei rami spinosi dell’ossiacanta. Ohilà, soave primavera, con il tuo sole benefico e le tue blande pioggerelle tanto gradite; il ciliegio le attende e il susino e il pesco e il solco, ove già verdeggia il tritico. Tu, fertile e giuliva trascorri, quasi dimenticata dalle genti afflitte da questo soffocante straniovere; e senza enfasi, covideolesco vere.
Covideolesco! Ha forse a che fare con il Covid19? Sì con l’acronimo, ma poco, e quasi nulla, con le pauvre virus, ce pauvret, quella briccica submicroscopica, nociva e cattivella quanto volete, ma ch’è eccessivo definire pestifera, quella che porta a spasso la peste. Covideolesco, è invece un termine, una voce d’uso estensivo, che globalmente include tutto l’insieme di un apparentemente innocua ricerca mercantile, il viral marketing (pubblicità contagiosa), e anche un cumulo di virulenze, violenze, aggressività ideologiche, politiche, finanziarie, commerciali et cetera, nonché, e a bella posta, persino un mucchio di stupidità ed erroneità stratosferiche, falsità, astrusaggini, pigrizie, viltà e banalità; il tutto, poi, guatato da un occhio maligno, visualizzatore perfidioso, e manipolato e diretto da un’astuzia demoniaca, diavolesca, che cattura l’animo e la mente umana e li asservisce, sia individualmente, disfacendo l’individualità umana, che collettivamente, annientando i popoli, le nazioni.
Nel dominio di Aracnea, la nostra penisola è uno degli epicentri scelti per questa sperimentazione covideolesca, sia per l’apatia del popolo, tra l’altro profondamente diviso, sia per l’inettitudine della classe dirigente (inesistente) che esprime appunto larvali governicchi, asserviti all’alto Accolitato della santa Finanza mondialista dei Filantropi Massimi; covideoleschi governicchi rappresentati da invertebrati politichini, anch’essi sproporzionatamente servili e covideoleschi. Questo esperimento è, perciò, già in via di esaurirsi, perché fallito in partenza. La spiritualità italica, la cultura italica, sono l’ossigeno del mondo; il giure di Roma e la sua ritualità, la fiamma di Vesta, sono il battito del cuore dell’universa terra, palpito d’eterno amore. Un solido cribro passerà al vaglio dell’origine spirituale la stirpe, rifiuterà gli asserviti, rigetterà la viltà. L’Italia è la felice terra dei dolci succhi; Liber Pater è il dio che gradisce i dolci succhi, il dio che per primo invenne il miele, Liber pater primus auctor triumphi!
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In conclusione, il covideolesco ha a che fare con il diavolesco? Sì, ma parzialmente! Il diavolesco è più contenuto, il covideolesco, come abbiam detto, più estensivo. Il diavolo di fatti, ha una figura ben definita, ha le corna sulla fronte ed ha anche il codino, quello ritorto, a riccetto, tipico dei maialini. In questa figura è contenuto il diavolesco e non sconfina. Il covideolesco, invece, non ha figura alcuna, non è né cornuto né caudato, è peggiore del diavolo e di tutta la compagnia dei diavoli e dei fraudolenti diavoli e dannati di Malebolge messi assieme; poiché il covideolesco non si definisce in una figura netta, distinta; è “un che” senza testa né coda, per cui, codesto “che”, sconfina sempre, lo trovate ovunque; non ha limiti, entra, penetra dappertutto; non c’è inferno che lo contenga. Tutto si può dire del diavolo, fuor che a modo suo non sia un po’ galantuomo e si mantenga stretto nei limiti dell’inferno o s’annidi solo nel ventre delle anime che gli si concedono; ma il covideolesco dilaga sul mondo intero, coincide con la globalizzazione, ha nel "suo che" Aracnea tutta, è lui stesso l’Alto Accolitato, l’Ente sommo non divulgabile, la Grossa Ragna, la maledetta Usura, che divora tutto, persino la sabbia; è questa tirannide, ipocrita e bieca figlia di mamma democrazia e dell’oligarchia finanziaria. Il covideolesco è un’ineffabile furfanteria, il viral marketing; è il “mondo tutt’un inferno”, un inferno senza la potestà dell'Arcidiavolo, un inferno che frana: È la grande pestilenza.
nell’anno duro, in una giornata piovosa, sul finire di aprile
