

TRISTEZZA / G I O I A
Buona, tenera è la terra, ma triste!
Come la rosa, chiusa
nella tenebra del boccio,
vive la terrena tristezza
prima di svelar la vaga corolla
e di poter esprimere il tenero
vibrante sorriso del fiore,
così, dopo esserci giovati
della suadente tristezza
(anche il cuore più impavido
si nutrì della sua bontà),
la selva d’ombra attraversiamo,
conteniamo il sospetto
ed il lancinante timore,
il cuor s’inebrierà di gioia!
Nel cuor che fu triste e sincero
nasce più degno ardire,
e viril coraggio risveglia
la trionfante gioia!
Dono divino è il vivere,
gentile il guerreggiare,
con sul volto il sorriso
e negli occhi una tenera tristezza.

C A L I X
Darò alla fiamma il cuore
finché, fattasi incendio,
su magica incudine,
con un tocco sapiente
lo temprerò per Te.
Lo forgerò a guisa
di calice splendente,
in tal valente, amore
a pieno verserò.
Vi fiorirai d’incanto,
pregio di gigli e rose,
savia immortal, Beltà!


NELLA STAGIONE DI EROS
STERILE L’ INFEDELTA’
Venuto il tempo, Eros si leva:
nel tempo che la terra disgela
e, riapparsa la primavera,
numerosi germogliano i fiori!
Lasciate le spiagge di Cipro,
delle isole essa è la più bella,
Eros, viandante tra gli uomini,
la ferace semenza
all’ umida gleba riporta.
Invece, sotto sterile consiglio
per false congetture su di me,
ti lasciasti distogliere
profanando d’amistà i vincoli.
da Teognide di Megara

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LE FILATRICI
Cloto, Lachési, Atròpo,
le favolose Dame
delle sorti del mondo
fatali filatrici,
che con robusti fili
d’ogni terrena vita
intrecciano l’ordito.
Cloto fila la vita,
Lachési il fil misura
e, inevitabil cosa,
Atròpo lo recide.
Narra un antico bardo:
Filato d’or tendevano,
fissandolo al centro sotto la sala della luna.
Benigne levatrici
soccorrevan le madri nel travaglio,
assegnando al neonato
il buon destino.
Le chiamarono Parche,
ché nidiate allevavano di bimbi
le buone e degne Dame.
Perché temerle, o umani?
Torniamo all’uso antico,
invitiamole a tavola,
il convenuto segno
attaccando alla porta!
Senza sospetto alcuno
all’imbandita mensa,
e sia che splenda il sole
o riluca la luna,
con esse festeggiamo
l’eternamente giovane
dea della magia,
Selene Diana Ecàte.
Narra un antico bardo:
Filato d’or tendevano,
fissandolo al centro sotto la sala della luna.
Cloto, Lachési, Atròpo,
le favolose Dame
delle sorti del mondo
fatali filatrici,
di fanciulli e fanciulle
gentili educatrici.
Cloto fila la vita,
Lachési il fil misura
e, inevitabil cosa,
Atròpo lo recide.

°° °° °°

ALI DI CIGNO
Cigno, tu l’ala
su vergini solitudini
in un bianco nimbo dispieghi!
Intatto nel plumeo candore,
dei vigilanti culmini
eguagli l’etereo fulgore
e qual nivale vetta sfavilli!
Sulle fluviali vie,
magico navìgiolo
varato al sogno iperboreo,
l’agile prora arcuata,
tenti gli abissi e ne scandagli
l’indicibile mistero!
Così tu, l’ala
assorta, nelle limpide acque
denudi l’effigie radiosa.
Tale, in luminosa prece t’effondi!
Alle fluenti entità
dell' inarrestabile fiume
fulgente domanda.

CANTO IPERBOREO
Ai risvegli del mito,
quando la Parca attorce
le fila del destino
ed i bianchi mattini
intessono fili di perle
sul manto dell’Aurora,
nelle soste lacustri
raccolte l’ali, chine
d’abbasso le remiganti
pettinano tremule l’onda,
d’un tratto vira, poi, s’attesta
a spiccar presto l’alto volo
il Cigno. Apparve, allor
nel canto delle nevi,
sulle solitarie distese
di quell’alba primeva!
* * *
Cosa muove sull’onda,
laggiù?… Vele…
Vele d’un leggendario scafo!
Marinaresco gergo,
enfasi, odore d’alga
e, ributtato dall’onda,
il grido dei navigatori…
Fievole torna l’eco,
tra getti infecondi di spuma…
Dagli equorei silenzi
un canto. E’ il canto del mare!
Un eroico coro
dalle sartie spicca,
così l’ala dal ramo,
al ciel fulgido il volo,
protetto l’equipaggio
dalle impenetrabili vele
di lontananze immani!
Schioccano!… Le vele
Schioccano!…
Il vento gonfia
le vele. E, vanno!…
* * *
Dagli spazi sonori
sul pelago propaga
il moto suo fecondo.
Volere inarrestabile,
carro che non devia,
da insondabili abissi
irradia alto splendore
di meridiana quiete.
Guizzo d’estremo raggio
che il mare d’impeto cattura,
pregnanza di luce! sulle acque.
* * *
Torpidi… lenti schiocchi,
e s’addensa la bruma …
Nel buio dell’immoto
le ali dispaiono. Così le vele.
È la notte!... O migrante,
dove s’attenta il viaggio?
Dov’è volta la prora?
Al principio! dove prospero
il vento gonfia il velame
e in fiorita attesa è il mattino.
* * *
D’agile arco saetta
e suggello di luce,
le albeggianti distese
il nivale Cigno sorvola.
Sfolgorerà, da quel vivo biancore,
sfolgorerà l’Aurora!
Allor, soave è delle Parche il canto.



APOLLINEA INTESA
Quando l’Intimo coglie
d’arcane voci il suono,
un richiamo ti giunge
sprezzante l’incongruo sapere
di epoche ingorde e vili.
Qual dovizia d’accenti
e magia in ogni sillaba!
O faconde voci dei Fauni
sparse, e come semenza,
sulle agresti distese!
O almi spirti terrestri,
o fasto dei geni adunati
sugli ardui rupestri culmini,
o numi dei fiumi opulenti,
delle selve, delle brade radure,
di giogaie impervie custode,
tu, nido dell’aquila!
Imperio d’olimpiche vette,
flammeo scettro del dio, folgore!
O voci festanti, armoniose,
monde dell’umana grandigia
che volubil, vana trascorre,
o invitta sovrana potenza,
gloria divina che fu già del Pindo
e, ch’ancor oggi, ascosa regge
sulla Capitolina Rupe.

hac stat

I G N I S
Nella silente radura
arde un fuoco, éhò! Fuoco
dei fieri, antichi bivacchi.
Saettatori infallibili,
occhi di lince? Cacciatori in festa
per la larga venagione?
Sol gioiosi, intrepidi guerrieri?
Una valente, venturosa adunanza!
Nel siderale silenzio arde.
Ehò, éhò!... Schernisce
le tenebre assonnate
con altissime vampe...
Crepitanti vessilli
e tante orifiamme
dispiegate alle stelle!
Arrossa l’estrema parte del cielo
il fiammante mattino,
che tutto il dì arderà
sul sacrato villaggio.
L’antistite, linteato
il capo venerando,
apparecchia il convito.
Percossa con mano ferma la selce,
libera l’ardente scintilla.
Eterea s’azzurra la fiamma
lustrale sulla bianca ara.
E tutto ha inizio!
Tuona, lassù! Il sereno tuona.
Portentoso celeste fragore!
E se il guizzo della saetta
nell’abbacinante azzurro
annoda i venti cardinali,
l’occhio pronto del Fulguriator
accoglie l’assenso celeste.
E quando, eretto sul solco
tracciato con ligneo vomere,
all’Augure, che osserva il volo
dell’uccello delle tempeste
alto sulle alte scogliere,
giunge fausto il responso,
la fatica feconda dell’etere,
della terra e degli uomini,
incontrerà concorde favore.
* * *
Lassù, sull’arce candida,
nel cuore della Regia,
su alari di pietra arde il fuoco,
vigila una Vergine
la casta fiamma, ed attende…
Al tempo della fioritura,
nel dì fatale che ritorna,
con lo sguardo ridente,
nel seno saldo ed unito
come nuda selce serbando
la scintilla divina,
discenderà dagli altipiani lucenti.
Vidisti Virum? Feliciter vidisti!

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Nel dicembre del 1997 sul bollettino L’ARIETE pubblicammo il seguente testo poetico; nonostante i mutamenti epocali, lo riproponiamo ai nostri gentili lettori, ritenendolo ancora attuale; infatti i giorni che viviamo sono tuttora condizionati dai disastrosi eventi dello scorso secolo e peggio ancora da tendenze politiche che mal indirizzano i costumi, e passivamente continuano a restare asservite ad interessi stranieri, anzi avversi alla nostra civiltà fondata sulla cultura classica.
RISCATTO
Figli e nipoti
d’una generazione di vinti,
voi non coglieste il segno e così
vi lasciaste sfuggir l’occasione,
riparando nella millanteria.
Occorreva uniti
affrontare il destino;
amara certo è la disfatta,
ma più rovinosa la spinta
che dal natio suolo disvia.
Non la sconfitta in battaglia,
benessere con usura fu
insidia, e tesa dal nemico:
oblio della giusta norma
d’esser felici a misura.
Fatti ed imprese straniere
discordi celebraste.
Adulando d’altri le conquiste
spalleggiaste l’egemonia
di tracotanti imperi.
Dell’antiche glorie incuranti,
sconfitta sommaste a sconfitta,
trascinando in rovina
le sorti e l’onore della Patria.
S’è concluso così
con una indegna resa
il vostro cedimento,
e riprendere oggidì il cammino
per voi è difficile.
Libero è chi il patrio dovere
al proprio profitto antepone,
mai incorre nel giogo;
ma nasce servo invece
chi il lucro persegue!
Ragion valga! Usura è demenza,
follia. Peste è l’usura!
La febbre dei bisogni…
Oh, piantatela voi!
E tutti quanti coinvolti
nell’orgia dei diritti!
Finitela una buona volta
coi dispetti, coi picchettaggi!
Che differenza c’è
tra l’eccessivo profitto
e una comune utilitaria?
Entrambe le cose fanno
il proprio comodo.
Al soffio dello scirocco,
miseramente china
l’odorosa corolla,
geme appassendo il fiore;
prigioniere del profitto
le sorti sfioriscono
nella secca dell’egoismo;
va in fumo ogni illusoria attesa.
Animo! siam decisi,
sferriamo l’offensiva!
I beni di consumo!…
Noi non siamo esigenti:
l’impeccabile panno
ch’è la nostra divisa,
pur logoro dal tempo,
teniamocelo addosso
come un cimelio avito.
È santa la guerra all’usura,
che perfin le sabbie consuma
e la polvere agra divora…
Patrio nume, falle tu guerra!
Uomini e dei, scendete in campo!
Non è dono d’usura pace,
non è suo dono giustizia.
Siam pochi? Ci contiamo
solo su cinque dita?
Sia dato ai generosi
di propiziare i fati
e saldamente unirli
all’antico retaggio!
Sul sentiero degli Avi,
e con i Vati antichi,
si cammina liberi.
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INCITAMENTO
La Parola perduta,
la Voce franta,
nel vibrante silenzio richiama!
L’Idea sommersa
che gloriosa trionfò,
in dì novo e lucente richiama!
Dai tristi tempi dell’oblio
risorgano al raggio del sole!
Vittoria, o Vittoria,
celebra così
il giorno solenne
in compiuta armonia!
Non con vile ausilio d’argano,
ma fulgido Genio sollevi
dall’informe materia
il prigioniero!
Veste di bruta spoglia
l’ignominia, e infanga!
Seggio solenne accoglie
chi il suo tempo decora.
Di sé stessa vindice
la volontà trionfi,
senz’alcun smarrimento
osando perseveri.
Mirata ad eroica meta,
s’eterni in te, o Vittoria!
21 dicembre 2022, Mercuri dies
nell’anno del duro combattimento

LA VERGINE GLAUCA
il saggio Zeus la generò da solo,
dal suo capo venerando
(Omero, Inni)
Progrediamo... Verso dove?
Scettici senza pace
svuotati dal nichilismo,
trascorrono l’infecondo dì
nel lusso dei Grandi Magazzini,
attardati, smarriti
tra mentiti oracoli,
alle assise d’un insano Scibile,
e vantano: “Progrediamo!”
Verso dove… Verso dove?
Pregio e lode è spaziare
oltre il margine dei libri
e l’umano sguardo,
oltre il finto racconto;
di più degli assaltati cieli
e di là del nubilo,
raccolti al divino limitare.
Si ravvivino, grani di luce
sconfinanti nell’immenso,
i battiti del cuore!
Così, lasciate
le sgretanti vette dei monti
all’infuriar dei venti,
i lidi sfiniti dall’onda
al divoro dei mari,
il profano pensiero al vaglio
severo dell’imperituro,
sull’ara rifiorita
ritorni la Vergine
che, originata nel Padre,
colora con il lampo
dell’occhio glauco
le quiete marine,
le acque lacustri
e il pallido etere.

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Dimmi il nome del Fiore
E quando tempo, che mi sia a piacere
E spande le mie vele inver voi, rosa,
E prenda porto là ove si riposa
Lo meo core al vostro insegnamento.
(Pier Delle Vigne)
Quando più azzurro è il cielo,
vanta colori il prato,
dimmi il nome dei fiori!
Dimmi il nome del fiore
che, umile e cortese,
appena schiuso ai prati
dona il suo profumo!
Dimmi il nome del fiore
che accolto nel verziere,
armato d’aspre spine,
vi spicca superbioso!
Di quel fiore cortese
e dell’altero fiore
è breve la stagione.
Quando più azzurro è il cielo,
vanta colori il prato,
dimmi il nome del Fiore
che torna a ogni stagione!
Se scolorito è il cielo,
tutto di neve il prato,
dimmi il suo nome ancora!

Amor Princeps
Ho conosciuto il bianco mattino,
allor che la notte cede il passo al giorno;
ho conosciuto il verde mattino
che scivola dal manto dell’aurore
e ne ho gustato sulla lingua
il tenero germoglio,
come una particola sacra
che non va frantumata dai denti.
Muoveva in quel mattino
i primi passi Amore,
composti, silenziosi passi,
e senza alcun clamore;
con il sorridente sospiro
della rosa che sboccia,
nel bianco già verde mattino,
si colorì di croco e s’avvolse
nel manto trionfale
dell’iniziale Aurora!

L’ISOLA DEL SOGNO
…e nel moto convulso
di lor volubil sorte
tornano a ripetersi
gli assonnati…
I voli, il grido del gabbiano
sovra il sognante mare!
Sotto il fasto solare,
nel fulgore aureo dell’etere,
i voli e il grido… Ed i sussurri,
gli echi, il rombo altero dell’onda
sulle soglie di nudo oblio…
Or quei vuoti colonnati
oceanici venti visitano,
ché l’altezzoso nauta
smarrito ha il porto febeo
e dissennato investe
del cielo gli asperrimi lidi.
Ma, salpando da quei golfi cilestri,
bianche nubi fugaci
mescolano segni d’ombra e malie
nella verdegaia purezza
dei pini e dei lauri frementi
dell’isola sui salsi poggi,
ove di Febo l’augello adagia il volo.
In continui giri – sull’onda –
i delfini nuotano,
canti ispirando all’immortale lira.
Nel mattino che sorge,
s’allontana su per quel mare
la labile vela del sogno…
Già cede l’alba alla fulgente Aurora!
L’astro sorgivo quel candore
di marmi sull’alta isola invera
e l’augel di Febo vi posa
la nera ala divinatrice,
or che bianche colombe
spiccano il savio volo
nel profumo dei lauri.
Risuona dal mar
l’ondoso giuoco del delfino.
