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AEQUO ANIMO

 

 

 

AEQUO ANIMO

 

 

 

    Porfirio nella sua “Vita di Pitagora” riferisce che tra i precetti del filosofo di Samo c’era l’esortazione ad evitare le vie frequentate dal popolo, intendendo così dire di non accodarsi alle opinioni dei molti (oggi la cosiddetta pubblica opinione) ma d’inseguire le convinzioni, le vedute certe dei pochi che si distinguono per una eletta cultura. Non dunque una mera, volgare erudizione, ma una approfondita cultura della mente e dell’animo, la conoscenza, doveva essere l’intento dei seguaci di quella scuola. Non c’è dubbio che colui che s’è forgiato un animo nobile e forte non aspiri che al sapere reale, un sapere semplice, unitario, che ha per fondamento e per meta il vero. E il vero, che con libera scelta soltanto la mente nobile sorretta dal ricordo (mente e cuore uniti) accoglie, è giusto identità assoluta del reale, risponde all’essere. I sostantivi latini, verum e veritas, indicano infatti entrambi sia il vero che il reale. Oggi poi, il peggio del peggio, l’opinione pubblica è condizionata dai mass media, isterilita e infine resa uniforme. Questo processo viene ipocritamente definito politically correct.  A tal punto, “la via del popolo”, catturata in un rigido conformismo progressista, viene abbandonata al disorientamento etico, ideologico e religioso d’uno sviante relativismo, di conseguenza il popolo o nazione che di tal pubblica follia s’è pasciuto, perché ingannato da straniere intellighenzie (la intellettualità radicalmente straniata dal suolo avito), precipita, e non c’è scampo, nel disordine politico e sociale. Tale è il risultato dell’abbandono alla indifferenziazione ideologica di una intera società nella quale le parti (i partiti) che si dicono contrapposte o ritengono di esserlo e lo sono solo apparentemente, soggiacciono di fatto a un massivo livellamento voluto da chi la fa da padrone, con inavvertita rinuncia alle distintive idealità, valori, modelli politici, culturali, sociali etc. Maggioranze, minoranze? Simulazione, finzione, consapevoli o no i presunti antagonisti; comunque sempre un ben cabalato raggiro da parte del gran filantropo, l’avvoltoio che la fa da padrone. E queste sono le sue giornate, guarda caso, di profittevole pascolo! sì, davvero proficue per lui che s’avvantaggia dell’umana stoltezza.  Sì, di essa lui si prende pur gioco e a tale ormai insanabile insipienza dell’uman genere lui impastocchia le suggestioni massmediali, il seduttivo maleficio delle oscenità tivvudiche. Siamo in piena pandemia e nella desolante vastità d’uno sconsolato deserto e ci si chiede, come si farà d’ora innanzi a venirne a capo? Si è che queste malattie degli animi, questo smarrimento della memoria patria, questi vacillamenti della mente e dell’energia popolare, questi subissi collettivi, difficilmente trovano il rimedio risanatore. Quando purtroppo si perde il coraggio di difendere la propria dignità nazionale e, anche come singoli, il senso reale della propria esistenza, e quindi la genialità, l’insito seme, e le virtù necessarie a condurre a buon fine l’impresa cui l’uomo è chiamato su questa terra, si fa insperabile ritrovarsi nelle proprie origini, ricongiungersi al focolare avito, affidarsi all’ara patria, la stabil sede nutrice di saggezza.  Tutto malauguratamente volge al pari d’una lutulenta, inarrestabile fiumana, e va a precipitarsi nelle fauci dell’abisso. Ora qui ben si tratta, per chi non vuol darsi vinto, di trovare il rimedio per recuperare la salute e di ricordarsi della via della salvezza. Flavio Cassiodoro sosteneva che “ove trattasi della salute, nessuna venia può essere accordata all’ignavo”, e prima di lui aveva affermato Seneca che “ignobilissima iattura è quella occasionata dall’imbelle”.

 

   Abbiamo testé detto che lo sradicamento dalla cultura avita, l’estraneazione dalla classicità, dalla terra patria, dalla campagna, dal natio borgo etc. con l’assunzione  di costumanze stranee e soggiacendo ad una acculturazione genere chewing gum - rock and roll, con in più il peso dell’asservimento a ideologie importate che si sono a lungo stratificate nella mentalità e nel modo di sentire popolare, hanno determinato un mutamento generazionale, con un forte distacco delle ultimissime generazioni dal passato patrio, significativa la perdita del simbolo paterno (l’asse che non vacilla). L’attuale, poi, rilevante indistinzione tra ideologie, quasi un pareggiamento, è indicativa del dato di fatto che esse hanno come matrice l’illuminismo massonico della fine del settecento e come prima figliatura il rivoluzionarismo francese, il termine stesso fu coniato in quegli ambienti. Gli idéologues, filosofi, pensatori politici e loro seguaci, tra l’altro, erano sempre figli e discendenti di genti che avevano subito un ultra-millenario, intransigente indottrinamento che prefigurava, preannunciandolo come una realtà e con fanatico messianismo, un futuro di cambiamenti radicali e straordinari. Nei tempi più recenti, e non fa specie, il messianismo, sempre permanendo nell’inganno della speranza vana, nella infondata attesa fideistica, si è mutato nel progressismo; di quest’ultimo la stessa religione s’è dovuta mettere al passo e dal dogma teologico è derivato in omaggio ai tempi il dogma scientifico. In conclusione, le ideologie sono state predisposte all’irruzione delle masse nella storia contemporanea e a quel fenomeno che poi sarebbe stato definito “La ribellione delle masse” (Ortega y Gasset). Nessuna differenza, in effetti, dai precedenti dottrinarismi; soltanto si digradava man mano dall’ampiezza del sentimento religioso, al fine di avvicinare sempre più numerosi gruppi sociali a credenze, dottrine, concezioni, teorie, idealità soprattutto politico-sociali e proprio con il fine di confinarli nell’empiricità, nell’ordinario sensibile, nell’abituale. L’empirismo sensista, insomma, veniva ritenuto più adatto ai tempi e alla non alta levatura (dote conoscitiva) degli uomini-massa che li vivono; infatti, sempre più digradando negli anni si sarebbe passati a un più grossolano sensualismo, al fenomenalismo, e poi decisamente al positivismo e al materialismo. Le ideologie hanno anche funzionato da grossi accumulatori di energia delle masse, contenenti cariche di passionalità, criticità prolungate, necessità, urgenze. In tal modo masse di uomini sono state lanciate contro masse di uomini in nome di contrapposte ideologie e sono state combattute anche sanguinose guerre, né più i popoli han goduto d’una duratura pace sociale. Tutto questo è da attribuirsi all’intellettualismo astratto, al dottrinarismo sterile, alla presunzione e alla vanità, ma anche alla viltà, degli idéologues. Dottrinari e ideologi di ieri e di oggi son tutti della stessa pasta. E così, in questo momento storico, si è giunti addirittura all’indistinzione di opposte ideologie, tanto da riuscire ad avere mentalità che si assimilano immediatamente ad altre senza opporre resistenza e sulla via d’un egualitarismo sempre più spinto; mentre frattanto già si rende evidente una ancora più estremamente digradata condizione dell’individuo a tal punto disumanato che la sua esistenzialità meramente biologico-materiale viene ad essere circoscritta nell’insignificanza di un universo stringatamente meccanicistico, nell’automaticità d’un pianeta anonimo e insulso che intendono avviare alla totale desertificazione, e in una altrettanto meccanicistica prevedibilità del sistema solare; banalità del vissuto giornaliero.

 

    Avete ceduto troppo all’alieno, da esso vi siete lasciati avvilire nel profondo. Ecco, in sostanza, ciò che state subendo in questi mesi di primavera, mentre la terra si risveglia felice nel nuovo sole e partecipa della celeste resurrezione, auspice Liber pater che ne celebra il trionfo. E voi? Lasciato indegnamente il governo della Nazione in balia di politichini e truffaldini cronici, vi sentite a questo punto mancare l’aria. Vi sentite una fune stringer la gola. Vi sentite . . . ohi, soffocare! Questa desertificazione vi soffoca, questo mondo anonimo, meccanicistico, questa automaticità dell’universo di cui vi siete lasciati circondare e di una mente ormai sottomessa, passivamente tivvudica, è la fune che vi sentite al collo. Volete farne un inguaribile nodo scorsoio? Ma no! Lasciate che vi s’impicchi il boia!  Non v’accorgete di quanto vi s’è intricato? Ah, ah! ci resterà impigliato, prigioniero per sempre! Ma voi potete; basta volerlo, e sarete liberi. Sì, Italiani! Ma liberi davvero e non per editto cartaceo. Liberatevene! Ricercate in voi l’insito seme, ritrovate e ristabilite in voi la genialità italica. Rasserenatevi, risanate, venite fuori da questo mondo inospitale, dall’orrida pandemia, tornate alla saluberrima terra degli avi, allo splendido solare paesaggio che accolse l’aurea prima aetas; la qual nobile età, recita Ovidio: “vindice nullo,/sponte sua, sine lege fidem rectumque colebat”, senza giudice alcuno e senza leggi, spontaneamente, praticava virtù e giustizia. Tutto questo riscoprirete in voi se vi fate degni d’una tale madre che in quel tempo anche se non arata produceva abbondanti messi e biondeggiava di turgide spighe, “mox etiam fruges tellus inarata ferebat,/ nec renovatus ager gravidis canebat aristis. (Ovidio) Era una età in cui l’uomo, nella sua interiorità godeva di un’eterna primavera e la sua anima come un elce giovine stillava dolci succhi, medicamentosi umori; “ver erat aeternum” e “flumina iam lactis iam flumina nectaris ibant”, la natura, lussureggiando, armonicamente corrispondeva al giusto volere dell’uomo che agiva senza agire e mai con strumenti e arnesi inferni, tormentosi, materialmente violenti, rovinosi e funesti come soprattutto in quest’ultimo scorcio dell’età del ferro. “Flavaque de viridi stillabant ilice mella”, e il biondo miele stillava dalla verde elce. Era la felice condizione di quella età in cui operava, praticando verecondia e giustizia l’anima solare dell’uomo, il figlio di Liber pater, l’uomo sole, mente del mondo. Così ci vien essa tramandata, nascosta sotto poetici velami. Spingetevi in alto con la mente, risvegliate nel cuore il ricordo, ravvivatelo di consapevolezza, rendetevi degni di quegli avi, siate i Signori del vostro tempo, inaugurate una nuova primavera italica.

 

   Purificatevi d’ogni faziosità, il veleno dell’anima, mettete da parte gli egoismi, i settarismi, l’odiosità, le partigianerie! La mente ferma ed equidistante, il cuore sereno, invocate la resurrezione della Patria, la nostra Italia, il risveglio dei cuori fraterni e il riscatto delle menti. Evocate Liber pater che è Marspiter che è Sol: invocate nell’intimo della vostra coscienza il padre Libero, invocate l’imperituro padre e fulgido dio, il Sole. Pregate, e sia preghiera casta e sincera, a fin che nella luminosità degli elementi tutti, rischiarata la mente, si raffermi in voi la volontà, la libera vostra volontà e ritorni in voi la virtù prisca e con essa saggezza, salute e fortuna, vale a dire le prospere italiche sorti; così anche per tutti i fratelli d’ogni regione d’Italia. Se volete farlo, poi, versate con noi in un calice del vino rosso di pretto tralcio italico e frattanto cuocete su un fornello a carbone (da scartare il gas, il cherosene e simili) delle focacce preparate con farina di grano e, una volta cotte e intinte nel miele, a nord nell’ora del sole, vino libamus et adorea liba deo, Libero patri, damus. Triumphe! Se gradito, assaporate anche voi con i vostri parenti e amici.

 

   Liba deo fiunt, sono parole di Ovidio, e cioè, con quanto segue: “al dio apprestiamo focacce, ché egli gradisce i dolci succhi e fu Libero in quel tempo a scoprire il miele”.

 

   “Su partecipa, dona il più dolce dei tuoi succhi, o miele del mio cuore! Da questa altura cala giù, qual sapida esca, nell’imo fondo della cupa tristezza!” (F. Nietzsche)