IL VIRUS DELLA PAURA ovvero IL PAUREVOLE VAIRUS

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I L V I R U S D E L L A P A U R A
ovvero
I L P A U R E V O L E V A I R U S
. . . de duro est ultima [aetas] ferro.
Protinus inrupit venae peioris in aevum
omne nefas, fugere pudor verumque fidesque;
in quorum subiere locum fraudesque dolique
insidiaeque et vis et amor sceleratus habendi.
OVIDIO,Metamorfosi - I
Il vento, cogliendo alla sprovvista la notturna quiete, empié di risonante frastuono la valle; squassò la cerea lividastra cunula dell’alba e s’impadronì del dì, questa quart’ultima giornata di febbraio, e d’un nimboso cielo. Senza dubbio Eolo, l’antico dispensiere dei venti, allontanatosi dall’isola vagante sul mare, quel suo soggiorno preferito circondato da ininterrotte mura di bronzo, era qui giunto all’occorrenza per suscitare l’irruento turbine che benefico spazza per lungo e per largo la nostra valle. È venuto a scacciare dagli ameni poggi, dai verdi campi e dai lindi borghi la gravezza d’una inquietudine nevrotica, d’una dispotica oppressione che, ordite in segreto e diffuse attraverso allarmanti suggestioni massmediali, tengono in soggezione le folle spaurite. Una violenza voluta ma coperta, non palese e ad ogni modo pervadente e subdolamente penetrante nell’intimo delle comunità. Una shockizzante aggressione ai popoli da parte del nemico d’ogni onesto e giusto sodalizio, d’ogni virtuoso consorzio umano.
I giganteschi cipressi resistono alla impetuosa sorpresa del vento che indifferente fende e fruga il denso, cupo frondame. Il magnanimo Eolo, caro agli Olimpici, è venuto a ripulire i luoghi da tristi, dubbi cipigli, dagli atti sospetti, da maligne trame, da immagini opache, da sucide mescolanze; a fugar le fosche nubi, a scacciare dagli erbosi stradelli e dalla mente semplice dei valligiani il paurevole “VAIRUS”.
Stamane, è il terz’ultimo dì del mese purificatorio, c’è calma e silenzio; a tratti, s’ode la tortora. Durante la trascorsa notte è piovuto, dapprima a scrosci, poi lentamente . . . E stamane l’aria è limpida e fresca, gradevole; il paesaggio ridesto ridonda di luce, ché il raggio del sole giocherella con giovini nuvole bianche vaporose leggere. I cipressi, ora rugiadosi e più virenti, schietti svettano nell’azzurro.
La penultima, stante l’anno bisesto, giornata di Februo è trascorsa serena. Al mattino soffia una tramontanina indulgente; sul tardi l’aria, pur sempre frizzantina, s’è piacevolmente intepidita, in amichevole accordo con un radioso sole, e tutta la valle riluce. Di poi, a sera, soavità del tramonto! Un velo d’aurata fiamma con inattesa luminosità ha decorato l’orizzonte montano. Qual nobile sentire, qual divina apprensione, qual sacro invito, in quegli attimi, quel baleno comunicava all’anima? Lietezza al Cielo e alla Terra in perenne connubio; il folgorante augurio alle umane genti e ai viventi tutti d’una gioiosa aurora; alle italiche Muse il ritorno all’antico splendore.
Nihil obstat! Certo, è pur vero che ad augusta per angusta, ma alla fin fine trattasi solamente di tirar l’asino giù dalla cattedra; è la prima cosa da fare, poi tutto si semplifica. Eh, no! tu preferisci essere lunghe orecchie e natiche, ventre e terga; e non t’accorgi che gonfi la ventosità intestinale e quindi amplifichi il rumore delle tue scoreggie a danno del prezioso verbo che va in te così tanto affievolendosi e invilendosi; piuttosto che finir nello sconcio, prendi a sonore scorreggiate codesta boria da egoarca con il sembiante d’un asino assiso dentro di te! Ma tu sostieni che di quell’asino hai fatto un eminente cattedratico e gli imponi notabili nomi: io Presidente, io Direttore, io Conduttore, io Professore, e se ne può snocciolare a iosa. In democrazia infatti son tutti luminari ed è scontato che asinus asinum fricat.
Ma perché spoetizzare, passar bruscamente dall’incanto al disincanto? Beh! . . . perché siamo stati anzitutto indotti a farlo. E, poi, per toglier dall’illusione colui, colei, coloro che standosene in panciolle, soddisfatti dalla rapida letta data a qualche scritto in controtendenza, e magari pur assentendo a queste nostre righe, millantano di tirar giù dalla cattedra l’asino del vicino, mentre da incorreggibili egoarchi continuano in ogni ora dell’anno ad adorare l’asino loro intimo familiare. Puah, l’individualismo democratico! Tutti corazzati nel proprio egoismo, e i sommi Egoarchi dominatori assoluti. E, il popolo sovrano? Quale spirito di sacrificio può dispiegarsi da coloro che coltivano il culto del proprio utile, del proprio tornaconto, immersi del tutto in affari e faccende profittevoli, nel dispregio della salute dei popoli, nel disinteresse delle patrie sorti? Solo chi coltiva una sincera dedizione alla Patria manifesta amore anche verso il proprio popolo. E invece in questi giorni ci occorre assistere a tanto straziamento! Il sadismo dei Padroni del mondo e accoliti dissemina paura, utilizza i mass media per ingenerare turbative e addirittura psicosi collettive; d’un popolo che aspira a vivere nell’ordine e nell’armonia, han fatto un popolo di litigiosi e di disadattati, un popolo di emarginati nel contesto internazionale; un popolo esposto al dileggio e, alla fine, addirittura un popolo di appestati. E tu? Anche tu coinvolto, complice incosciente, a confricar asino su asino . . . Urgenza impone sacrifici, votarsi a giusta legittima impresa. Espiare l’egoismo sitibondo, l’inaridimento d’ogni divina ispirazione; cioè volersi rendere pii, come i Padri furono, pii verso la Patria d’origine, verso le divinità patrie. Un indifferibile giusto combattimento è il premio che s’addice ai buoni in un cotale sciagurato frangente. Da tanto febbricoso impaludamento, da tal vile stato, urge tirar fuori l’Italia e con la parte più schietta del suo popolo.
Questo è il giorno bisesto, ultimo del febbraio 2020, l’anno duro, e sembra già voglia preparare le piogge di marzo, c’è difatti il sole ma nuvole all’orizzonte. Inizia domani l’anno romuleo e il giorno sarà quello di Marte, i sacerdoti Salii, tutti patrizi, a Roma ne celebravano l’avvento con solenni processioni e danze, portando i gladi, le lance e nella sinistra gli scudi di Mamurio, il fabbro antico che uno di quei scudi aveva ricevuto in dono da Iuppiter, cioè diritto dal cielo, qual segno della potenza e della gloria romana, mentre aveva per comando divino dovuto prepararne altri onde tener nascosto l’originale all’occhio profano. Al Foro, ai Comizi e sul Campidoglio s’udivano gli antichissimi canti saliari. E Roma tutta intimava alla barbarie e alla pestilenza di fermarsi là dove i Salii avevano segnato il limen, l’invalicabile confine.
Nello scritto precedente avvertivamo che l’anno ora in corso sarebbe stato un anno difficile, pesante, rischioso – e, al momento, possiamo aggiungere anche tormentoso, dolente e amaro –, ma che, d’altro canto, lo si poteva altresì indicare come l’anno della quadratura del cerchio; fuor di metafora volendosi intendere un’accorta vigilanza sulle correnti emozionali e i moti irrazionali che vanno appalesandosi e sul loro allargarsi ed estendersi per controllarne le tendenze, e scongiurare calamitose accelerazioni e quindi l’instabilità dovuta alla mutevolezza e alla precarietà che logorano ogni convincimento e certezza; tanto per pervenire ad una solida quadratura fondante una stabilità in cui si possa perseverare e felicemente durare; provvisorietà, infatti, non permette decisioni ponderate e giuste, non permette ideazioni e proponimenti arditi, progettazioni non effimere ma durature. Stabilità ha in sé concordia, che salda e unisce le comunità, nell’instabile, nell’incerto invece è il germe rovinoso della discordia e comunemente ci si perde nell’astrusità. L’astrattezza in genere è sempre un viluppo di complessità che prima o poi l’oscurità avvolge; l’effimero, il provvisorio, il temporaneo, annegano nell’astrazione; la continuità, cioè la permanenza, retta dall’inalterabile e dall’imperturbabile, viceversa si fonda su chiarezza, semplicità, concretezza; nella stabilità si crea, si attua, si realizza, si manifesta eminente il reale e lo si può ben accostare all’ideale che del reale è appunto il modello ottimale. Purificato d’ogni impura mescolanza l’agire umano in tal modo s’avvicina alla perfezione.
Quanto detto non perché sia nostra intenzione operare la salvezza di questo brutto mondo dal massiccio ventre bolso e dal tristo cervello imbozzacchito, di questa cadaverica globalizzazione, terrea spoglia di una dissepolta Atlantide esposta al dileggio dei suoi mostruosi idoli, Finance e Technocracy, là sull’orlo d’un’orrida tetra vorago. Che scemi precipitevolissimevolmente questa caricatura infero-tellurica che reca il marchio infamante del suo coniatore, VAIRUS, un demone del deserto, un’entità elementale disgregatrice, che ogni cosa separa, scompone e ne fa sabbia, essendo pur esso sabbia e che indi la gran febbre del deserto auna in una sagoma o spettro umanoide; la gran febbre del deserto che provoca miraggi su miraggi, di ricchezza, di celebrità, di falsa gloria . . . E il vecchio profeta barbuto! il profeta di sabbia che sparpaglia in granuli di sabbia il suo criminale umanitarismo . . . Ohi, il mondo! prosciugato dagl’idoli di sabbia dell’umanitarismo . . . e la pulverulenta offuscante sabbia tivvudica! Ohi, l’untume secchiccio di quelle sabbie! La pestilenza . . . la dira febbre desertica . . . VAIRUS, il malum virus, il cacodemone, la mens invida, l’animismo tenebroso, animus infestus, che si cela dietro ogni utopia, peste, miraggio . . . falsa species, mendacium.
Non corpus est, sed mendacium, non è sostanza, realtà, ma vana parvenza.
Non propendiamo affatto, occorre a tal punto precisare, per un racconto mystery a tinte gotiche, pur se quest’ultimo scorcio dell’oggi tende decisamente al noir d’uno spettacolo horror di genere sadomaso. Questo mondo senescente, estremamente decrepito, giunto ormai a un declino inevitabile, lasciando con la sua inefficiente democrazia sempre più spazio a un dispotismo illimitato che diventerà grandemente intollerabile, già dispiega nei popoli la violenza nullificante contenuta nei suoi manuali di indottrinamento perverso. Quindi salutare e necessario riteniamo il suo disparire: non solum oportet, sed etiam necesse est, come declamava Cicerone.
Tutta quella “cosa”, quella “cosa che sta lì”, cioè esterna a te, tutto quel tumulto, affanno, paura, tutta quella “roba lì”, embè? qual diamine ci hai a che fare, tu? ti fan paura quelle cose lì? Eppure, lo abbiamo testé detto e ridetto, tutta quella “roba lì” non è sostanza, realtà, ma solo vana parvenza; in latinorum, mendacium. Detto fatto, e quella robaccia s’è disfatta in sabbioniccio; tutte fantasmagorie gonfiate dall’aria surriscaldata dei luoghi desertici: i postriboli dell’attualità, talk show e cose del genere, ove il clero tivvudico appara le folle, nel senso che le rende disponibili alle mene del gran Puparo, mentre la casta tartufesca dei diurnarii ammaestra gl’illetterati aspiranti ai ministeri o ai seggi senatorii.
Una guerra, una guerra turpe, condotta con armi esecrabili, infami; una guerra di deformazione, di deturpamento, che guasta nel profondo l’uomo, sconcia la vivente natura, imbruttisce il mondo. Una guerra ove opera uno spionismo insidioso che falsifica, manipola, contraffà; la guerra degli intrighi e delle macchinazioni; una guerra senza vessilli, senza distintivi, senza bandiere, senza ordine di schiere. Una guerra in cui si dispiegano colossali, cioè faticose e costose esercitazioni militari, manovrando del tutto a vuoto, per nascondere più fraudolenti guerreggiamenti già in atto. In alcune zone dette calde, poi, Medio Oriente, Corno d’Africa, s’accendono conflitti sanguinosi provocando grandi sofferenze e caterve di morti, cui nessuno fa caso, solo gli echi vengono accortamente dosati in giro per il mondo. E dappertutto sul pianeta la gente è smarrita, la fragile vita nell’incertezza; non c’è luogo che scampi alla minaccia della precarietà.
Una guerra sporca, abietta; per il sentire romano: bellum iniustum, iniquum, perché sine causa, ed equivaleva ad aprire ostilità ingiustificate, iniusta arma inferre alicui; precisamente saevum facinus, azione inumana, incivile, da barbaro. E possiamo ben asserire che l’oligarchia che oggi ha in pugno il mondo è un piccolo gruppo di gente (d’affari?) facinorosa, un ente nefando, cioè inumano, incivile, barbaro, la cui mens invida, che non vede, tenebrosa, muove un animus infestus, cioè un animismo criminale che dilatandosi e impossessandosi delle menti passive le desertifica e per conseguenza diffonde il malum virus, il veleno mortifero: la inhumanitas (crudele facinus). Disumanarsi è perdere la natura e la dignità di uomo, questa la vera peste; il Covid-19 è un semplice raffreddore; e l’uomo non deve dimenticare d’esser mortale e che anche un raffreddore può esser causa di morte, soprattutto se il virus è aggressivo e non si è in grado o pronti a risolvere un sopravveniente processo di costipazione.
C’è tanto sole in questi primissimi giorni di marzo, ma soffia anche un vento freddo che ti spegne addosso il già primaverile tepore; rallegrano l’occhio le belle fiorite di margherite lungo i sentieri, sulle scarpate e sui poggi; fiorito è anche il pesco, il susino e il prugno precoce e ciò a dispetto del vento gagliardo e ostinato e delle fitte grandinate. La natura è piena di portentose risorse ed è sempre propizia all’uomo probo con il quale ha stabilito fraterna amicizia. Ed ora torniamo al nostro racconto.
Per trascinarsi dietro interi popoli, per asservirli alla loro volontà, per assuefarli a pensare a rovescio, per indurli alla distorsione delle idee e dei principii, per alterarne la mente, guastarne la fantasia, viziarne il pensamento e persino le abitudini, or son circa millesettecento anni (dal 380, imperatore il cristiano Teodosio I, quando furono proibiti gli antichi culti) che si son dati da fare per annientare i valori spirituali trasmessi dal Mos e dal Cultus romanamente traditi (e ben romane intesi). Nel corso di questi secoli, spadroneggiando e imponendo il proprio controllo in ogni campo del sapere, dalla teologia alla filosofia, dall’economia alla politica e al diritto, dalle scienze alle arti, con secolare lavorio, con pervicace accanimento tutto alterando e ibridando, poi scindendo, scomponendo, infine tutto smitizzando e dissacrando, hanno steso sulla gloriosa cultura e civiltà classica un manto di vita saprofitica; a chiare lettere, parassitaria. Han demolito nobiltà, armonia, equilibrio, bellezza e hanno edificato sistemi artificiosi; hanno istituito chiese, promosso sette, ideologie, imposto costumanze e credi, distrutto e sterminato quanto sgradito al loro dommatismo intollerante, con la tortura, la mannaia o i roghi; si può seriamente sostenere che il loro umanitarismo, anche quello in apparenza aconfessionale ed enfatizzante a destra e a manca abitudini e idee filantropiche, nutre proprio in seno ai suoi membri e promotori un’avversione criminale verso il genere umano. Un monstrum in nome del quale han fatto divampare sanguinose rivoluzioni e spietate guerre di sterminio.
Ab assuetis non fit passio. Quando s’è fatta l’abitudine, si viene passivamente accostumati e adattati a estranei usi, gusti e maniere, ci si perde nell’indifferenza per poi scadere in una passività abituale e infine arrestarsi nell’inerzia, chiudersi nell’apatia; e così, come per gl’individui, avviene anche per i popoli. Non più slanci dell’animo verso alti ideali, non più entusiasmo nell’inderogabile, fruttuoso agire; vien meno ogni dedizione, a sé stessi, alla famiglia, alla patria, alla cura della natura, al culto del cielo.
Quest’anno duro segna l’inizio d’un cambiamento epocale; il popolo italiano non può tenersi estraneo a quello che s’annuncia come un moto di rinnovamento per poter dare in seguito inizio ad una vera rinascita spirituale, qual ritorno alle origini della tradizione patria fondata sui valori della romanità prisca. Con la consapevolezza d’un dovere da prendere su di sé e da compiere appieno, occorre far leva sulla gioventù, quella prettamente italica che inizia a dar segni di risveglio, per guidarla fuori dall’individualismo utilitaristico o da quel borghese movimentismo anarcoide che si rifà al marciume sessantottesco. Occorrono esempi di spirito di sacrificio e di abnegazione, fuor dagli ambiti e dalle ristagnanti cerchie borghesi, il combattente si forma con la vittoria sullo sterile egocentrismo, sulla stolta vanità; lo stolido millantatore e megalomane non sarà mai un buon compatriota, men che mai un guerriero. Occorre anche organizzare circoli che si facciano promotori di attività partecipative fuor dall’ordinarietà, soprattutto culturali, che promuovano studi inediti, non comuni e abusati, quindi banali; non cerchie di intellettualoidi vanesi o di dottrinari incapaci di realizzazione, perché mancanti di originalità; invero, con un sapere meramente derivato e dato per scontato, assecondando il comune spirito conformistico, si rinuncia alla visione primigenia, quella originaria, reale, nella cui luce soltanto l’attualità è. Realtà e verità sono sempre originarie. Se vuoi realizzare il nuovo mondo (rigenerazione) devi far tornare il veglio calante al nascente, rimetterlo in pristino (stato originario), ricondurlo alla sua origine, all’ante-nato, al sempre esistente. Dovrai così operare (agere) dentro di te e condurvi (gerere) la grande guerra per poter insieme intraprender fuori (inire) la piccola guerra; guerre tutt’e due assolute, giuste e che danno salute. Con consapevolezza poi t’affiderai alla tua volontà operosa e sentirai in te forza, coraggio, rettitudine, ispirati da virtù; principia in te l’azione di Liber pater, il vir si rigenera e finalmente intende che Liber pater, mens mundi, è il sole dal quale negli uomini emana il principio intellegendi, il sole rettore e custode del buon consiglio. Intenderai ancora quanto prezioso sia nutrire nella propria interiorità, liberata dall’egolatria, il buon consiglio, il solare raggio della saggezza che simboleggia la conoscenza di sé stessi e quindi la padronanza di sé e del mondo di fuori. Tutto ti si chiarirà e ti renderai conto che queste società d’oggi, moderne, come il nostro popolo, sono in sommo grado vulnerabili ed esposte agl’influssi più malsani e venefici, perché rese incapaci di reagire a qualunque pericolo, debilitate all’estremo, nella loro natura e ordinamento costitutivo, dalla falsa commista dottrina, che con parola greca potremmo propriamente chiamare cacodossia, mala opinione, che da secoli sgoverna il mondo. Razza di mistificatori! Mendace indottrinamento diretto a un globale, quindi astratto, amore del prossimo, un approssimativo volemose bene, ma in definitiva sempre “victa iacet pietas e la Giustizia abbandonò le terre bagnate del sangue sparso, ché dal duro ferro apparve quest’ultima età”, parafrasandolo ricalchiamo ancora Ovidio!
Or malgrado il disvelarsi della trama millenaria e che oggidì si sia giunti al colmo della perversione, che da un giorno all’altro l’oscurità s’accresca e l’avvento del disumano incomba con l’estinzione degli ultimi labili segni e manifestazioni di quella che fu una grande civiltà, ancora abbondano i laudatores huius aetatis, i fautores discidii ac pravitatis, e molti sono i grammatici, i dotti, gli eruditi, i physici, i mathematici, tutti discipuli novitatis, fanatici del ut nove, novissime . . . e già, tutti questi novicii! . . . novicii, terrore et metu concitati! . . . cioè, pavidamente novicii . . . Ma tu non sei nel novero di questi asserviti, non sei in schiavitù, né sei un homo nefarius, perché non vai contro il cielo e contro la natura e la terra, sei libero da ogni dispotismo; tu non sei un egoista, uno che pensa egoisticamente, che agisce egoisticamente, perciò non soggiaci a stranio dominio, a stranio comando; tu sei delle “genti del bel paese là dove ’l sì suona”, per cui sai dire sì al cielo, sai dire sì alla vivente natura, sai dire sì alla tua terra e al popolo al quale appartieni. Tu, non asservito, sei dunque pronto e preparato a servire la tua patria libera, quella che (lo disse Cicerone) communis est omnium nostrum parens. La tua patria libera, il tuo Cielo e la tua Terra. Nella lingua nostra antica, quella dei padri latini, il sostantivo latino parens, entis (dal participio presente del verbo pario, is, peperi, partum, parere = partorire, generare, inventare) è sia maschile, padre, che femminile, madre, e al plurale (parentes, um) indica entrambi i genitori, padre e madre, nonché gli antenati.
Gli antenati: coloro che sono nati, che sono venuti prima; i primi nei ricorrenti cicli del mondo. Gli antenati che ebbero per Padre il Cielo ed elessero propria Madre la Terra. Caelum et Terra sunt dei magni, principes dei, ci ricorda Varrone e occorre saper intendere bene. Gli antenati che custodiscono il ricordo dell’età di Saturno che regnò sul Latium vetus, ove si coltivava tra le genti una veterrima amicitia, una firmissima concordia, il luogo ove s’asconde il santuario che preserva la sempiterna sapienza dell’universo mondo. Il regno di Saturno trascorse in un tempo luminoso, fu quella un’epoca aurea, felice. Raccontano Esiodo, Ovidio ed altri che in quelle umane stagioni virtù, verecondia e giustizia venivano praticate sua sponte, senza prescrizioni legislative con relative sanzioni. Le genti vivevano tranquille, senza timore alcuno; non paventavano i cambiamenti climatici, i disastri naturali e tanto meno le pestilenze, né erano afflitte da angosce ed affanni. “Ver erat aeternum”, poetava Ovidio, consapevole il vate che quel ver aeternum anzitutto era in interiore homine.
Tali, quei nostri antenati che, godendo di così prezioso, antico lignaggio, congenialmente possedevano la nobiltà del Cielo, amore e sapienza, e l’inesausto, generoso potere fruttifero (i dolci succhi) della Terra, alla quale nulla manca per sua verginale virtù. Di quegli antenati hai perso completamente il ricordo, come potresti mai rintracciarne la via? Remotissimo è il regno di Saturno e Saturnia l’aurea capitale è solo per te una favolosa imago, tutt’al più un mitico nome. Nondimeno, come ben potresti intendere mirando a fondo, è pur sempre un ricordo, anche se purtroppo in te infragilito, evanescente. Eppure quegli antenati sono stati i primi, ancora una volta i primi nei ricorrenti cicli del mondo, quando solo 2773 anni fa Romolo sul Palatino tracciava il limen, invalicabile dalla incalzante barbarie, della nuova Saturnia e ricompariva la Città antichissima, l’Urbe degli antenati, Roma l’Eterna.
Dopo giorni di assenza abbiamo ripreso a scrivere questi ultimi paragrafi e siamo giunti oggi al diciassette d’un marzo intenso di sole e di vento; arioso e soleggiato, quindi salubre. Un marzo combattivo, animoso; e noi ci affidiamo alla portentosa genialità della natura, confidiamo nella sua mente casta e ne accettiamo i provvidi consigli, attingiamo al suo magnetismo puro, sempre benefico a chi ha mente e cuore sinceri. Oggi è anche l’anniversario dell’Unità d’Italia, proclamata il 17 marzo 1861, e a Roma, nell’urbe dei nostri antenati, ricorrevano i Liberalia in onore di Liber pater, il dio della luce, primo a far conoscere il trionfo e dio della guerra e di quella disciplina guerresca che richiede al combattente un’assoluta padronanza dell’evento bellico. Di tale festività nella Roma antica il lettore troverà il racconto in questo sito alla pagina ‘AESTIVE’. Liber pater, primus auctor triumphi, il dio quirite che risveglia il coraggio e apre all’esperienza del guerreggiare; or veramente libero e sciente è chi debella egoismo e viltà e nobilmente si pone nella solare condizione (osservanza della lealtà, della fides, ottemperanza al buon consiglio) di concipere sine labe, pro patriae civitatisque libertate.
Tu certo (ci rivolgiamo sempre al nostro anonimo interlocutore) vorrai ammettere, e non di controvoglia, che di sovente nei nostri scritti ci siamo manifestati auspici del risveglio dell’UOMO e di un nuovo risorgimento del popolo italico il cui animo è ormai avvilito da stranio servaggio; intento sacrosanto, auspicabile anche per gli altri popoli d’Europa, tutti estremamente languenti e asserviti. Ma tu sei defatigato e disperi; ti sei lasciato logorare dalle artiglierie tivvudiche e quegli obici ti hanno devastato il cervello? O vuoi essere à la page, un uomo tranquillo, assuefatto al teleschermo? Così rinunci a coltivare la tua mente e a tener vivo il tuo animo e finisci col diventar preda di quel clero ambiguo e fanatico che dissolve il mondo in labili immagini, in fantasime senza neppur la visibile, benché impalpabile, realità dell’ombra e peraltro svanenti nei deliri delle febbri virali.
Nel primo pomeriggio abbiamo ascoltato al telefono un nostro conoscente, un nizzardo, italianissimo, non più giovane ma di mente sveglia e dotato di attento spirito d’osservazione; sin dall’adolescenza il nostro amico ebbe a mostrare una spiccata attitudine allo straordinario, rivelando persino facoltà paranormali. Si è intrattenuto a parlare su vari argomenti, soffermandosi poi su un sogno da lui fatto nella trascorsa notte. Attraversava un lungo e torto corridoio immerso in una inquietante semioscurità, quando il suo orecchio fu raggiunto da una vocetta lontanissima, estremamente fioca; la vociolina gli giungeva da una dimensione invisibile e comunque da un organismo straordinariamente piccolo; dall’esile golino d’una formicuzza? Eppure da quel susurro secreto, appena percepibile, emerse all’orecchio del nostro un discorsino, pressappoco siffatto: “Sono proprio io, il Covid 19, tanto bistrattato e calunniato, en verité un pauvre virus, un pauvret. Mi si vuol far passare per un criminale peggiore d’un bombardatore atomico USA, per l’infame ideatore della guerra batteriologica, ed altre nequità indicibili, e sono uniquement une vétille, una bagattella, una minuzia, una briccica submicroscopica. Si vuol far credere ch’io sia di provenienza cinese, ma nulla ho a che fare con quella gente; riuscite voi a immaginarmi con gli occhi a mandorla e il codino, con le Massime di Confucio sotto l’ascella destra e il Capitale di Marx sotto quella sinistra? Accidempoli, quanto ideologicamente involuta è la vostra mente! Io sono solo un povero diavolo; oddio! non voglio esagerare, sono solo un pauvre virus! Poi, i cinesi! Conta una popolazione di ormai quasi un miliardo e mezzo di individui la Cina, e noi, tutta la comunità dei Covid 19, siamo ben lungi dal raggiungere tali mastodontiche cifre . . . e voi a sostenere che abbiamo invaso il mondo intero . . . Bugiardi! Di tutti i malanni che siete capaci di procacciarvi volete accusare me, questa piccioletta cosa che io sono. Dite che vi ho dichiarato guerra e avete posto ovunque lo stato d’assedio; vi siete messi le maschere e se v’incontrate per la strada fate finta di non conoscervi, tanta l’inimicizia alimentata negli anni tra di voi; ve ne state barricati in casa per evitare la mia persecuzione, quando siete stati voi a mettermi in circolazione e a permettermi di andare in giro e addirittura di propagarmi. Ed io sarei il responsabile persino della vostra inerzia e della vostra sbadataggine? Voi diffondete il panico, vi ammorbate di strizza infino alle ossa ed io sarei il responsabile di questo immenso pandemonio che, dopo averlo scatenato, ora chiamate eufemisticamente pandemia. Eh, questa vostra inveterata mistica inclinazione a sentirvi importanti, autorevoli, necessari, e in ogni occasione, anche le più disgraziate! E qui, trascinato nello sporco giuoco, eh, no! nemmanco l’ombra d’un moscerino, solo un pauvre virus! E le più ignobili insinuazioni? come farmi derivare dalla pipì del pipistrello! Non è che io pretenda di venir fuori da una gocciolina di rugiada, nemmeno lo presumo, ma abbiate voi il coraggio di confessare il vostro infantile radicato timore per le membranose ali e il notturno svolazzio di quei chirotteri. Poi, l’accusa più grave, quella di geronticidio: la strage dei vecchietti! Ma che cacchio volete? Perché, a forza, volete attribuirmi una malignità che non posseggo e per mera non appartenenza alla vostra specie? Vero è che sono anche mancante del pregio della bontà e per il motivo ora detto. Circolo indifferentemente dappertutto, non sono in grado di distinguere i giovani dai vecchi, i maschi dalle femmine, il sano dal malato, sono un piccolo germe submicroscopico, che solo l’occhio esperto riesce a leggere sotto la lente. Mi definite un agente patogeno perché causo influenze, raffreddori, malanni eccetera . . . dopodiché mi concedete anche una corona! La corona! che me ne faccio io d’una corona, dove volete che me la metta? Piuttosto provvedete a scornare la cor(o)nata fronte del mio autore. Quel prepotente, che vuol essere il padrone del mondo! A lui strappate dal capo la corona! A lui, quel volgare soverchiatore che vi tien sottomessi, togliete il malvagio potere; strappategli dal capo maledetto la corona e fatela a pezzi. Io sono solo il Covid 19, un pauvre virus. E ancora, dovete alleggerire voi stessi, le vostre fronti, liberarvi del corno duro dell’egoismo; neppure immaginate quanto vi rende ridicoli il vostro egoismo, ridicoli e ciechi. Eh, l’egoismo che apre la via all’imbarbarimento, ai morbi stranei, ai contagi! Ebbene datevi da fare, attrezzate la vostra sanità, le vostre difese immunitarie, rafforzate la vostra scienza medica, ma soprattutto curate la conoscenza, quindi l’alta sapienza medica, la sapienza salutifera, quella che viaggia sulle ali dell’alato Mercurio che è il Sole, la Mente del Mondo. E innanzi tutto chiamate al timone del vostro vascello il buon Nocchiero; occorrono reggitori degni e non asserviti, non ombre ma uomini, uomini liberi e saggi, così come urgono governanti leali ed esperti, con l’animo nutrito d’amor patrio. La vostra salvezza è il ritorno alla Patria. Alla Patria vera, quella degli Avi. Alla Patria, tornate alla Patria! E ricordate bene, tutto dipende da voi, dal vostro spirito di sacrificio, dal vostro impegno nel buon combattimento, nel combattimento ben mirato e giusto. Siate uomini! . . . Je suis seulement un pauvre virus, una coserella, presque rien. Voialtri, poi, demagoghi e simili, non prendete in giro la gente propalando “distruggeremo, annienteremo il virus”, questa è solo una sbruffonata da smargiassi, sapete bene che non potete farlo, che i virus ci saranno sempre. Ce li avete addosso da sempre. Tra voi solo i veri saggi conoscono la buona medicina e sanno che per preservare gli uomini dai vizi, dalla follia e dal pericolo dei contagi, occorre insomma per debellare il male, sconfiggere la viltà”.
Questo il sogno del nostro amico del quale conosciamo il coscienzioso autocontrollo cui sempre sottopone le sue facoltà di sensitivo. Certo che si trattò d’un sogno nel sonno, però non del sogno d’un dormiente, e intendiamo bene che non fu certo il virus a parlargli, ma una voce altra e pur serenamente saggia.
Non trascureremo qui nemmeno il racconto di quei fatti che solo una settimana prima egli ci aveva riferito, perché straordinariamente accostabili al paurevole VAIRUS (un demone delle devastazioni e tale palesatosi ultimamente) di cui al titolo del nostro scritto. Si tratta di svariate dicerie e di una strana storia che circolava da molte settimane per i corridoi e gli uffici del Palazzo ministeriale. Fin da quando il nuovo Ministro aveva fatto la sua prima comparsa, dagli uscieri ai funzionari, dagli impiegati ai sorveglianti, insomma tutto il personale non aveva fatto altro che ciarlare dell’aria da bambolo di quel giovanotto, del suo sguardo incerto, vacuamente medianico, ma perfettamente collimante con il look rigoroso d’un alto dirigente cimiteriale. Si notava, tra tutta quella gente, un’agitazione insolita in un ambiente aduso alla flemma diplomatica; un senso di malumore e addirittura d’impazienza s’avvertiva in quei corridoi, in quegli uffici destinati a una costante circospezione e cautela; i media avevano ormai trasmesso l’allarme, i politici e i governanti per patente inettitudine peggioravano ulteriormente lo stato delle cose: un morbo contagioso si diffondeva nel paese. Il capo politico del Dicastero aveva allora telefonato alla Ministressa degli Interni per avere delucidazioni sull’estensione dell’epidemia e sul numero dei contagi. I politici, non lo s’ignora, avvertono sempre all’occorrenza l’esigenza di darsi importanza, e immancabilmente avvenne che quella telefonata aggravò lo stato di panico e di sconforto dell’incauta cornetta ricevente. L’atmosfera del Palazzo era a questo punto più che triste, funerea. Si sentì l’orologio della chiesa vicina scoccare le ore, ma nessuno ci badò; lo sguardo vacuo, medianico, di quel fantoccio del cravattino come lo chiamavano i ministeriali, vagava per i corridoi, per le scale, dovunque per gli uffici del Ministero. L’aria s’era fatta greve, opprimente, la mente e la vista dei dipendenti s’andavano appannando, ma ancor tutti assicurano d’aver veduto disserrarsi le labbra del bambolo, che appariva sbiancato e caduto in trance, e dalla bocca fuoriuscirgli una singolare forma ectoplasmatica che pronunciò delle sillabe dense e cupe: va i rus . . .
Di ciò si parlò per giorni in quel palazzo e fuori e, invero, anche si sragionò; se ne parlò come di uno svarione del ministro in un momento di stanca, d’uno sbaglio di pronuncia, e così fu anche riportato dai media e dalla stampa, persino con qualche battuta ironica o risolino malizioso.
Lottiamo contro un demone . . .
Xi Jinping
Conviene ora ricordare che l’intraprendente Ministro, sulle orme di Marco Polo, si era già recato in visita nella immensa Cina per rinnovare il business dell’antica “via della seta”. In quella occasione i dirigenti cinesi furono molto interessati ai cravattini di seta che quel bamboccio venuto dall’Italia indossava nelle varie ore della giornata, ma non riuscirono a decifrare cosa si nascondesse sotto quei cravattini. Dovete sapere che quei dirigenti prendevano ambiziosamente le mosse proprio dalla storia della passata grandezza della Cina e del suo Impero d’un tempo, nel quale essi si riconoscevano pienamente, quell’Impero che s’era rapportato sulla via della seta con un’altra grandezza storica che fu appunto il Romano Impero. Ebbene in quel politico italiano gli asiatici non riscontrarono nulla che soddisfacesse quella legittima ambizione, parve loro che il personaggio fosse addirittura digiuno di memoria storica circa i suoi luoghi nativi e dell’attinente cultura, ma piuttosto nutrito di mercantilismo yankee e di strascini sessantotteschi con l’imbellettatura d’un lezioso politichese social-russoiano. Per la loro atavica diffidenza supposero addirittura che non fosse quella la persona del Ministro, ma di un addetto qualunque di quel dicastero, immaginarono perfino la sostituzione con un sosia durante il viaggio, o, e siamo al massimo dell’ubbia, vi riconobbero un revenant . . . al punto che dappertutto per la capitale s’udì lungamente il suono dei gong e dei campanellini!
Poi al Ministero degli Affari Esteri di Cina giunse una relazione sui fatti verificatisi negli uffici romani del Palazzo della Farnesina, in breve la storiella del “paurevole VAIRUS”. Avevano visto giusto, non s’erano punto sbagliati, quel personaggio aveva attorno a sé un’aura spiritica inquietante, e si prestava ad esser davvero duplicato, triplicato, replicato più volte; non eran essi solo dei sospecciosi, quindi! La credenza nei demoni e negli spiriti, così come il culto delle anime degli antenati, è antichissima in Cina, né il marxismo è riuscito a sradicarla; i nostri lettori non dovranno quindi meravigliarsi se quei cinesi, impressionati dalla paranormalità del caso e del singolare personaggio che appariva ai loro occhi mandorlati come uscito dal cilindro d’un gran mago dei tempi che furono, ne interessarono immantinente i loro servizi segreti.
I servizi segreti cinesi sono, in tutto il mondo terraqueo, i più singolari, i più originali, i più celeri nelle ricerche, persino a investigare nell’invisibile, in sintesi i più segreti e mirabolanti che ci siano. Vi prestano servizio specialisti delle varie branche scientifiche, esperti di religioni, di cabala, di storia anche antica e del diritto dei popoli tutti, di scienze occulte, di demonologia, di spiritismo, dell’extrasensoriale e della parapsicologia. Così in men d’una quarantott’ore e risalendo a poco più di cinque secoli or sono, i cinesi avevano nei loro schedari il profilo completo del personaggio e pur di parecchi suoi predecessori.
Cosa siam venuti a sapere dal nostro amico nizzardo, esperto in fenomeni paranormali? Poco, quasi nulla.
Con l’editto di Granada (31marzo/31luglio 1492), i cristianissimi reali di Spagna Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona costringevano i Sefarditi alla conversione dall’ebraismo, pena l’espulsione. I regnanti erano stati indotti a ciò dal loro confessore, il Torquemada, un frate domenicano che discendeva da una famiglia di ebrei convertiti; proprio lui, il famigerato e primo Grande Inquisitore. Tra quanti rifiutarono la conversione e dovettero prendere la via dell’esilio nei mesi successivi al luglio di quell’anno c’era un rinomato cabalista, studioso di demonologia, ma anche con una fama tristarella di negromante; si diceva che fosse capace di sdoppiarsi e far comparire accanto alla propria la figura d’un suo ascendente defunto o addirittura quella d’un suo discendente, un revenant dunque! Questa fama lo raggiunse anche nel napoletano dove finì i suoi giorni terreni dopo esser stato costretto a farsi marrano (così venivano chiamati i conversi). Ma, fianco a fianco con il vecchio marrano, in molti giuravano d’aver veduto anche un meno canuto cabalista. Il nostro amico sensitivo aggiunge di suo, che attraverso lo studio della demonologia quel remoto personaggio avrebbe raggiunto la ferma convinzione che le epidemie sono causate da demoni; tra le epidemie comprendeva anche le grandi persecuzioni, le rivolte sociali sanguinose, le carestie e le ondate di barbarie con le conseguenti guerre. Si sarebbe poi convinto che i succhi velenosi, così s’usava a quei tempi indicare i virus, venivano suscitati da demoni e manipolati, cioè artefatti, alterati, dosati, da uomini malvagi che fan con essi demoni comunella. A quei demoni e uomini demoni avrebbe affibbiato il nome, che appare misterioso ma non lo è, di VAIRUS; tale denominazione, infatti, non sarebbe derivata da una pronuncia errata del termine virus, ma dall’errata trascrizione del vocabolo latino varius nell’alfabeto della sua lingua oppure in caratteri demonologici, complice forse anche la pronuncia sefardita. L’aggettivo varius, comprende difatti, oltre il significato di variato, screziato, anche il senso del mutevole, del mobile, del volubile (da lat. volvo, che tende a volgere, quindi che si può sottoporre a variazione). VAIRUS, in effetti, sarebbe il demone delle mutazioni, delle ibridazioni, il demone che sta dietro l’ingegneria genetica, lo scorridore ch’è alla testa della devastazione che il mondo sta subendo, che adopra batteri e virus ingegnerizzati nei suoi deliri di guerra economica, psicologica e via dicendo. Tanto da parte del nostro perspicace amico, e nulla più. Noi ci asteniamo da ogni commento, onde lasciar libero il lettore d’immaginar la storia a modo suo.
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Questo scritto doveva esser pubblicato il giorno della festa dei Liberalia (17 marzo), ma i ripetuti decreti restrittivi del governo ci han messo sull’avviso; trattenuti quindi dal rischio d’incorrere in insolvibili pene pecuniarie? Si è che a un certo rigo dello scritto prende la parola il Covid 19, cioè il virus in persona, spargendo in giro il suo alito pestilenziale. Possiamo oggi rassicurare i lettori. Abbiamo interpellato virologi di fama mondiale e preparatissimi giuristi, che dopo aver elogiato la nostra scrupolosa fiducia nei controlli della scienza, ci han riscattato, con giudizio insindacabile, da ogni timore. Quel discorso è pronunciato in uno stile perfettamente asettico. Per altro, il lettore prudente avrà indubbiamente evitato di ascoltare il discorso covideolesco, saltando a piè pari quelle righe.
nell’anno duro, sul finire di marzo