UA-183009551-1

LA LANCINANTE PUNTURA

                                                  

 

 

LA   LANCINANTE PUNTURA

 

 et acri Scorpios ictu

 

 

   Definisce Manilio acre puntura quella dello Scorpione, che, sempre a suo dire, è – “et dumosis Scorpios arvis” – lo Scorpione delle lande coperte di rovi, intendendo così ascriverlo al tipo dei segni di terra, infatti altrove aggiunge “Scorpios incumbens plano sub pectore terrae”, lo Scorpione con petto piatto aderente alla terra. Anche Ovidio ne evidenzia le “curva spicula”, i ricurvi aculei.

 

   In un pomeriggio della scorsa estate ci capitò di cogliere il gatto di casa lungamente intento ad osservare un punto nel muretto di cinta ove sono incastrati dei mattoni. Il gatto, ancor molto giovane, fissava con estrema curiosità il cauto movimento della chela d’uno scorpione nascosto dietro un mattone; poco dopo, un sussulto, era apparsa l’altra chela, ma all’istante il micio si ricompose. Il nostro sapeva che dietro il mattone ‘qualcuno’ si muoveva con estrema cautela e che altrettanto gli spettava fare, a quel lento arrischiarsi doveva contrapporre una attenta immobilità. Poi, e d’un tratto, lo scorpione sporse lo scudo dorsale su cui si trovano i suoi due occhi e sostò, il gatto non si mosse. Trascorsero istanti in cui gli occhi mediani dello scorpione dovettero incontrare quelli fosforescenti del felino, dacché d’un colpo si ritrasse. Il gatto attese, ancora per un po’ immobile, e infine cominciò a dimostrare il suo disappunto annusando con cura il terreno tutt’ attorno come se quello lì se lo fosse inghiottito la terra.  Dopo alcuni giorni trovammo i resti dello scorpione proprio in quel punto. Il gatto non aveva desistito, probabilmente quel muoversi di soppiatto, quei neri pungigli e il rapido scomparire avevano destato in lui un qualche sospetto; e qui non conviene supporre altro. Ma: “Saepe est et subdolus actus:/ Scorpios aspergit noxas sub nomine amici”, e lo dice Manilio, definendo ‘spesso subdola la condotta dello Scorpione, che reca danno fingendosi amico.’ Il gatto, comunque, s’era scontrato con uno scorpione terrigeno, mentre ignorava e del tutto ignorerà la virtuosa luminosità di quel “pungiglione” nei cieli: “inter caudam, qua Scorpios ardet”, ‘tra la coda per dove lo Scorpione risplende’, e ancora, “ardenti fulgentem Scorpion astro”, lo ‘Scorpione fulgente con l’ardente stella’ (la rossa stella di Ant-ares), tutte note di Manilio; ma ugualmente Virgilio nelle Georgiche lo dice fulgente, “ardens Scorpios”. Ovidio, poi, sottolinea che “scorpion immisit Tellus”, ‘fu la Terra a generare lo Scorpione’. Dunque, ciò che sulla Terra nasce può rifulgere nei cieli al pari degli astri? Sì, ma ciò avvenendo giusto secondo l’indole e se propensa questa è alla virtù, quindi all’operar bene; quel bene operare che è laude e gloria, cioè un rifulgere d’astro:

 

   “anne novum tardis sidus te mensibus addas,

   “qua locus Erigonen inter chelasque sequentis

   “panditur (ipse tibi iam bracchia contrahit ardens

   “Scorpios et caeli iusta plus parte reliquit).

 

‘Che tu vada, nei mesi più lunghi dell’anno, ad aggiungerti nuovo astro, là dove uno spazio si apre tra Erigone e le prossime chele (sua sponte infatti il fulgente Scorpione contrae le branche e ti lascia la giusta e piena parte di cielo)’. Trattasi, appunto, di una declamazione virgiliana (Georgiche, libro I) di laude e di gloria, giustamente indirizzata per gli altissimi meriti all’Augusto, Ottaviano Cesare.

 

   Lo Scorpione ha portato le piogge e le brume di novembre con giornate bige e nubilose, ma anche caldi meriggi quasi estivi, albe pure, straordinari tramonti e limpidi firmamenti notturni. Salutevole l’ampio respiro della viride valle, lieta di tanta acqua e di tanto sole. Trascorrono i giorni e ormai la stagione volge al Sagittario che, teso l’arco, punta alla coda dello Scorpione missurus iamque sagittam, con quella saetta che vola veloce per dare inizio all’inverno, “bruma Sagittifero”; è un segno che corre, così disposto dall’universa natura, l’Arcitenens, simile in questo al Leone e all’Ariete. E l’anno duro si prepara a celebrare il solstizio e ad accogliere l’inizio dell’inverno. E ciò al fine che tutto concordi nonostante le opposizioni, come Manilio canta nei bei versi:

 

   Hinc rigor et glacies nivibusque albentia rura,

   hinc sitis et sudor nudusque in collibus orbis,

   aestivosque dies aequat nox frigida brumae.

   Sic bellum natura gerit, discordat et annus,

   ne mirere in ea pugnantia sidera parte.

   At non Lanigeri signum Libraeque repugnant

   in totum, quia ver autumno tempore differt

   (fructibus hoc implet maturis, floribus illud)

   sed rationi pari est, aequatis nocte diebus,

   temporaque efficiunt simili concordia textu

   permixtosque dies mediis hiemen inter et aestum

   articulis uno servantia tempore utrumque,

   quo minus infesto decertent sidera bello.

 

    (Di qui freddo e ghiaccio e i campi bianchi di neve,/di qui sete e sudore e nudo sui colli il mondo,/e pareggia i giorni d’estate il giorno più corto dell’anno./Così la natura guerreggia, e procede per contrasti l’anno,/né stupisca che in tal collocazione le stelle confliggano./Ma il segno del Lanigero e quello della Libra non interamente/discordano, perché primavera da autunno si distingue/(quello si riempie di frutti maturi, l’altra di fiori), ma è per una similare ragione, i giorni uguali alle notti,/e con un somigliante tessuto armonizzano le stagioni/e frammisti contengono i giorni con equi rapporti tra inverno ed  estivo ardore, con la stessa durata entrambe,/onde le costellazioni contendano con men funesta lotta.)

 

     Oggi, che già scalcia frettoloso il saettiere dalla groppa e dall’ungula equina, or ora entrato sulla scena del firmamento, l’Arcitenens, il segno che corre incontro alle invernali gelate, non vogliamo trascurare di botto lo Scorpione, che amatissimo dalla Libra, lento indugiava in estive nostalgie e che, per non farsi dimenticare, è ricomparso integro nella sua veste terrigena a passeggio sul davanzale di marmo grezzo della nostra finestrella. È lì, a godersi gli ultimissimi sprazzi del suo sole che si compiace di blandire il soffio insistente della   tramontanina percorrente la valle. Vogliamo essergli grati per le belle giornate estive a noi donate in pieno novembre, giornate saturnie, radiose nel sole almo che sempre, come canta Orazio, uguale nasce e nuovo sulle nostre felici, saturnie contrade. Scongiuro possente, solare, atto a tener lontano ogni ammorbamento, ogni imbrattatura covidiolesca, murina, bubbonica, quartana che sia o, peggio di tutto, i deliri, le deliquescenze, gli struggimenti dello spiritato tribadismo, incluso quello dei fregamenti e strofinamenti tivvudici, un encefalico arido continuo confricare.  Siamo tenuti quindi a ricordare qui dello Scorpione la mitica, singolare vicenda e per qual ragione la costellazione di Orione è, tra tanti astri, costretta a perenne fuga.

 

   Orione era un giovine incolto, ma d’imponente statura, che condivideva con Diana la passione per la caccia. Era un cacciatore gonfio di superbia e menava vanto delle sue stragi. Disonorava l’arte della venagione. Nella sua ‘Mitologia astrale’, lo scrittore Igino, mitografo del tempo di Augusto, racconta che il giovane cominciò a millantare la sua superiorità venatoria fuor d’ogni misura, vantando di poter far strage di omnia animantia quae terra genuit; e la Terra ne fu tanto indignata da mandargli contro uno scorpione che lo uccise. E Giove premiò lo Scorpione ponendolo tra le stelle come perenne ammonimento alla presunzione e alla tracotanza degli uomini. Diana, che aveva avuto Orione compagno di caccia, pregò Giove di fare altrettanto per lo sventurato e Giove esaudì anche la sua richiesta, ma collocando il vanaglorioso nel luogo dei suoi tramonti proprio al sorger dello Scorpione. Pertanto Germanico negli ‘Aratea’ supponeva che l’infelice Orione ancor paventasse velenosa ferita per il continuo timore dell’atroce pungiglione, ché il greco Arato nel su famoso poema ‘Fenomeni’, da cui Germanico trasse ispirazione, aveva pur affermato che, al sorger dello Scorpione, la pur imponente costellazione di Orione si cela sotto l’orizzonte ad ovest, cercando scampo nella fuga e rifugio ai confini del mondo. Tanto atterrisce la lancinante puntura quando colpisce la presunzione e infligge il castigo alla hybris, abbattendo il misero umano che si crede potente e invincibile gigante. “Creverat immensum”, era cresciuto enorme, dice Ovidio raccontando a sua volta questa astrale storia; non va dimenticato che anche la Terra è un astro, un astro fatto di roccia. Ed enormemente cresciuta, praeter modum, è l’umanità di questi tempi ultimi; cresciuta in protervia progressista, in protervia scientista; cresciuta nell’atea protervia che la trascina in contrasto con il Cielo padre, in conflitto con la Terra e con il suo materno clima, in discordia con la Natura . . . cosicché si esercita impudenter nell’inversione di ogni naturale tendenza, il colmo di un’anarchia furens eccitata dal protervo ideologismo democratico, che, negando le necessarie distinzioni e i naturali confini, ha spalancato le porte degl’inferi . . . Protervo è il vile ostinarsi di questa escrescenza nella perversio, una rovinosa irragionevolezza, che agendo in difetto di fede e quindi di verità, tutto umilia e avvilisce, tutto rende mediocre, comune, trito e ritrito, intestandosi a perseguire il destino democratico, un fato senza il lume d’un proponimento fermo nel divino fine; e in ciò, perfidiosa presunzione!, pretende coinvolgere l’universo intero. Un corpulento gigante che conculca, calpesta, oltraggia, opprime . . .  Il cacciatore degenere, snaturato, che tende violente insidie e perseguita la selvatichezza, la terrestre naturale feritas, per proprio diporto, trascurando la misura e oltraggiando così la sacra riserbatezza della Terra, che è appunto il suo tratto brado, libero, silvestre . . . lui, Urione/Orione, il cacciatore tralignato, il piscio degli dei, che tale fu la sua nascita a dir dei mitografi . . .

 

   E, scorpion immisit Tellus; Scorpios che munito è di curva spicula . . . dalla lancinante puntura!

 

   martedì, XXIV di novembre dell’anno duro