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JOVIS JUPITER

                                                       

alle origini del mondo

la più antica tiara è nel nostro orto

(sumerica, forse?)

 

 

J O V I S   J U P I T E R

 

Caelo tonantem credidimus Iovem regnare . . .

                                                 ORAZIO

 

   Una tranquilla serena allegrezza ha coinvolto la compagnia, ed anche un’alacre cordialità; in breve una gioviale contentezza. Sarebbe però ingiusto non riconoscere, in questa giovanile disposizione degli animi, solidalmente congiunta all’attempata età, e nella natura ancora incline ad estive esuberanze in questo inizio di settembre, un’aura propizia, una salutare atmosfera. Placide, giovevoli giornate settembrine, calde con misura e lucenti nel raggio d’un sole amichevole, fertile d’intimo gaudio. Quel sole che in tempi molto antichi, come ci ricordano spesso gli autori classici, era chiamato occhio di Giove.  Nel calendario romano tutte le calende erano assegnate a Giunone, con eccezione di quelle settembrine attribuite al culto di Giove, cui negli altri mesi spettavano le idi. Il mese si apriva dunque con una festa a Giove e precisamente con una festa a Giove Tonante sul Campidoglio, mentre congiuntamente sull’Aventino si festeggiava Juno Regina. ‘Che Giove regni nel cielo è attestato dal tuono e dal fulmine’, intona in una ode ai Romani decisamente Orazio. Il tuono, il cui rombo abbraccia lo spazio di tutta la vallata e risonando fragoroso va a frangersi, svanendo, tra le pendici dei monti; e il fulmine la cui luce folgorante e improvvisa s’espande in un lampo fiammeggiante, Iuppiter Lucetius. L’antico attributo di Elicius invece era collegato alla sua dote di vincere la secchezza diffondendo l’umido nello spazio, e quindi allo scaturire e al grondare delle piogge.  Questa gioviale espansività che è propria dei cieli la troviamo dappertutto sulla terra e l’avvertiamo in noi stessi quando ci apriamo alla comunicatività e alla concordia, quando spingiamo la nostra coscienza ad espandersi oltre i mediocri limiti delle abitudini. E questo era, ai tempi di Roma, il significato e il prezioso contenuto divino, per cui la grande rilevanza e il precipuo valore attribuito al culto di Giove Tonante sul Campidoglio. Alle calende di settembre si svolgeva la festa attraverso la quale si provvedeva alla crescita e all’espansione della concordia nell’intera civitas romana, nonché all’espansione e al potenziamento del suo primato di civiltà e diritto, nell’imperio della verità, della giustizia e della verecondia. Così si presagiva, così si preconizzava per la salute delle genti. Signore e dominatore dell’atmosfera, Giove, il dio sovrano era anche elargitore degli auspicia, gli Auguri ne erano i suoi interpreti, lo Stato romano ne traeva giovamento.

 

   Di notevole rilevanza il rituale che si celebrava alle idi di settembre con un banchetto sacro dedicato a Giove, epulum Iovi, e i Ludi Romani Magni in onore di Giove Capitolino che si estendevano dal 4 al 19 settembre e venivano eseguiti nel Circo Massimo. Erano introdotti da un solenne corteo che partiva dal Campidoglio e nel quale figurava tutta la gioventù romana inquadrata militarmente in schiere di cavalieri e di fanti; seguivano le bighe, cavallerizzi e schiere di atleti; poi danzatori con rosse tuniche ed elmo crestato, con nel pugno una lancia, si esibivano in danze guerresche musicalmente intonate da flautisti e citaristi che li seguivano. Chiudeva il corteo la solenne sfilata dei simulacri degli dei portati a spalla. Il mese di settembre era quindi il mese festivo di Giove.

 

   In queste serate serene, mirando appena abbuia il limpido firmamento, ci appare il vivido splendore dell’astro di Giove, poco distante e sulla stessa linea Saturno, più distante il fulvo Marte che s’avvicina. E, quaggiù, se n’avverte l’azione espansiva, aperta alla cortesia, all’affabilità. Un influsso gioviale tocca i sensi e rinvigorisce il senno di coloro che son disposti ad accogliere nell’ intemerato animo il respiro sovrano del Padre degli uomini e degli dei e, nel fugace corso della giornata terrena, il fuoco, il lume della sua Patria Potestas.  L’affermazione, nelle pronte volontariose genti, dei valori spirituali, tale virtuosità, la virtus et firmitas animi, dovendo a ragione prevalere sulla mutevolezza, sulla precarietà dell’esperienza meramente sensibile, onde dar trascendente significazione anche alla mera fisicità, alla stessa natura corporea; separare e liberare la figura e la mente umana da qualsivoglia gravezza, grossolanità d’una materia non rifinita, manchevole, per portarla ad una condizione di sanità e da lì elevarla alla salvezza. Occorre quindi confidare in quella mente somma che ha il governo della fortuna, quella prospera, Felix, la Fortuna virile.

 

   In tal guisa volge agli astri il suo canto Marco Manilio:

 

At, quae fulgentis sequitur fastigia caeli                                                 

proxima, neve ipsi cedat, cui iungitur, astro, 

spe melior, palmamque petens victrixque priorum

altius insurgit: summae comes addita finis,

in peiusque manent cursus nec vota supersunt.

Quocirca minime mirum, si proxima summo

atque eadem integrior Forti veneranda dicatur

cui titulus Felix.  [ . . .]

Iuppiter hac habitat: Fortunam crede regenti.

  

   Espone l’Autore degli Astronomica (II, 881- 890): “La regione che sta subito appresso l’apice del fulgente cielo, onde non essere inferiore all’astro al quale s’accosta in congiunzione, presenta migliori speranze e si leva più alta aspirando alla palma, vittoriosa sulle precedenti: è assegnato ad essa d’accompagnare l’estrema fine, e cessano difatti le tendenze al peggio né residuano appetiti. Per conseguenza c’è poco da stupirsi se prossima al culmine e più coesa, veneranda è consacrata alla Sorte e il suo titolo è Felix, la Prospera Sorte.  Giove quivi ha la sede: a colui tu affidati che regge la Fortuna”.

 

   JOVIS (nominativo antico del dio attestato in Ennio), in greco Zeus, padre degli uomini e degli deiZeus Keraunios, il dio che discende manifestandosi nel fulmine, il dio che lampeggia, il dio che rischiara; Dyaus nel vedico, il dio del giorno, dall’ind.e. Dieus la cui radice è DIU-DIV=splendore. Lucere! Essere luce, dio. E padre, quindi, degli uomini e degli dei: Jupiter. E Macrobio (Saturnali, I, 15-14): [. . .] “Difatti noi riteniamo Giove l’autore della luce (per cui i Sali nei loro carmi lo celebrano come Lucezio e i Cretesi chiamano Giove il giorno e anche i Romani lo chiamano Diespiter, cioè padre del giorno), e giustamente quindi viene ritenuto Iovis fiducia questo giorno la di cui luce non cessa con il tramonto del sole, sed splendorem diei et nocte continuat inlustrante luna; questo di solito accade nel plenilunio, cioè a metà del mese. Il giorno, dunque, che tiene lontane le notturne tenebre, il momento più luminoso del mese lo chiamarono Iovis fiducia.” Sempre Macrobio ci tramanda che, accadendo ciò a metà del mese, gli antichi sancirono che si celebrasse in quel giorno, le idi, la festa di Giove, intendendosi per “idus” il giorno che divide il mese.

 

   L’espressione Iovis fiducia abbiamo preferito serbarla nel suo latino per non comprometterne, correndo il rischio di cattolicizzarlo, il significato più riposto, ma autentico. Cerchiamo di accostare o quanto meno di portarci vicino a questa originalità. Originalità che risalendo a ritroso i millenni giunge alle nostre antiche genti, che infatti da esse, illo tempore, ai padri latini era pervenuta. La Iovis fiducia, quella virtus et firmitas animi che fa dell’uomo veramente libero il confidente del Cielo, del summus et singularis Vir il sicuro testimone in Terra della sovranità del Padre degli uomini e degli dei.

 

   Ma non dimentichiamo il tono adatto a condizioni o situazioni più semplici, più elementari, l’attenzione appropriatamente decrescente, il discorso dimesso, la diversità e la misura delle dimensioni, “suum cuique tribuere” avverte Cicerone, e Macrobio ancora: “Come credo, ti ho provato che non va disprezzata per nulla la condizione servile, cum et Iovem tetigerit cura de servo, e molti tra questi, risulta certo, furono fedeli, previdenti, coraggiosi e anche filosofi”. La fiducia Iovis, di chi è onesto e solvibile, cioè pronto a mantenere e solvere la propria promessa, ad adempiere a un dovere, di non trascurare l’ufficio di responsabilità di cui si è investiti, di non venir meno alla comitas, quell’affabilità, cortesia, amabilità che fondano la religio d’un popolo e il suo viver civile e in concordia e, suscitando ammirazione, gli procurano il rispetto delle nazioni. Ha in sé stesso la fiducia Iovis quel popolo forgiatore di caratteri nobili, che sappia avvalersi d’una savia classe politica, di guide sapienti, di educatori rispettosi delle patrie tradizioni e obbedienti alla patria cultura. Un ceto dirigente che esprima la fiducia Iovis con liberalitas, cioè con il lume del buon lignaggio, la generosità, la magnanimità del cuore che dona alle genti l’amorosa visione, la visione salvifica della caelestis via. Il respiro sovrano del padre degli uomini e degli dei, l’influsso benevolo della sua trascendente patria potestas su una gens, su un populus, su una civitas concorde, in grado a sua volta di esercitare, giovevole e salutifera, la potestà patria correttamente ristabilita, e di preparare la giovane prole, la propria libera figliolanza, al servizio nobilitante della patria nel vivo ricordo dei suoi eroi, dei propri avi.

 

    Torniamo un tantino a Macrobio: “Minerva [. . .] è virtù del sole, come attestato da Porfirio che asserisce esser Minerva la virtù del sole che provvede di prudenza le menti umane. Difatti per tal ragione il nascer si tramanda di questa dea dalla testa di Giove, id est de summa aetheris parte edita, unde origo solis est, cioè dalla parte più elevata dell’etere, onde il sole trae origine”.

 

   Concretezza (oggi, con sminuente locuzione volgarmente utilitaria, il ‘senso pratico’) e saldezza, consistenza spirituale, per il romano erano in realtà un tutt’uno e senza rischio di ateo-materialistica confusione, dato ch’egli, il Quirite, s’assicurava un fausto, sciente vivere nella realtà di fatti degni della divinitàe nel suo agire aveva sempre presente il nume ch’è dietro ogni realtà concreta, perciò mai trascurava il genio tutelare, la guida custode nell’intimo sé, l’omerico Mentore, l’avito santo modello. Sempre tendente all’eccellenza, alla perfezione, la romana volontà era in ogni tempo indirizzata a riportare l’immanente al trascendente.

 

   Ancora un briciolo di prosa simposiaca da I Saturnali: “. . .  aestimaverunt antiqui animas a Iove dari et rursus post mortem eidem reddi”. Certo, sub divo! Aere ad aere . . . flatus . . . efflatus . . . spiritus . . . anhelitus . . . efflare animam . . . aura, lenis ventus sub divo! Da Giove a Giove. Lasciate viaggiare il soffio, non vi lasciate illudere dai catto-paradisi! Poi, ma arduo discorso, c’è l’ascesa dell’Eroe; dall’aer all’aether, il catasterismo, la metamorfosi erculea dopo le immortalanti fatiche: in aethere astra gignuntur a dire del romano oratore, gli astri nascono nell’etere. Ed è Giove il rex  aetheris altus, l’alto re del cielo a dire del vate romano. Per tanto conveniamo con il poeta greco, con l’antico Arato, che disse: “tutta la Terra è piena di Zeus”. E concludiamo con Virgilio (bucolica III, v. 60): “Ab Iove principium Musae, Iovis omnia plena”. E aggiungiamo pure alcuni versi di Anneo Lucano (Farsaglia L. IX): “estque dei sedes nisi terra et pontus et aer/et caelum et virtus. Superos quid quaerimus ultra? / Iuppiter est quodcumque vides, quodcumque moveris”. (è sede del dio la terra e il mare e l’aria e il cielo e la virtù. Come mai cerchiamo altrove i Superi? Giove è tutto quel che vedi e avverti). Ab Iove principium. Iovis omnia plena. Vi appaiono oscure, queste virgiliane enunciazioni? Che racchiudano forse un senso allegorico?

 

   Ma, no! Occorre semplicemente e con retto cuore liberare la mente, anzi profondamente disintossicarla, sbattezzarla d’un immaginario fittizio, purtroppo ultra millenario, dominato da un dogmatismo addirittura paesaggistico, che proietta le menti, gravate da un’inferma secolarità, e le costringe e le logora in infiniti aldilà di dannazioni ed ebeti beatitudini eterne; tutta fuffa per spillar quattrini. Necessita svincolarsi dal dogma dell’eterna ebetaggine comunistizzante; ravvedersi dei pastrocchi linguistici e concettuali imbastiti negli anni dalla malizia dei meticciati clericali. Repellere quel fetore di sagrestia, quel tanfo di untuoso, di sudaticcio pretesco, che emana dai confessionali. E ancora rimuovere quel monolito che hanno imposto sui crani e che ha schiacciato gli ariosi pensieri e i gioviali animi con il terrore della sua “eterna onnipotenza” scopiazzata dal modello del giudaico Yahweh, riprodotto nel dogma monoteista del Padreterno e del Deus Optimus Maximus inciso sulle lapidi ecclesiali; quest’ultimo ricalcato dal teologismo etrusco, che impose ai Romani – ormai stavano per fare ingresso nella moderna storia – il Giove Ottimo Massimo della cosiddetta Triade Capitolina, Giove Giunone Minerva, un Giove molto simile al loro Tinia, dio orientaleggiante, in sostituzione della Triade arcaica, integramente  e totalmente latino-romana, Jupiter Mars Quirinus, che fece grande la gloria del Campidoglio e continuò, per segrete sotterranee vie, a sostenere Roma nelle più difficili evenienze e a felicemente manifestarsi nei tempi augusti; quei tempi scelti, in cui Roma vuole farsi udire e  tutto è gioviale, tutto è pervaso di Giove: Iovis omnia plena.  Ab iove principium, dunque!

 

   Iovis–Iove, rispettivamente genitivo e ablativo (Iovi dativo, Iovem accusativo) di un nominativo Jovis, attestato nell’arcaico poeta Ennio, ma soppiantato ovvero volutamente sostituito dall’indeclinabile Jupiter. L’immutabilità e l’universalità sono i caratteri essenziali dellESSERE, che vanno al di là delle specifiche o fenomeniche sue qualità, delle sue manifestazioni concrete. Iupiter, il padre degli uomini e degli dei, cioè la sua ferma, indeclinabile patria potestas, trascendente potestà che si estende ovunque nell’universo dato che, come afferma Talete, “tutto è animato, tutto è pieno di dei”, quindi Iovis omnia plena. Sulla Terra, quella trascendente patria potestà investe tutto e s’amplifica nel genere umano, per elevarsi con la tutela dello ius (il barbaro escluso) a supremo magistero, maxima civilis peritia ac scientia. Maestria così tanto familiare al Quirite, in quanto disciplina avita; insegnamento tradito more maiorum, secondo le tradizioni degli antichi Padri. Iovium ligamen: da tal vincolo ordine, concordia, verecondia, giustizia; la buona salute del popolo, la prospera sorte e la salvezza dello Stato.

 

Sono trascorse nel sole e felicemente temperate queste giornate di settembre. Gli acquazzoni di fine agosto avevano messo a tacere il tenace frinire delle cicale; si è alternato, e nelle notti, il versatile canto dei grilli, che dalla valle si dilata fin lassù a cercar nei limpidi firmamenti il prospero lume della stella di Giove. Spazia anche tu, o sguardo amico, con i tuoi pensieri, quelli leggeri, sani, sapienti come il coro dei grilli, ed espandi la tua mente libera e vaga, casto e generoso il cuore, tra quegli astri eterni e quelle alte costellazioni,

 

argumenta petens omni de parte viasque

artis, ut ingenio divina potentia surgat . . .

 

“ricercando per ogni dove i segni della via del giusto agire, onde nel tuo spirito s’espanda la divina possanza”. Affrettati, è settembre, il mese fruttuoso, il festoso mese di Giove! Pregevole è il suggerimento che viene dai versi di Manilio.

 

*

 

   Mercuri dies, sedicesimo del mese. È il pomeriggio e il sole brilla nel cielo, s’ode da nord discreto ma solenne il brontolar del tuono; scavalcando il colle, s’affacciano sulla valle alcune nubi, subitaneo le attraversa il guizzo del fulmine; di nuovo e più alta, in un lampo che travolge quelle brune nubi, la voce del tuono; un subitaneo colpo di vento porta giù una leggera scrollata di pioggia che ci lambe il viso; dura poco, quel tanto da allietar di fresco la verzura nella valle, cui dall’alto l’occhio di Giove, l’almo sole, sorride. Sono scomparse le pluvie nubi; dal vasto azzurro, di là dal colle, ancor ci giunge raccolta, severa e benevola, paterna, la voce del Tonante.  

 

 

saturdì, XIX di settembre dell'anno duro 

 

 

 

alle origini del mondo

nel nostro orto

una principesca apparizione

giovialmente priapea

si gode il tramonto