l'ignoto pensar delle formiche

l’ignoto pensar delle formiche
Sì come a luce si conosce il Sole,
è l’uomo quanto mostra e virtù cole.
Cecco D’Ascoli
Buona giornata a tutti voi, amici e lettori! Giornata felice d’un maggio gremito di rose, e qual effusione d’aromi! Sfrecciano alacri sui prati verdeggianti le rondini, si levano alte nell’azzurro; tra loro parlottano le tortore, si vantano dei nidi novelli e, rincorrendosi, svolano da una cima all’altra dei cipressi, dei pini. Up up hoop . . . da lungi, il richiamo mattiniero dell’upupa; è una primavera di rose e di vivaci nidiate!
Un cane da pagliaio, un bastardone, risale la stradina, alle case si sofferma e abbaia: uau, uau, sveglia, sveglia umani, uau! Frattanto il sibilo iterato della poiana, altissimo, venendo in giù verso la valle, echeggia grida pregne di biasimo. Da giorni notiamo queste cose, nei segni dell’animata natura un rammarico per la defezione dell’uomo, per il suo annichilamento quale persona, quale coscienza umana e il suo impiccinire, il suo ridursi alla cecità egoista dell’elementarità individua; inoltre una sorta di naturale reazione a tutto questo confondersi, a questo annaspare inconcludente delle turbe, a tanto disordine, a tanta inettitudine, al triste ridurre a deserto i paesaggi (i pagi, le campagne, le contrade, i borghi, i quartieri, le patrie) e criminosamente inaridire, impietrire l’animo e le culture dei popoli.
Pertanto, auguriamo nuovamente una buona giornata, una giovanile, ardita, rigogliosa giornata di primavera, la stagione della trasmutazione e del rinnovamento, per le anime, le menti e i cuori tesi al riscatto, alla rinascita! E questi auguri estendiamo anche a coloro che, invero senza alcuna acredine, ci han mosso qualche sommesso appunto. A parer loro dovremmo essere più concilianti con la modernità, che ha dato agli uomini il più alto progresso scientifico di cui mai abbiano goduto, più benevoli verso le masse umane che a ciò collaborano con la loro fatica; che dovremmo essere piuttosto solleciti a sovvenire, a soccorrere là dove si evidenziano errori, imperfezioni, e dare il nostro aiuto ad emendare, a purgare. Insomma, ci invitano a plaudere di meno a Platone, ad essere meno rigidi e quindi più aperti alla democraticità, onde il nostro eccessivo mirare all’àristos, cioè all’ottimo e al governo dei saggi, non faccia sorgere il dubbio d’una preferenza per le maniere dittatorie. Noi ringraziamo questi circospetti amici, ma riteniamo che siano troppo ubbiosi. Rispondiamo che non ci sottraiamo a nessun dovere umano e retto obbligo che l’autorità e le leggi dei tempi e l’urgenza contingente in cui viviamo richiedano, e sì, a soccorrere là dove senza alcun compromesso è dato recte honesteque facere ac dicere, e che sia un aperto dire. Ma, coerentemente con ciò or ora detto, mai verremo meno ai PRINCIPI, quelli divini ed eterni; quei principi garanti e custodi dell’essenza divina ch’è nell’uomo e che poi si manifesta anche nella natura; principi divinizzanti, inviolabili, che operano il divino, il perfetto; principi eterni, perché duraturi di età in età, di evo in evo, oltre ogni individualità e anche oltre i tempi, rifacentisi al Cielo padre, Jupiter, il padre universale, principio d’ogni principio. Per tal nostra ideale convinzione, rispettosi del giusto, riteniamo d’essere leali, probi, aperti e liberi; liberi da ogni sorta di mistica totalitaria, compresa quella democratica, che come sosteneva Platone è la matrice d’ogni tirannide, infatti, non ci siamo assoggettati al dispotismo oppressivo del politically correct, all’ipocrisia e tartuferia dominanti; siamo fuori dal pecorume tivvudico e lungi dall’adularne cerimonie, cerimonieri e linguaggio; non ci lasciamo soggiogare dai mass media e quindi non mostriamo approvazione, ma nemmeno ci facciamo carico di deplorare e manco di biasimare; non esprimiamo preferenze, senza condividere per nulla i contegni settari; ma come puoi amare, fraternizzare o intenderti con ciò ch’è labile, effimero, inaffidabile, che non ha memoria? Puoi mai amicarti l’alieno? Or questa modernità, e anche oltre (l’ultramoderno!), è un cieco, assoluto, globale straniamento. Noi prediligiamo le grandi virtù degli antichi. Prediligiamo la fedeltà, l’onore, la valentia, e, soprattutto oggigiorno, la solitudine e il silenzio, laddove la natura verginalmente s’apparta. Noi non siamo moderni, siamo arcaici (dal gr. archè, principio) e questa arcaicità ci svincola; non siamo più avvinti a nulla, ma congiunti al Tutto. Abbiamo saldi i piedi sulla solida terra, la buona madre, e sul capo il cielo, l’etere immenso, nostro padre. Abbiamo, noi sì, una patria. Soprattutto la patria una, immutata e integra, dentro di noi.
“Voialtri sostenete l’inattuale; – ci obiettano – vi perdete quindi nell’illusorio. Quale effettività nel presente, quale utilità ne viene da questo tal vostro viaggiare per svago in un passato remoto? Quali possibilità, quale oggettività potrete mai riscontrarvi? L’individuo si accompagna alle circostanze e ai fatti storici della sua epoca; è con gli altri compresente nell’oggi, nella contemporaneità.” Questo vostro enunciato è, fuor di dubbio, la convinzione di chi s’affida al mondo, la sua fragile, instabile, individuale persuasione; ed è la condizione di chi s’acconcia e adatta alla casualità dell’esistere, di chi si contenta egoisticamente di campare al momento; il modo d’essere dell’individuo accidentale, che si rassegna al destino, gli s’arrende. Tale la condizione delle moltitudini, irreparabilmente esiziale per quanti, pur avendone la possibilità, per indolenza ed inerzia, restano esitanti difronte al fondamentale dovere, ch’ è pure una responsabilità preminente, di sostenere l’opera, senz’altro faticosa, e il duro ma virile intento, di maturare una mente savia e accorta, di forgiarsi un animo nobile, di purificare il cuore per farne uno scrigno prezioso di generosità, verità e sapienza; il tutto sotto l’egida d’un intemerato coraggio. Proprio questa operosità indomita, sempre più incentrandosi nella profonda consapevolezza del sé, metterà in moto i cardines, le estremità polari dell’asse intorno al quale ruota il ricordo ancestrale, la coscienza totale dell’uomo e quindi dell’intero universo, il Vero, l’assoluta realtà. Torna ad esser sentito, vivo e presente, il carattere atavico, torna a schiudersi il seme primigenio. Si conferma e s’invera un tempo aureo nel quale la interiorità tutta, la psykhè, l’anima, la coscienza dell’uomo si riscatta, s’affranca da ogni influsso e condizione negativa, da ogni limitazione. Elevandosi in consapevolezza e migliorandosi, sempre più nell’uomo s’annuncia e liberamente affiora il veritiero, si precisa e risalta il reale; così, infine, ei corregge e ottimizza la propria visione del mondo, fino a ieri distorta e angosciosa; rivede, emendandola, la precedente negativa, malsana esperienza di sé e dell’esterno mondo, quello oggettivo, fenomenico, materiale. Ed ei risana del tutto, una buona volta debellata l’egolatria, che la vista interiore infosca e l’animo incupisce. Considerate bene, mentre vagliate e scrutate in voi stessi, quanto l’autolatria, insieme di egoismo ed egotismo, determini nell’individuo umano l’incapacità del giusto agire, il difetto di generosità e di abnegazione, e, all’inverso, induce a mal disporsi verso i propri simili, abusando, profittando, danneggiando. L’egolatra, per esempio, che detiene un potere, solitamente è aduso alla malagrazia verso i suoi concivi, i subordinati, i conterranei e cetera, come se niente fosse. E, per quanto possa apparire paradossale, più il potente professa abitualmente il suo connato e consolidato individualismo (con tivvudico tatto abilmente dissimulando l’antisocialità e sempre tivvudicamente gareggiando in fair play), più rafforza il suo potere e cresce nei sondaggi. Insomma, il savoir faire tivvudiano, ci prendiamo la licenza di storcere in hollywoodiano un pregiato lessema, premia il potentato, qualunquessosia, anche, e anzi segnatamente, nel caso che t’ impesti e t’appesti tutto d’un colpo e dappertutto un paese. Un paese intero? signorsì, un paese intero da nord a sud! E, da capo a piedi, anche i suoi abitanti. Eppure, abbiamo udito alcuni darsi lagnanza: “Boh, a me non era sembrato d’avere il mal di capo, ma che mi dolessero i piedi!” Ed altri poi darsi il lagno inverso, accusar cefalgia sfoggiando destrezza di piede. Tale è il potere dell’egocentrismo, che sempre si combina con l’antisocialità, da sconvolgere persino l’equilibrio professionale e mentale (il che, se volutamente attuato, rasenta il misfare) di medici, sanitari, scienziati, affermati studiosi, professori, questurini, vigilanti e rimanenti.
Eccoci qua, siam pronti! A vostro parere dovremmo innanzitutto moderare il nostro anti-democraticismo, attenuare poi la nostra avversione per quel pane degli angeli ch’è la quotidiana grascia tivvudica. Del grassume tivvudico, di tutta l’abnorme viscidità e ipocrisia clericale tivvudica, continueremo a denunciare il subdolo adescare le menti per nocivamente in universorum aures animosque influere, come direbbe pressappoco Cicerone, e noi, più modernamente, per influenzare, come il Potentato comanda, la pubblica opinione. Il più pernicioso dei contagi virali: l’influsso tivvudico, cioè il condizionamento, che tale covidiolesco istrumento, ovvero strumentazione globalizzata del globalese, diffonde massicciamente, imponendolo come unico modello culturale universale. Una mastodontica grancassa che, notte e giorno, bandisce ai quattro venti il totalitario verbo democratico; dagli USA come dalla Cina e da tutte le Americhe, Asia tutta, Africa ed Europa; senza dimenticarci del colle sulla riva destra del Tevere, il Colle Vaticano, ove tutt’oggi si pratica l’etrusca disciplina, la nigritica aruspicina, da cui il glorioso patriziato romano l’aveva purificato, aprendolo agli augurali luminosi vaticini. Non lasciatevi catturare da tanta ottundente nigricante magia, spengete l’iniquum instrumentum, infrangete la coppa avvelenata che vi porgono. Svegliatevi, rinvigorite il vostro intuito, fate spaziare il vostro intelletto sul mondo reale, esercitate la mente a cogliere i segni che vi giungono dalla natura di cui tutti, nel vivente, anche i morti, fan parte; grande istruttrice la natura! In una breve parentesi: (è opportuno sapere degli “zombi”: estranei alla natura, di essa odiatori, insussistenti parvenze, aliene, avverse). Riprendiamo il nostro dire. Cuore e mente uniti, liber et vagus l’animo, siate sagaci interpreti dei moniti che vi vengono dalle profondità del vostro cielo, pur l’orecchio esterno attento ai discorsi dei vostri simili per ben comprendere l’animo loro; addestratelo anche ad intendere il linguaggio degli uccelli, dei vostri animali domestici, la voce del vento, l’alta voce monitoria del tuono. Se volete, potete anche insegnare a voi stessi come interpretare i vostri sogni, quelli che con inopinata diligenza elaborate nel sonno, quelli che si distinguono dalle vaghe immagini dei pensieri e delle preoccupazioni patite durante la giornata, che hanno un senso riposto, simbolico, che vi parlano d’un voi sconosciuto; fatelo da voi, non v’affidate ad alcuno. Ne verrà fuori un qualcosa di reale e imparerete a non sognare ad occhi aperti e magari imparerete anche che gran parte della vostra vita ve la siete sognata e magari, inconsapevoli, continuate a sognarla. Svegliarsi alla propria intima sconosciuta realtà è sempre una gran bella sorpresa; sfuggire l’astrazione, aprir l’occhio della mente sul mondo reale e su quel che realmente siamo, è tutto.
Il covidiolesco! Già, ormai lo conosciamo a sufficienza, il covidiolesco! Metti la museruola, chiuditi in casa, e dormi . . . e sogna! E tutti a sognare . . . i sogni sfocati, incasinati . . . I sogni dello smarrimento, nel corso d’un sonno greve, tormentoso. Sbandamenti, errori, ostacoli, confusione . . . tanta, tanta oscurità! una selva selvaggia e aspra e forte . . . E a tutto questo t’eri predisposto, eri incline a sostenere questa volgare idea del mondo per adeguarti alla comune formazione ideologica, per seguire il pensiero corrente, senza minimamente badare agli influssi negativi, alla derivante limitazione della tua consapevolezza, negandole un’autentica, genuina crescita orientata al vero. Non hai ben disposto l’attenzione verso te stesso, onde ben coltivare le interiori virtù e sostenere in tal modo la tua maturità e formazione, stabilendo in te un animo virile, il romano virile ingenium (in e geno = far sorgere). Hai preferito seguire l’esempio del mondo, di tuffarti cioè a capofitto nel caos dell’odierna convenzionalità e popolare superstizione, perché il tuo egoismo ti ha spinto a gareggiare negli affari, qualunque affare, purché rispondesse alle tue convenienze, alla tua ambizione e al tuo comodo. Presumi d’aver preso la via giusta, insuperbisci e ti vanti di alte mansioni politiche o d’altro, riempi il mondo di chiacchiere, ed ormai si è addirittura tivvudicamente cronicizzato il tuo vuoto mentale. Sei tutto ipotesi e astrattezza, un manichino.
Ti si presentò l’INCUBE, non ha importanza se fu in pieno giorno o di notte nel sonno, era “l’individuo” che, annidato dentro di te, tu hai vezzeggiato e nutrito, sicché egli ha fatto di te il suo succube. Or te lo ritrovi anche fuori di te, nel mondo, perché tutto si corrisponde, quel ch’è dentro si sporge e prolunga anche fuori, e quel di fuora è pur dentro. Ahi! fuori te lo ritrovi in dimensioni gigantesche, perché alimentato ancor più dal fiume torbido dei tuoi simili (il pletorico psichismo di un insieme, d’un agglomerato) e dall’irruenza offuscante delle fazioni popolari che gli sono asservite. Questi è desso, il Potentato, il gran Burattinaio, il Chierico Sommo con il suo clericato, l’Inesistente dai molteplici nomi: i suoi adulatori gli danno parvenza. Lui, il Filantropo (!), ti ha cagionato questo deliquio, acciocché tu, una volta svanito nelle brume dell’astrattezza, mai riesca a rinvenire la coscienza del reale. Di certo, adesso il suo prepotere e la sua arroganza sono davvero soverchianti; rammarico, ravvedimento? A che serve? Quel che occorre è combattere e con coraggio, per ridurre al nulla l‘inveterato GIGANTE, cioè l’ostinato, sterile egoismo (lo sterilire causa degradazione, desertificazione); in democrazia, regime delle fazioni, delle correnti, del settarismo partigiano, l’egocentrismo tende ad accrescersi, il partitismo infatti dà luogo all’individualismo con i più disparati appetiti. Occorre per la salute dei popoli, maltrattati e mortificati, ripristinare, risanandola, la concorde convivenza sociale, tutelarne la prosperità e la crescita culturale, riattivandone l’armonico avanzamento civile. Questa è una generosa offerta, per la quale attivamente e cottidie oprare! Per inverarsi nella realtà dell’essere, per attuarsi, l’uomo hoc ipso die, nunc, deve doverosamente affrontare, e primariamente in sé, questo combattimento.
In questi primi giorni di maggio è stato affermato, e ciò per restar fermi al covidiolesco, che, scomparsa l’epidemia, si tornerà a sognare! Vacua promessa; i popoli sani vivono di concretezza nella quotidiana tangibilità e non nella impalpabilità dei sogni; le comunità umane sono interessate alle esigenze del momento, badano all’oggi e al prossimo domani, si preoccupano delle necessità urgenti, dandosi cura a provvedere del necessario i cellieri, dispensa e cantina, nella fruttuosa, corrente stagione per la seguente; economizzano e serbano il superfluo per il domani, per sopperire alle incertezze del futuro, sebbene i cellieri di oggi, i depositi a risparmio bancari, son più aleatori d’ogni indeterminato futuro. Per tali fondati, ragionevoli motivi, in tempi normali e più sereni, i popoli hanno ambito ad avere guide sagge e valenti che governassero con nobiltà d’animo, altruistico agire, sia il necessario, l’essenziale, che il contingente, l’accessorio; a eligere, scegliere, a propria guida, uomini simbolo degni di rappresentare e governare il loro kràtos, quale virtùs basilare e valentia, cioè vitale efficienza e operosità (la buona volontà del popolo), con assidua cura della loro originaria, peculiare indole e della loro propria tradizione, in sintesi la loro propria libertà; sempre serbandone integra la personalità e i caratteri distintivi, con l’educazione fisica e spirituale delle giovani generazioni. Uomini saggi, veri Patres, ideatori e artefici in grado di modulare l’architettura sociale in armoniche, solide forme rispondenti all’urgenza e alle difficoltà del presente, e in strutture atte ad affrontare i rischi agguatati nel futuro. Uomini coraggiosi che posseggano la scienza di prevedere ciò che può suscitare allarme e ciò che temibile non è; i popoli prediligono capi e governanti rasserenatori. Reggitori che impersonino animo patricio, con animo libero, il kràtos, quale auctoritas, ossia una garanzia di ordine e una certezza di sicurtà; dunque un fermo esempio di volontà risolutrice, pure in circostanze difficili e in rischiosi frangenti. L’atavico simbolo dell’amor patris, l’amore del padre, la immagine principe dell’inizio, che si perpetua nel segno che conchiude e perfeziona, congiungendo puntualmente all’origine generatrice il voluto fine. Il simbolo del PADRE, vale a dire l’asse (il principio) che regge la pace operosa e non vacilla nelle battaglie, perché aspira al trionfo per i suoi figli, il suo popolo. Il potere decisionale, l’auctoritas e la gravitas dei seniores patrum, congiunto alla potentia (valentia) e alla buona volontà (operosità) del popolo tutto, configurano, Romano more et iure, la potestas, vale a dire la maestà del Senato e insieme la sovranità d’un Popolo libero, unito e concorde. Per meglio comprendere aggiungiamo alcune annotazioni tratte dal “Vocabolario” del Benveniste: “La patria potestas è il potere che detiene il padre in generale, per la sua qualità di padre.” E chiarisce che: “Patrius si usa esclusivamente in espressioni consacrate del tipo patria potestas; in questo tipo di espressioni non si trova mai paternus.” Infatti, l’autore precisa che paternus si forma su maternus e si riferisce appunto al genitore fisico e di un dato individuo. Riguardo al contesto che andiamo trattando e al lat. patrius, essenzialmente chiarificatore è ciò che segue: “Se paternus è stato rifatto su maternus, è che il *patrios indoeuropeo non si riferisce al padre fisico, ma al padre della parentela classificatoria, al pater invocato come dyaușpitā e Iupiter. Invece maternus indica una relazione di appartenenza fisica”. Il PADRE, raffigurazione del fondamento primo d’ogni civile società, pertanto simbolo del principio che trascende la pura materialità e insieme impersona nell’immanente una indefettibile perfezione e una limpida, magnanima sapienza. Il Padre della Patria: la eccelsa Genialità, la magistralità operante in seno a un valoroso, nobile Popolo.
ROMOLO, I PATRES, IL SENATO, I QUIRITI: ROMA
Riprendiamo questo scritto dopo giornate ventose, eppoi molto piovose; giornate di cielo grigio. Hanno colpevolizzato la candita, lucente, casta primavera, la bianca innocente primavera, imbrattandola con le loro covidiolesche usanze e brutture, turbandola con le loro mascherate; e lei s’è quasi oscurata, si è messa in tunica bigia. Non erano giovevoli le pioggerelle di maggio, occorrevano grossi lavacri d’acqua e di vento; ed è stato così, lavacri d’acqua e di vento, poi il prodigio di questo prodigioso mattino! I rosai non sono sfioriti, ma intatti nei loro colori e profumi, han messo anche nuovi boccioli; il prato gioito di verde e di recente rugiada fa da specchio al sole; anche i poggi intorno vantano il lustro mattutino. S’è risentita l’upupa e le tortore han ripreso il loro parlottare. Dappertutto un cinguettio d’uccelletti e di nidi. Il cane da pagliaio passa veloce e ripassa per la stradina, scodinzola il bastardone, e ci saluta con guaiti di felicitazione; dall’alto la poiana, ad ali distese e il volo sospeso, manda fuori un solo prolungato grido, poi si slancia, sempre ad ali distese, in direzione del sole. Evviva, evviva! è piena primavera!
Da un’antichità già tanto tribolata, ma dallo specchio d’una mente profonda e del suo animo sereno, Platone avverte gli umani che la democrazia è “il governo del numero, della moltitudine”. E, prima di lui, Zenone di Elea aveva voluto far rilevare agli accorti che “i molti non sono”. Riteniamo che gli assennati tra gli umani, e son pochi gli scampati al maleficio dell’illusore tivvudico, non possano non dar del tutto credito e ragione ai due saggi antichi. Tra tutte le ideologie la più ingannevole, è irrealizzabile come forma del buon governo d’una Nazione d’antica civiltà e grande cultura, rende impossibile la governabilità duratura del sistema sociale d’un qualsiasi popolo. Si può senz’altro affermare che dovunque l’ideologia democratica è al potere, sia essa presidenziale, popolare, diretta, progressista o parlamentare, ivi il supposto governo del popolo è inesistente. Questo è il motivo per cui le democrazie vanno a finire, sempre a dire di Platone, in tirannidi o, come accaduto nello scorso secolo, si risolvono in regimi totalitari. La democrazia stessa consiste in una ideologia totalitaria che non ammette altro al di fuori del suo fideistico democratismo; quest’ultimo non è che una sfrontata ostentazione di capziosi concetti, enunciati, assiomi, nozioni rudimentali; il suo cavilloso clero, intellettualmente rigido e contorto e moralmente ambiguo, con un linguaggio involuto (il politichese) pretende contrabbandare tali falsi convincimenti, cui non è nemmeno ammesso obiettare, per irrinunciabili principi esistenti ab aeterno e inviolabili per tutti i prossimi secoli e quelli lontanissimi avvenire. Trattandosi, quindi, d’un’assoluta infondatezza del cosiddetto potere del popolo, e d’una illusione il suo autogoverno, pur se mediato da poco credibili rappresentanze, occorre spiegarsi come queste democrazie riescano a condursi nel tempo e cosa esse effettivamente sono.

Lo schema qui tracciato vuole in modo stringato rappresentare la scaturigine della potestas, dalla quale può derivare anche il primato d’una gente, d’una nazionalità libera purché ancor sana d’origine; abbiam detto primato, ma si può anche rettamente parlare di sovranità d’una tale popolazione; inesatta è invece, a parer nostro, la locuzione “popolo sovrano”; una popolazione, ed è ovvio, non la si può concepire altrimenti che disposta in piano, la vediamo difatti espandersi e diffondersi in orizzontale; il sovrano (dal lat. supra, supremus) richiama il regnatore, colui che detiene un potere monarchico, e qui la disposizione è verticale e si ricollega anche ad una gradazione gerarchica che agisce dall’alto in basso e viceversa; pertanto tal uso improprio è un prendersi gioco del popolo da parte dei democrati professionali, tanto più demagoghi quanto più plutocrati. Noi, con riferimento al su riportato schema, riteniamo che qualsivoglia sovranità, ovvero potestà, provenga, come suggerisce il Benveniste, da quel *Patrios invocato quale trascendente, divino Padre, Diaupitar, Jupiter, il Cielo Padre dei Latini, che in seno alle umane società si concreta nella Patria Potestas, realmente manifestantesi, secondo la natura intima e peculiare di ciascheduna comunità, in una attiva, piena, legittima potestà, poi che ogni popolo in salute aspira ad una Patria libera e al riconoscimento del suo giusto primato, conseguito senza prepotenza e abuso.
Un mondo in declino, in sommo grado decadente, non ha domani; prima o poi andrà a scontrarsi con la irremovibile, dura realtà.
Eppure, oggigiorno gli uomini confidano di vivere nell’epoca più prestigiosa e avanzata da quando il mondo fu; e ciò, cosa bizzarra, nonostante un loro piccolo “io” limitato e rinchiuso nella quotidianità e intontito da tanta ripetitività. Individui strani, irrigiditi nella democraticità, del tutto assuefatti alla saccente democraticità. Ma cos’è la democraticità? Consultate un qualunque vocabolario: oltre a definirla come “il carattere di ciò che è democratico”, leggerete che essa è il “modo democratico, rispettoso di trattare persone anche di grado inferiore.” Bah! porco diavolo! E tutti quei bei vocaboli una volta in uso? Affabilità, amabilità, affettuosità, amichevolezza, cortesia, garbo, simpatia, cordialità? E tanti altri? Mah, tutta robaccia aristocratica, chincaglieria, avanzi signorili! Manco da annoverare tra “le buone cose di pessimo gusto”, via, via! Fratellanza umana, essi dicono, è la democraticità vera: tollerabile tuttavia una tal quale formalità, un certo distacco, un corretto rapportarsi in burocratese, una freddezza meramente democratica e nulla più, una calcolata dose d’onorevole sussiego; insomma un tono, purché misurato, di supponente democraticità. E, caspiterina! non un segno di tanta clericale ipocrisia, nemmanco un solo indizio? E siamo persino al dispotismo lessicale! Venuti meno dunque i sentimenti d’affabilità, di amichevolezza, smessi gli atti garbati, di cortesia, allontanata la calorosa cordialità? Vi siete inoltrati ormai sui sentieri tivvudici e, svuotati del retrivo patrio passato, siete tutti decisi progressisti, totalmente pervasi da una mistica redentrice: la democraticità! Per voi, per i vostri figli e i figli dei figli dei figli e così via di figlio in figlio è bella e pronta l’eternità democratica. E così sia per i figli e i discendenti tutti di genitore 1 e genitore 2 e magari d’un terzo probabile, ascoso procreatore o d’una terza procreatrice, questa una vera matriarca, in affitto. La democrazia ha così “affrancato” dalla Patria potestas l’intero mondo delle figliolanze, tutte le proli, le discendenze, i popoli insomma; perciò ha perpetrato di proposito il parricidio. Il lettore che ci ha seguiti fin qui e ricorda anche la lunga narrazione svolta su Liber pater, primus auctor triumphi, se ha approfondito ciò che vi abbiam trattato, comprenderà a volo l’infero, protervo scopo per cui l’oligarchia plutocratica globalista, che mantiene sulle genti un dispotico potere, ha inteso menomare il principio paterno, immediatamente determinando il disfacimento dell’istituto familiare e il crollo d’ogni idealità statuale con il rinnegamento del simbolo solare del Cielo Padre, e altresì d’ogni visione trascendente con l’attuale lercio materialismo, cui è connesso il tisicume ideologico-culturale che va diffondendosi in una tal covidiolesca consunzione. Senza più il peso del padre sulle spalle, e per sempre lasciati nonni e genitori al loro covidiolesco destino, or potete vantare una identità perfetta, la più progredita e, secondo scienza, rifinita identità mai comparsa sul pianeta Terra, una identità elettronica. E, poi, il grandioso sogno filantropico, quello di tutti i grandi filantropi dal 17 settembre 1787, Costituzione U S A ad oggi, questa favolosa e oggi realizzata identità elettronica, affratellata finalmente in un insieme (miliardi!) d’identità elettroniche: Sì, un unico Microchip globale! Sognano l’UOMO COֆMICO, ma a guardar bene la ֆ appare incrinata.
*
“Che c’entro io in tutta questa caciara, in questa confusione che voi definite covidiolesca? Mi ci avete ficcato dentro voi, proprio voi, e m’avete appiccicato questo nome Covid 19, partorito dal vostro spurio rimuginare; io sono solo un pauvre virus, un pauvret, une vétille, una briccica submicroscopica. Voialtri, invece, dall’inizio di vostra santa professione democratica, avete inaspettatamente sfoderato questo IO giganteo cui s’accompagnano quotidiane gigantesche, a dir vostro, fatiche e questo tal “le moi”, “le moi” délicieusement égotique, ch’è il parlar di voi stessi da mane a sera: hélas, malhereux tivvudique, tivvudique écran! Ehilà, questo erigersi, questo grandeggiare del vostro IO! “Le moi démocratique”, dovunque e sempre in versione tivvudica, questo IO sommamente tivvudico, IO infinitamente tivvudico, che vuole a forza incriminare di sterminio questa corrente influenza e virale infreddatura, un po' troppo contagiosa forse, quando è proprio lui, ‘sto IO sbronzo e scredente, che brama di
. . . veder più fuoco ch’acqua o terra,
e ‘l mondo e ‘l cielo in peste e ‘n fame e ‘n guerra.
E tu, o popolo, popolo che procedi alla sventata, ora supplichi me: – Abbandona questi luoghi, Covid, vai a vivere altrove! Te ne saremo gratissimi, purché ci sia dato di liberarci di codesta peste che ci opprime e non si riesce a capire che sia; siam spiacenti di non poterti mostrare la grata sincerità delle nostre labbra chiuse dentro la musarola; verso di te non serberemo rancore, ma in noi desta grande preoccupazione la condotta ambigua e stancante dei nostri rappresentanti; qual governo ci sarà dato, qual futuro ci aspetta? – Uhm, che puoi aspettarti! E / . . . come vuoi te ne governa:/ co’ santi in chiesa e co’ ghiotti in taverna. – Come sempre qui han da voi operato e da due millenni all’incirca i vostri clerico-tutori o, se preferite, il da voi stessi ben consolidato clero tutorio”. Detto, il Covid si tacque. Non s’ è mai saputo chi gl’ ebbe a suggerire i versi tratti dal Morgante dell’epico vate e tanto scherzoso Luigi Pulci.
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Fuor di scherzo, noi, da parte nostra, antivediamo che sotto le copiose ceneri di questo mondo covidiolescamente inscenato, e a dispetto dell’inscenatore o inscenatrice che sia, coverà un monstrum, le uova prodigiose d’un inimmaginabile ircocervo alato e con ali immani di vespertilio. Può darsi, però, che il nostro sia solo un antiveder favoloso; ma se non fosse del tutto bugiardo questo antivedere e in non lontane stagioni, nel prossimo a venire, in un tempo che sta per sopraggiungere, qualche spiacevolissima sorpresa cogliesse l’UOMO COֆMICO con la ֆ incrinata? Gli si auguri, allora, che il COMICO, ancor in lui astante, lo protegga dalla gran peste ventura dei vespertilionidi di China; che quel triste tempo veniente non abbia a trascinarlo completamente in rovina, sino in fondo alla china.
Ciò che non si riesce proprio a immaginare è l’ircocervo “alato” come da noi descritto; primamente, a quei tempi, l’ibrido animale fu ben favoleggiato per sostenere l’attendibilità della favola e non compromettere il gusto del favoloso, ma ai nostri giorni occorre uno sforzo tale che si rischia di fulminare il cervello di chi ancora s’appassiona alle favole. Cercavamo un’allegoria per questo mondo mostrificato e avvolto in sinistri cerimoniali. Un mammifero ibrido, alato da pipistrello, quindi non pennuto, ma un trimammifero peluto, che depone uova! L’inimmaginabile, l’estranalieno tra l’alieno, questo mondo abnorme che abbiamo sotto il nostro sguardo smarrentesi nel covidiolescume e che soffoca . . . non i nostri magri, poveri sogni, ma le asmatiche veglie in guanti-plastik e museruola obbligatoria . . . a cuccia . . . a cuccia, a cuccia! O irrinunciabile, assoluta democraticità . . . o edenica, super-hollywoodiana diva e pa…aadr… ona! E quest’altra, poi! è la curiosità più inimmaginabile per l’amante della favola mera, quella splendente d’una volta, c’è ancora chi, anzi tantissimi che riescono a digerire persino le uova inzuccherate (les paroles sucrées) d’una inimmaginabile orripilante invenzione moderna . . . la favola nera d’oggi, la democraticità covidiolesca!
Già, è proprio così, qui sta il busillis: prima il covidiolesco o la democraticità?
Su questo celebre, aperto interrogativo potremmo chiudere il nostro scritto. In qual modo poi le democrazie tengano in piedi i loro “governi”, anche i più incoerenti e sgangherati? Vi abbiamo accennato più volte; tuttavia in sintesi aggiungiamo che esse si reggono per mezzo d’un insegnamento scolastico indirizzato a instradare i ragazzi al benessere morale inteso in senso puerilmente fratellevole e clericale, e all’appagamento delle esigenze materiali, del tutto trascurando gli alti valori etici e tradizionali della nostra cultura classica, mentre si riserva un’enfasi esagerata di stampo marxista ai problemi del lavoro, dell’economia e all’utile individuale. Tanto per avviare i giovanissimi al “viver democratico”, abituandoli all’uso del politichese, agli enigmi insolubili, e facendone infine (poveracci!) l’ipocrito e l’ipocrita parolai/laie del politically correct e del piaccichiccio tivvudico; poi, con la massima attenzione si mantiene il controllo dei mass media, giornali, riviste, spettacolo popolare e principalmente della grancassa tivvudica. Quando la grancassa tivvudica batte, e batte a ogni ora del giorno e della notte, il suo clero è sempre in funzione, essa percuote intenzionalmente (tutto è curato in dettaglio!) le menti, i cervelli, il sistema nervoso e i complessi emozionali fino al menomamento delle normali facoltà di discernimento dei malcapitati che ne restano rintontiti, irretiti e convertiti al messaggio del giorno; così giorno per giorno, di continuo ESSI si lavorano l’opinione pubblica, se l’accomodano come loro aggrada, insomma la plasmano e la riplasmano a modo loro, preparandola agli accadimenti ch’essi nel contempo stanno per provocare, sistemandola al loro volere, o meglio alla libera quand’anche assoluta obbedienza al vuolsi così . . . colà dov’è il potere! Non il potere d’una volontà realizzata, in quanto mero volere scevro di cupidigie, spoglio d’ egoismo; non quindi la potestà patria, originaria, discendente dal Principio che trascende la materialità e impersona nell’immanente la magnanima sapienza, come sopra detto, ma un potere infero, perverso, offerto dalla temporalità mondana al non realizzato. La democrazia ristà a livello ideologico; sul piano concreto, di governo d’un popolo, è da considerarsi inesistente; i governi cosiddetti democratici sono un accozzo di sottostanti all’iniquo potere che per il loro tramite viene imposto a folle parimenti asservite.
Se consultate un vocabolario alle voci “liberalismo, democraticità”, troverete a un dipresso anche questa definizione: “atteggiamento di comprensione e di rispetto per le opinioni altrui”. Tranne che nei tempi inquisitori e persecutori, sempre gli uomini si son confrontati, hanno liberamente discusso, scritto libri confutandosi l’un l’altro, e dovevano di necessità presentarsi sulle scene del mondo le illuminate menti del XVIII e de XIX secolo perché fosse permessa tal cosa? Menti illuminate, che in un momento eressero la spiccia ghigliottina per falciar le indigeste o sgradite opinioni altrui. Innumeri d’allora le vittime. Ciò detto, si noti anche l’astrattezza di quella definizione che si configura, più che altro, come una massima impositiva di comprensione e rispetto per le opinioni altrui senza però nulla precisare; e quindi condiscendenza assoluta, senza limiti. Nella realtà occorre invece tener conto della virtù della persona che quelle opinioni professa, del valore o disvalore delle stesse, dei propositi, degl’intenti, delle finalità sottese. E tanto per il proprio bene quanto della comunità di cui s’è parte. Infatti, comprensione significa abbracciare con la propria mente e quindi comprendere in sé, far proprie quelle idee; e se quelle opinioni nascondono il difetto? E una volta che hai accondisceso, e hai dato il tuo consenso? Ti sembrava oro, t’abbagliava, ma è orpellatura, inganno. Le ideologie sono invenzioni dottrinarie, si esauriscono nel tempo ch’è proprio degli uomini che le hanno sostenute, i quali prima o dopo dovranno arrendersi alla realtà dei fatti, alla esistenza reale; per i padri latini realtà è veritas, e non può essere contaminata, è una facoltà dello spirito, abita la interiorità dell’uomo che la realizza inverando sé stesso. E quest’uomo nobilitatosi, che pur vive in una società di uomini, e ad essa è altruisticamente teso, non può tollerare la disgregazione della sua nazione; rifiuterà quindi l’individualismo egocentrista come va crescendo e proponendosi nelle modalità aberranti demo-liberiste e che s’amplifica in un grottesco culto di sé stessi; nobilitarsi, elevarsi spiritualmente non è di tutti, così istintivamente l’egotismo s’introduce di conseguenza, e non certo di straforo, nel concetto astratto di individualità paritarie, ovvero nella sperimentazione della pratica vissuta di tal concetto astratto; collaudo sempre deludente, spesso disastroso.
Il van den Bruck definì bene il liberismo come la dottrina che concede “la libertà di non avere principi, ma al contempo di ritenere che quei principi esistono.” Ipocrita dottrina rientrante nel reo progetto di traviare e snaturare l’uomo e ridurlo all’elementare individualità. Quell’organismo che non può dividersi in parti altrimenti perde sia la sua struttura fisica che il suo sembiante, si definisce genericamente individuo; riferendolo all’uomo, dunque un pinco pallino qualunque tra miliardi di simili. Il liberismo democratico, nel suo agire sul piano politico, riconosce a questo “qualunque” un valore autonomo assoluto, di molto poi limitando l’azione dello Stato e annullando così la patria potestas, fondamento d’ogni civile e libera società umana. E quel pinco pallino sempre più una cellula spersa, sempre più morbosamente egoica e ambiziosa, preda della sfrontataggine individualistica. Individualismo-partitismo-correnti-fazioni aggressive, e, di conseguenza, la formazione di agglomerati oligarchici sempre più potenti e in grado di sottomettere qualunque repubblica. E così l’individualismo paritario del liberalismo radicale può vantare il suo risultato, che alcuni pinco pallini (favoriti dalla sorte? o perché benvoluti dal gran Filantropo, il divo Potentato!) sono più uguali degli altri. E i meno uguali? embè, con la museruola e distanziati: a cuccia!
Vuole natura che per sostenersi e conservarsi nella loro integra organicità, struttura e funzioni vitali, tutte le individualità siano egoiste per istinto. Per quel che poi concerne l’aspetto psicologico, è evidente che l’individualismo (umano!) tende a far prevalere le ambizioni e le esigenze del singolo su quelle della comunità e ad accrescerne l’egoismo, che dilatandosi fino all’ egocentrismo e volendo pertanto subordinare tutto e tutti al proprio interesse, diverrà completamente indifferente alle necessità e alle richieste della società in cui vive.
Sostengono i saggi, di ieri e di oggi, e non dimentichiamo Platone, Aristotele e tanti altri, che “il buon governo ha per base l’amicizia di tutti e la sovrana concordia; per ottenerlo devono esser superati gli individualismi, le fazioni e i partiti; il buon governo è il governo unanime, vive d’un solo soffio ispiratore.” Quindi solo uomini virtuosi, liberi dell’egoismo individuo, disinteressati, senz’ambizioni, semplici, possono attuare il buon governo.
Leggiamo in un testo di attuale legislazione scolastica: “Nell’area di garanzia della libertà di insegnamento non può essere compresa neanche l’espressione di convinzioni personali opinabili e arbitrarie, bensì solo l’esposizione di argomenti attuata con metodo scientifico.” Il liberismo democratico si rifugia dunque sotto il manto protettore del metodo scientifico. Della libertà d’opinione demo-liberale sia patrona la scienza progressista, l’unica in grado di possedere il metodo d’argomentare giusto e scientificamente demo-liberale! Ambigua tautologia, come dire la scienza rende liberi. Onniscienza della scienza! E qui casca l’asino, e ci casca tutto intero! I-A . . . I-A . . . I-A . . . inginocchiatevi davanti alla Scienza, prostratevi ai piedi degli scienziati che hanno donato agli uomini armi smisurate di distruzione, il terrore atomico, e che in segreti laboratori, nell’ombra, affinano le terribili, silenti armi biologiche; la Scienza che assomma in sé tutte le divinità d’ogni tempo e paese concepite dagli umani, la Scienza difronte al cui giudizio il vostro pensiero, il vostro opinare di oggi e di ieri, o cari simili, può valere tanto quanto l’ignoto pensar delle formiche. Or bene, cotesto pensare o preoccuparsi o provvedersi è giustappunto l’incognito pensare et cetera del formicaio, un unico pensiero etc. E qui ci tacciamo: dictum sapienti sat est.
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Riprendiamo il discorso dall’inizio di questo scritto; ma non per i curiosi, soltanto per coloro che han disposizione al combattimento e di buon grado vi s’impegnano. Parleremo qui semplicemente e saremo brevi. Volete combattere davvero? Adferte nobis gladium, e che abbia una lama tagliente: sia quell’animo ardente e gelido, fanatico e distaccato, intransigente per onore e amante del vero scopo, il valore; con tal lama tagliente recidete tutto ciò cui siete assuefatti, il gravame che v’ impiccia; troncate con tutto ciò che è abituale, usuale, che i volgari dicono normale; volgetevi e uniti volgiamoci allo straordinario, votiamoci ai nostri iddii, dedichiamoci alle nostre iddee! il compito è estremo e conclusivo. Non lasciamo all’inveterato gigante, all’incube, allo sterile ostinato egoismo nessuna via di scampo, decretiamo la fine dell’individualismo, l’ideologia dell’anti-patria, che tutto contagia e snatura, abbattiamo l’egoismo intemperante e dissoluto, snidiamo dal suo tetro covo il patricida, sarà annientato dalla luce del sole, ché Liber pater è il Sole, il padre insopprimibile, il padre perpetuo rigeneratore; le schiere oscure di Mordred non sono da temere, la man d’Artù, il regal padre tradito, torna nella battaglia.
Evochiamo dalla nostra interiorità profonda il Vindex, il dio del riscatto, il dio vendicatore, protettore, liberatore.
XXIV di maggio dell’anno duro
