CALENDIMAGGIO
C A L E N D I M A G G I O
EVVIVA IL GONFALON SELVAGGIO!
Ben venga maggio
Ben venga maggio
e 'l gonfalon selvaggio!
Ben venga primavera,
che vuol l'uom s'innamori:
e voi, donzelle, a schiera
con li vostri amadori,
che di rose e di fiori,
vi fate belle il maggio,
venite alla frescura
delli verdi arbuscelli.
Ogni bella è sicura
fra tanti damigelli,
ché le fiere e gli uccelli
ardon d'amore il maggio.
Chi è giovane e bella
deh non sie punto acerba,
ché non si rinnovella
l'età come fa l'erba;
nessuna stia superba
all'amadore il maggio.
Ciascuna balli e canti
di questa schiera nostra.
Ecco che i dolci amanti
van per voi, belle, in giostra:
qual dura a lor si mostra
farà sfiorire il maggio.
Per prender le donzelle
si son gli amanti armati.
Arrendetevi, belle,
a' vostri innamorati,
rendete e cuor furati,
non fate guerra il maggio.
Chi l'altrui core invola
ad altrui doni el core.
Ma chi è quel che vola?
è l'angiolel d'amore,
che viene a fare onore
con voi, donzelle, a maggio.
Amor ne vien ridendo
con rose e gigli in testa,
e vien di voi caendo.
Fategli, o belle, festa.
Qual sarà la più presta
a dargli el fior del maggio?
- Ben venga il peregrino. -
- Amor, che ne comandi? -
- Che al suo amante il crino
ogni bella ingrillandi,
ché gli zitelli e grandi
s'innamoran di maggio. –
Con questa fresca lirica, preziosa ballata di Angelo Poliziano, vi invitiamo, amici lettori, al Calendimaggio, all’antica festa della primavera. Levatevi di dosso una volta tanto l’habitus lavorativo, tralasciate di travagliare, e invece d’una trucida commemorazione sindacale – che barba! – combinate una gioiosa adunata, riunitevi in amorevoli compagnie! Ingrillandatevi, danzate e agitate il gonfalon selvaggio! È giorno di festa, e sia festa vera! Mettete al bando il beghinaggio schiavistico del santo lavoratore, il perbenismo ipocrita dei calli alle mani o al cervello, ché le fiere e gli uccelli/ardon d’amore il maggio.
Agitate, agitate il gonfalon selvaggio!
Amor ne vien ridendo
con rose e gigli in testa…

EVVIVA IL GONFALON SELVAGGIO!

DI MEZZO MAGGIO
Come profuma il fiore del sambuco!
Sì, come profuma! nonostante le ore meridiane incupite dagli ammassi di nubi livide, le improvvise fredde ventate, la pioggia che vien giù a scrosci e… finanche la grandine! Quand’anche e all’istante larghi squarci d’azzurro appaiono e il sole, che burbero s’affaccia ed emana raggi d’estivo spessore; un’afa pressappoco canicolare si spande tutt’attorno, nella valle… Eppure, la natura non si mostra affatto turbata. Ancora sbrilluccicano grossi chicchi di grandine, tra l’erba e le pratoline stillanti di piova, e laggiù, dalla farnia, dispiega il suo canto una capinera e s’odono fringuelli e cardellini, non manca il volo gioioso d’alcune rondini e i lagni amorosi della tortora. Quaggiù, sul confine del campo, ove spiccano folte siepi di biancospino fiorite, oh, come profuma il fiore del sambuco! L’alberello benefico che ama stare al limitare, perché lui ben sa che, solo se fai tuo quel confine, là dove tutto è cangevole e cangiabile, puoi correttamente compitare la parola magica e portare a fine la tua fatagione. Oh, come profuma il fiore del sambuco e come all’intorno tutto è fatato! Tuttavia, proprio da questo limitare, qualcuno – lui, il magico frutice? – aveva pochi istanti fa stregato tutta la valle. Ma ancor di più, adesso profuma maggio!
Nel suo studiolo Tom è intento a collezionare francobolli, in questi giorni ne ha ricevuti dalla Thailandia, dalla Birmania, dal Gambia e dal Venezuela; sostiene ch’è la sua maniera di far turismo e di conoscere il mondo. Oggi è di pessimo umore. Il presunto cambiamento climatico lo rende pensieroso e ancor più dei missili intelligenti di Tramp che minacciano la sua passione di collezionista. “Dove sono finite le belle giornate di maggio? Le pioggerelline di maggio e l’allegro venticello di maggio? E il benefico sole di maggio?”, ripete in continuazione. Oddio, che succede? Gli è scappato uno starnuto e son violente imprecazioni contro il maltempo, le stagioni alterate a causa del criminale inquinamento e tutto il rimanente. Accidenti, pare che il brusco starnuto gli abbia rovinato un francobollo! Ci allontaniamo, si calmerà; meglio, però, non intromettersi.
Di ritorno lo troviamo più tranquillo, pare abbia recuperato il francobollo. Nonpertanto cerca sfogo nella nostra accondiscendenza. “Il vostro edonismo mediceo non mi convince affatto. Ecco gli effetti del Calendimaggio e della vostra evocazione del “gonfalon selvaggio”: pioggia, grandine, vento; raffreddature, scaldamenti e malanni…” Abbiamo, con disappunto, l’impressione che il francobollo sia rimasto sgualcito, bagnaticcio, catarroso… Ci sogguarda infatti malevolo Tom e poi ci grida in faccia: “Viva la festa dei lavoratori!” Tom va di frequente soggetto a questi invasamenti e sappiamo che spera nel nostro aiuto. Vuole sinceramente strapparsi dal petto e dalla mente l’infesto spirito della discordanza. Sistemerà la guasta atmosfera un copioso suffumigio nel suo studiolo a base di resine, lavanda, rosmarino e fior di sambuco, accompagnato dal suono lene delle sambuche.
Ormai Tom si è rasserenato e noi possiamo far valere la nostra disapprovazione nei confronti dello spirito della discordanza. Il lavoro! lo si festeggia tutto l’anno, insistiamo, con il riposo settimanale e in Italia con l’antica festa del Ferragosto, Feriae Augusti, giorni festivi consacrati al riposo che nell’antica Roma tenevano dietro all’antichissima festa dei Consualia, celebrata annualmente in onore del dio Conso al termine dei lavori agricoli, erano feste campestri feconde di sacertà e concordia e non livorose e squallide celebrazioni sindacali. Ne abbiamo già trattato. Per quanto riguarda il nostro edonismo, sai bene Tom che l’accusa non ci tocca e che dell’edonismo mediceo a noi nulla cale. Anzi ti diciamo di più, i Medici non ci sono simpatici. In contrario ammiriamo le belle, spensierate feste di quel tempo, quando si gareggiava in amore e in coraggio, concordando in fedeltà e virtù. E fieramente abbiamo evocato il gonfalon selvaggio e il tempo in cui di quella sventolata di rami fioriti godeva lo stesso maggio. Per questo ci piace rievocare la magia del Calendimaggio. Non invano a quei tempi cantavano “Ben venga maggio/e ‘l gonfalon selvaggio”, perché maggio giungeva allora solare e festoso. Ai nostri giorni maggio fa il broncio. Gli uomini son cupi, chiassosi e non festosi, grigie e spente le loro celebrazioni; assenti nel qui ed ora, vuota è la loro retorica avveniristica. Le loro son feste d’odio, guaste da un tramandato e coltivato rancore. E maggio risponde al livore degli uomini con il lividore delle sue nubi, con le sue ore, le sue giornate corrucciate. Ma non resta turbato maggio nella sua intima, vera natura, e corrisponde ai desideri del coraggioso che con amore sventola il gonfalon selvaggio, il vessillo dell’uomo che sa vivere in armonia con la natura e con i cieli, in somma concordia con il prossimo suo e conosce la diritta via che conduce a l’amor che move il sole e l’altre stelle.

E poi abbiamo particolarmente cara la nostrana cultura, i nostri classici. E certamente non metteremo da parte Agnolo Ambrogini, detto il Poliziano, intimo amico dei neoplatonici Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, massimi esponenti della cultura filosofico-letteraria nell’epoca loro e tutti versati nei classici antichi, Agnolo poetava con maestria anche in lingua latina. Ci ha tramandato in poesia la magia delle feste, il coraggio dei giovani cavalieri e la virtù delle amorose donzelle dei suoi tempi e, certamente fuor dal volgare materialismo delle nostre sciagurate stagioni, la magia della natura ancora intatta, così all’esterno come nel sentire degli uomini e negli affetti delle donne. Nella radiosa ballata di mezzo maggio che qui riportiamo esalta la bellezza della donna cortese, che assurge ad allegoria della natura, in gara con la rosa. La donna capace di destar el core/di dolci voglie e d’un piacer divino. Solo chi pratica il pensiero materialista di questi tempi ultimi, anche e di frequente bigottamente moraleggiante, può vedere nelle espressioni dolci voglie e un piacer divino l’esplicito richiamo a un grossolano, volgare edonismo. Dolci voglie va riferito a un casto volente, quindi a un indole controllata, non certo ad appetiti smodati; un piacer divino va attribuito a un talento gentile, a un’attitudine spirituale unificante e, sul piano terrestre, ad una natura placida, benigna. Nessun appello edonistico vi è nel testo, rapportabile al mero godimento materiale o sensuale.
Voialtri, collezionisti puntigliosi del vostro quotidiano, dei vostri dì per dì, dei successi e insuccessi o d’un bel niente, collezionisti di superbiosi io, lasciate che in voi el core non desti il ricordo di dolci voglie e d’un piacer divino, non sia la centrale, vibrante sede della virtù e di sentimenti eletti, ma soltanto quel muscolo, quel propulsore corporeo oggi sostituibile, che meccanicamente batte, negli uomini come nelle bestie. E mentre noi in salda compagnia di diletti amici e di diligenti lettori ci inoltriamo con il nostro poeta nel bel mattino di questo mezzo maggio in un suo splendente giardino, Voialtri, se volete, leggete pure i versi qui riportati interpretandoli secondo i vostri parametri affabilmente democratici; non riuscirete, anche con sforzo, a rintracciare la maestosa natura femminile, tutta intessuta di rose, allegoria della Signora delle fiere, rappresentata dal poeta in tutto il suo splendore, nelle brutte e sgraziate figure, sconciamente individualiste ed egolatre, ancor più deturpate nei volti dalle aride cosmesi, che passano sui vostri teleschermi con sfiorita alterigia femminista, cianciando rumorosamente a vanvera.

Pensiero e linguaggio sono elettamente neoplatonici, è Amore che detta: la bellezza e il rigoglio della fioritura distinguono la femminilità e caratterizzano l’animus femminile; quando tal bellezza e tal potenza hanno un vero intimo pregio, sono gradite e vengono in sé assunte, interiorizzate virtuosamente, prima che appassiscano, che si guastino, allora è buona a mettere in ghirlande, affinché non vadano disperse; la ghirlanda infatti ha forma circolare, il nome si spiega con un legare in cerchia (giro). Un tutto unito in armonia. Questa è la funzione del femininum genus in ogni società realmente umana. Allorquando la vanità e l’idolatria del femminesco prendono il sopravvento, le comunità umane si turbano, si corrompono, si disgregano, vanno in rovina e ciò dai tempi della tragedia greca, della corte di Nerone, non escludendo i tempi dell’edonismo e del mercantilismo mediceo, nei quali visse Agnolo Ambrogini, a questi giorni ingloriosi d’una Europa infidamente punica, antiromana, infiacchita e vile.
*
Poco fa camminavamo lentamente sotto il sole per un sentiero in salita al cui fianco un torrentello divalla; dalle fratte, dai roveti vi fan capolino le roselline selvatiche, saltan fuori gli uccelletti. Proseguiamo ancora sul pendio tra i verdi guizzi dei ragani e gli svolazzi dei coleotteri…
Adesso il cielo s’è rannuvolato, il sole è scomparso tra le nubi, si è levato il vento; ma noi andiamo avanti tranquilli, solidali con il muso lungo di maggio, con il suo cruccio nemboso.
