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DISPOTISMI DEMOCRAZIA E SOPERCHIERIE

                        

 

D I S P O T I S M I

 

D E M O C R A Z I A    E   S O P E R C H I E R I E

                                                                                          

                                                                         irrideamus haruspices, vanos, futtiles esse dicamus

                                                                                                                                    Cicerone

 

 

   Là dove crollano i ponti non si costruiscono templi.

Là dove crollano i ponti è un rodìo di tarli, continuo, insistente.

Là dove crollano i ponti la ruggine tutto copre e corrode.

Là dove si propagano le ruggini cova l’odio, s’annidano rancori, risentimenti ostinati, e i ponti crollano.

Là dove crollano i ponti la slealtà, la malizia e la perfidia posseggono i cuori.

Là dove crollano i ponti c’è corruzione, soperchierie, degradazione; s’accumula pattume su pattume.

Là dove crollano i ponti, la gente s’abbandona all’egoismo e sprofonda nell’ idolatria, nella superstizione.

Là dove crollano i ponti, sempre prevale e s’impone nei chierici, siano essi preti siano laici, la pratica dell’ibridismo culturale e i popoli vengono in tal modo preparati dalla loro stampa e dalle loro prediche perverse a subire i meticciati; infine le genti vi si adusano, dimenticano i costumi aviti, sopprimono in sé l’ancestrale, ingenita, connaturata coscienza; scordano la loro nascita, la loro origine, le nazioni decadono, smarriscono sé stesse.

Là dove crollano i ponti nella società e negli individui spadroneggia il disordine, l’anarchia; detta legge la menzogna e i suoi nascondigli d’un tempo diventano sanctuary dove venalmente si mercanteggia e si praticano le arti demoniache dell’inganno.

Corruzione, pattume... dovunque ingiustizie e disgregazione... disfacimento...  

Là dove crollano i ponti solo chi si offre Vittima è innocente.

 

   Non si tratta di dire: “Questa città conta trentamila abitanti”, a ciò un altro potrebbe obiettare: “No, ne conta venticinquemila”, infatti, facile è mettersi d’accordo su un numero. Opportuno è dire: “Questa città è stabile, è l’opera d’un architetto; essa è una nave che trasporta gli uomini . . .”

   Orbene, fondamentale è affermare: “Fertile è davvero la libertà se permette la nascita dell’uomo e le preziose distinzioni”. Ovvero: “La libertà è pur dannosa, ma fertile la costrizione che è urgenza interiore e quindi principio di perfezione”.  (Saint-Exupéry)

 

   Base, fondamento d’una sana società sono purezza e integrità, l’equilibrio e la rettitudine dei governanti, la cultura dunque del puro, dell’incontaminato e del giusto. La salubrità dell’ambiente, la floridezza e il rigoglio della natura, il bene e la prosperità della patria, delle sue famiglie, della sua gioventù, la salute e l’educazione del popolo, la correttezza e la costumatezza degli individui che lo compongono; tutto ciò concorre alla felicità dell’UOMO nel mondo fisico, a farne un albero fruttifero che si dilati produttivo e fecondo nel corso delle generazioni, se costantemente concentrato nella prisca severa disciplina e quindi fermamente compreso del mondo spirituale dei Padri, fondatori  sulla terra d’un imperituro ordine civile, il regno dell’armonia. Culto del divino, culto della patria, culti familiari, culto della civiltà ereditata dagli avi: in un tutto unico il culto supremo, il rito dei primordi.

   Tràdere tal supremo culto, perpetuare la civiltà è un sublime moto d’amore che viene all’Uomo dalla conquisa saggezza; saggezza è il sapere del cuore che s’apre al mondo divino.

  L’accorto combattente, il mite ma inflessibile guerriero, con l’impiego di quella costrizione che è urgenza interiore sconfigge la menzogna e il mentitore e all’istante s’avvede di contenere in sé la verità.

   In un luogo il più alto e lucente, ignoto ai mondani, s’erge il candido tempio, il Tempio degli Inizi incontaminati.

 

 

I ponti! . . . I ponti che oltrepassano i fiumi, che scavalcano i torrenti. . .

   I letti dei torrenti che sono in secca si possono attraversare, in piena estate, a piedi nudi se la cosa vi piace.  Ma se d’improvviso il torrente ribolle d’acqua e vien giù furioso? Trascinerà via con sé tanto fango, tanto, tanto pattume, tanta nequizia. . .

   D’estate i torrenti inaridiscono e il greto sassoso brucia sotto il sole ardente, diventa torrido, perché il torrente non viene da vena sorgiva, non sgorga dal terreno, l’irruenza delle sue rapide, la subitanea impetuosità s’originano nel cielo; le nubi tempestose, il tuono, il fulmine, il fortunale che s’addensa lassù e poi la pioggia che precipita copiosa e sferza le vette dei monti, inonda le pendici, le gole, le valli, gonfia il torrente che ribolle, muggisce infuriato e cala giù rombando, e quel rombo si confonde con il tuono. . . Ma il torrente non è un assassino! . . . Inclemenza del cielo, dunque?

    Viandante, non avventurarti lungo il greto del torrente inaridito sotto il sole d’agosto, perché. . .

   Perché là dove i ponti crollano, se d’improvviso infuriano i torrenti, ci saranno vittime che si congiungono a vittime. Trenta, quaranta, oltre cinquanta. . . Il conteggio, i numeri, un elenco di nomi. . . Un gran pianto, il dolore dei parenti, ma anche futili abbracci e lacrime peregrine. . . Ci saranno con i funerali, il ricordo dolente dei congiunti, il rimpianto degli amici. . . poi la provvida consolazione. . . e i processi ai presunti responsabili. Già! . . . il presumibile, il congetturabile e, a parte, l’immaginabile . . . E ancora, una realtà: le VITTIME!

   Ma, là dove crollano, i ponti si ricostruiscono. . . è business! Soltanto, è meglio forse correttamente chiamarli viadotti. . . sui viadotti viaggiano i camion, le auto, le merci, il turismo e persino gli uomini, ma meglio quest’ultimi chiamarli businessman, ch’è tutt’altra cosa. E il viadotto? Il viaduct, per costoro, sarà men rischioso. . . il ponte, invece! Nei miti, nei racconti antichi, l’attraversamento del ponte rappresenta simbolicamente il passaggio periglioso, ovvero l’impresa difficile.

 

   Fratelli miei, mi ritenete forse crudele? Eppure io vi dico: a ciò che sta per crollare è necessario dare una spinta.

   Tutto ciò ch’è dell’oggi declina; chi vorrebbe trattenerlo nella sua caduta? Io invece voglio davvero spingerlo, perché vada giù presto.

   Voi conoscete la voluttà che trascina le pietre negli abissi profondi? Guardate come questi uomini d’oggi precipitano nelle mie profondità!

   Io sono un nunzio, o fratelli, di artefici migliori! Un esempio? Operate voi secondo il mio esempio.

   E a colui, cui non potete insegnar di volare, date la spinta perché cada alla presta.

                                                                                                        (Nietzsche)  

 

 

   Questo nostro scritto continua a procedere per metafore, seppur nel contempo il discorso si dispiega chiaro, attendibile e senza voli nell’immaginario o temerari infingimenti. I cieli, la natura terrestre si manifestano e ci parlano con il grandioso linguaggio cosmico dei simboli, che gli uomini d’oggi, i nichilisti, i democratici dell’endless progress, a differenza degli antichi trascurano, perché per essi – infelici! – i cieli sono vuoti e la natura è disanimata. Pertanto azzardiamo i nostri tropi, ritenendo che il traslato, cioè una forma di linguaggio figurato, possa ancora essere adeguato a questi tempi di omicciatti, volgari egoarchi, creduli e immersi nelle affabulazioni monstre della fantascienza; il fanta- d’ogni genere, hollywoodiano, unica via per costoro di finta fuga dalle tanaglie dell’estraniante politicamente corretto e dell’altrettanto alienante politicamente scorretto! E infine, poi, se noi volessimo paradosseggiare o, per enfatizzare, se intendessimo inoltrarci nello strambo regime dell’assurdo, non saremmo forse costretti ad entrare nell’arengo e a tener concione con i corretti e con gli scorretti senza mai trovare tra questi due termini una soluzione di continuità, ma scoprendo piuttosto che son legati a doppio filo, come si suol dire? Affinità elettive dunque? legami d’interesse o che altro? Insomma ci troveremmo in un bell’impiccio, perché calati nel mondo dell’inesistente, dell’irreperibilità d’alcunché, dell’irrealizzabile, quindi dell’incoscienza e, oddio ancor più, dell’irrealtà! Amici! o amici e amabili lettori, fuggite! datevela a gambe, via!  Via da questo folle illusorio, da quest’apparente che in realtà non è e non sarà, perché mai fu! Cosa potreste mai trovarvi? Sottraetevi a questo dispotismo! Tutto vi è privo di consistenza; andrete a fondo, nelle sabbie mobili!

   Il corso dei fatti umani, fatti voluti o non voluti, provocati o subiti, la loro caducità, il loro transitar fugace, questo fuggifuggi che dura da secoli, fuor d’ogni tradizione, tanto grigiore, tanta impudenza d’uomini degeneri e la diffusione d’usi snaturati e costumanze improprie, trascorre come un torrente lutulento senza lasciar traccia, se non, anch’esse misere, rovine. È strano e sorprendente, ma fuor di metafora è così: si tratta d’un viaggio nei non luoghi dell’inconsistenza. . . della mera irrealtà, semmai l’irrealtà si possa aggettivare.

   Ragion per cui noi riprendiamo il nostro metaforizzare, onde attraverso questa finestra prismatica si possa intravedere in tanta opacità un barlume di realità, un residuo di... verità... Una traccia di coscienza, di autenticità.

    E, perché no? Tanta buona volontà, e sotto con le fatiche!

   Vi ricordate di Ercole, quell’omone dalla corporatura massiccia, poderosa? Già nella culla aveva strozzato due serpenti! Precocemente aveva accresciuta, in buona parte ricevuta in dono dalla natura, la nota, famosa nei millenni, forza erculea. Tanto forzuto quanto scarso di interiore realità, Ercole si rese conto del grave   squilibrio, volle temprare il suo animo, elevare il suo spirito; la volontà compie prodigi. Intrapreso il cammino della conoscenza, portò a termine le formidabili fatiche, realizzò in sé il vero uomo. Ei comprese, e quindi apprese. Il vero uomo soltanto può realizzare in sé il divino.

 

   Una giornata serena, piena di sole, ma un rigido vento di tramontana ha spazzato via le nuvole e sulla nostra valle il cielo è tornato limpido; i cacciatori quest’oggi non hanno rintronato con i loro schioppi facinorosi questi poggi ancora ridenti di verdura e le tortore, rassicurate, han ripreso i loro voli da un clivo all’altro; dovunque canti d’uccellini, trilli e gorgheggi; a tratti il gracchìo della ghiandaia.

    In quel vivido sole lo strido ripetuto d’un falco che vola, alto. . .

   Nel pomeriggio tardo il vento cessa d’un tratto, il sole si fa più caldo sulla pelle, anche l’aria si sta scaldando e la roccia ch’apparirà roggia quando il dì volgerà all’occaso; ora vi si è posato contento un merlo, che di quando in quando scuote l’ali, arruffa le piume e chioccola.

   Un contadino ancor s’attarda nelle cure dell’oliveto, e già s’approssima il tramonto. Di giovanil vigore ma ben addentro negli anni, conosciamo da tempo quel contadino e si è avviata con lui una singolare amicizia. Persona dal cuore schietto, di costumi e modi semplici eppure austero, inalterabile. Possiede una saggezza innata e coltivata negli anni con attenzione, pertanto è davvero piacevole intrattenersi a discorrere con lui e c’è anche da apprendere, e non cose futili o opinioni e sentenze vane. La sua convinzione è che i tempi      d’oggi siano dannosi; è solito dire che in giro c’è un’aria malefica e circolano superstizioni e false dottrine; depreca che siano ormai del tutto scomparse l ’antiche usanze e che i giovani escano dal solco della patria condotta, imbarbarendo il carattere e involgarendo nei costumi, inasprendo i comportamenti, il contegno, svilendosi nel proprio egoismo, trascurando l’idioma, la cultura dei padri. Non tollera gli ambienti rumorosi, il frastuono; si tiene lontano dai diverbi, evita i contrasti. Rifiuta la televisione, che ritiene nociva e dannosa, perché distrae, distoglie dalla propria intimità, confonde e disorienta la gente, inebetisce i giovanissimi; però non è un passatista né un neofobico, è semplicemente un uomo di grande equilibrio, che coltiva in sé armonia e concordia di sentimenti; davvero, a trattar con lui, si ha a che fare con una persona fidata, con un uomo all’antica.

    Nelle lunghe serate si dedica alla lettura, possiede una bella biblioteca lascito di suo padre come lui contadino e con una gran voglia d’istruirsi. Racconti antichi, libri di botanica, d’agraria, volumi di storia e di poesia, perfino trattati di filosofia. Autodidatta, spesso combina storia e leggenda e nondimeno ne discendono significazioni profonde o interessanti descrizioni, mai astrusaggini.

   La realtà è anche idea, intuizione, immagine, visione, quando un tutto scaturisce dalla più profonda interiorità: evidentia. Ciò che si oppone all’astratto, la concretezza, la sostanzialità della “r e s ”.

   Natura rerum, l’universo, secondo l’espressione lucreziana; e infatti Virgilio: felix qui potuit rerum cognoscere causas, felice chi poté dell’universo conoscere le cause. Il vero sapiente il cui veloce intelletto penetra l’ordine delle idee e la realtà delle cose.

   La nostra conoscenza è una persona sana, n’è garanzia la sua robusta agreste canizie; è il tipo d’uomo che con piena, ferma coscienza bada alla sostanza delle cose, perciò guarda con severità e controlla sempre sé stesso, mai nulla imputa altrui.  Appartiene a quella gente, agricoltori, artigiani, costruttori, maestri d’arte ed educatori che furono un tempo l’ossatura di questa solare penisola; lui è tra quelli che han resistito alla distruzione e alla decadenza. Il suo realismo però non s’inabissa nel pessimismo, il suo augurio è che l’Italia abbia presto un buon Gubernator, il dantesco nocchiero, che mandi in soffitta il nefasto Cyborg, il dispotico automa con i suoi fantoccini; presagisce anche il ritorno d’una gioventù coraggiosa e d’un popolo più giudizioso. E questo è certo un augurio da accogliere. Prima di tornare alle nostre note però vogliamo riportare qui un curioso aneddoto della sua vita familiare che ebbe a raccontarci una sera di primavera e risalente alla lontana sua infanzia, ai suoi sette anni, circa ottant’anni fa. Il suo babbo a quei tempi curava un oliveto molto più esteso di quello attualmente in suo possesso. Una civetta che forse vi abitava tra le pareti d’un vecchio casotto abbandonato era solita, soprattutto nelle ore del ponentino e al tramonto e per tutto il crepuscolo, visitare l’oliveto svolando da un olivo all’altro ed emettendo teneri squittìi, accompagnava così il lavoro dell’uomo. L’assidua ospite riuscì ad amicarsi con l’olivicoltore e questi era solito offrirle anche del cibo che essa accorta e con grazia gli beccava dalle mani. Passarono molti anni e l’uomo invecchiò e quella dimestichezza mai venne meno. Ma dal giorno che il vecchio degli olivi si dipartì, la civetta non fu mai più vista laggiù tra i vecchi, nodosi olivi.

 

   Il nostro amico ormai sta per lasciare l’oliveto, il sole tramonta laggiù oltre l’Albula tranquilla, oltre i monti. Scorgiamo ancora il vecchio, eretto nella sua figura adusta e con il volto al sole che declina, nell’atteggiamento di chi si è raccolto nella preghiera. S’è addensato un profondo silenzio, la valle e la natura tutta nella cerchia dei poggi e dei monti appare riunita in preghiera e a questo subitaneo accordo s’uniscono anche i nostri cuori e le nostre menti attente ascoltano la prece sublime. È una prece rivolta al Genio Italico, all’ Antico delle nostre genti.

   Il sole è tramontato, l’orizzonte s’è tinto d’un vivo cremisi tempestato d’aurei splendori; succederà un lungo e luminoso crepuscolo; poi la prima stella della sera e il ripetuto, appartato verso della civetta.  

 

   Là dove crollano i ponti la gente è corrotta dall’ateismo.

  Là dove crollano i ponti s’assommano sfiducia e sospetto alla faziosità dei dommatici.

   Là dove crollano i ponti il disaccordo incessantemente fa e disfà.

 Or appunto, quando gli uomini tendono alla dissoluzione, quando essi s’inventano il disastro è perché tale è la loro propensione.

  In un precedente scritto, “Gaia e l’Homo torpidus”, abbiamo affermato: "Crollano 'le cose' che non stanno più in piedi, che per pigrizia non si vogliono abbattere e riedificare dalle fondamenta; crollano i simboli privi di autenticità, le insegne di ciò che doveva inevitabilmente fallire e si dovrebbe senza rimpianto lasciare alle nostre spalle per ritornare con la romana Fides all’originaria fonte. Manca il coraggio?”

     Coraggio deriva da cor 'cuore', ed è animo, ardimento, eroismo; di tali virtù è certo colui che si è raccolto nel centro vibrante della sua interiorità e in sé ne ha inverato la piena luminosa coscienza, l’individuo che si realizza come Uomo nella natura del Padre. Il Padre, signore e custode dello Spirito della Stirpe, nudritor del coraggio, della virtus, della fortitudo, della firmitas, della constantia, della perseverantia. . . lunga l’elencazione delle doti quiritarie.

    E qui siamo venuti al dunque. Centrale infatti nel nostro argomentare è sempre l’uomo, l’essere vivente che unico sulla terra procede a capo erto e il cui procedere non è solo fisica movenza, naturale andatura, ma portamento, cioè un condursi e quindi un incedere, erecto incessu, norma del proprio personale cammino. Non mero essere senziente, ma anche discente, che può consapevolmente apprendere e dunque anche insegnare, mostrare, indicare. L’uomo che scienter “avi disciplinam imitatur” e che, pur attraverso il suo esempio virtuoso, tal condotta avita tramanda ai nipoti e ai discendenti. Imitare sottende trasmettere un’immagine, un modello; trasmettere una disciplina è anche trasmettere una singolare visione del mondo. Homo disciplinatus (doctus)/societas disciplinata (docta) generano la CIVITAS che diviene il centro da cui si diffonde il culto della vita sapiente, dell’agire umano consapevole, modello di Civiltà.

    L’uomo pertanto deve maturare in sé la consapevolezza d’essere e reggere qual persona stabilmente dotata di comprendimento (comprehensio) e di misura (mensuramodus). E quindi, concordia regnante tra gli uomini ed armonia tra l’Uomo, la Terra e il Cielo. Regola e cadenza; respiro conscio, ritmo. Qualità che determinano il giusto criterio d’intendere e di giudicare.  E in ciò non deve frapporsi o intromettersi nulla, decisamente nulla, di aruspicino, di fatidico o fatale, ma fulgere una centrale Realità, un REALE che nulla turba, solare ed olimpico.

    ROMANA VIRTUS:  la romana animi firmitas nell’augusta autorità della romana FIDES,

 

                                                               

 

TANTA ERAT PONTIS FIRMITUDO!