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MONDO IN VISIONE

                          

MONDO IN VISIONE

 

 e così come a Quel Qualcun garba, e vuole

 

Fecisti patriam diversis gentibus unam

Urbem fecisti quod prius orbis erat

 

   De gustibus non est disputandum. Questo proverbio che proviene dalle Scholae medievali lo abbiamo sempre ritenuto giustissimo, e perciò nulla rimprovereremo a quanti ci rinfacciano il nostro trogloditico (sic) sprezzo per il teleschermo e il nostro ripetuto, odioso invito a spegnere la tivvù; la nostra classica tivvù, madre pregnante di raffinata cultura, sfavillante d’intelligenze, popolare precettrice, la nostra tivvù nazionale, la migliore del mondo. . . acciderba! chi più ne ha più ne metta.

   Oddio, vogliono metterci con le spalle al muro? E perché, questi appassionati cultori e amatori della televisione, questi contemplatori di  minuscole immagini in movimento su un microschermo, questi teleascoltatori di sproloqui e cicalate vane e di quotidiane tiritere, cui noi non obiettiamo nulla e lasciamo liberi di appagarsi di speranze e illusioni, di sfrenarsi a rotta di collo nelle pasture allucinatorie della messaggistica subliminale, non vogliono che noi ce ne infischiamo della televisione e dissuadiamo i cuori semplici ed umili dall’accostare una tal trappola infernale? Che vale lasciarsi irretire in cervellotici discorsi pronunciati da personaggi, di sovente isterici, blateranti, senza alcuna motivazione ideale, l’un contro l’altro per poi arrendersi a spicci, vicendevoli complimenti, onde sotto la copertura d’un fittizio stile, qual è quello democratico, celare ipocritamente le loro magagne?

   I tele-visionari sono storditi nell’intimo, non pensano più autonomamente, pensano con un cervello di massa organato in quella scatola cranica ch’è l’apparecchio televisivo. I tele-visionari sono folle cosmopolite, le folle della transculturazione.  Sono folle narcotizzate da questo cervello massmediale uniconcettuale, volto in un’unica direzione e che mira basso, in giù. L’effetto ultimo: la monotonia della vita e del mondo, l’appiattimento del livello culturale dei popoli, la scomparsa dei beni e dei valori spirituali. Disparizione delle diversità e quindi delle affinità elettive, della congenialità; dispaiono la simpatia, le attrazioni. Omologazione: lo stesso, ripetuto, pedissequo discorso. Spegnimento dei sentimenti forti, intensi, duraturi. Mortificazione dell’affettività sincera, del nobile sentire, del savio giudicare. Al bando gli eterodossi! Comune sentire e comuni pensieri, tutto sempre accettato dalla generalità. Un’esperienza eguale per tutti, totalizzante; massificazione, desolazione. . .  Nei deserti ogni cosa è inauspicata, sospesa; così tutto nei deserti si disgrega, e ogni granello di sabbia è uguale all’altro; e ogni duna è un ammasso di sabbia. Ed altrimenti non è.

   Il padrone della televisione, sappiate, è un disgregatore! E non in senso figurato, badate bene! Il Grande Supervisore, il Grande Frate(llo), comunque vogliate chiamarlo. – Il Disgregatore! in carne ed ossa? – Ci siete arrivati. Euge! euge!  E adesso? – Adesso protesteremo e provvederemo a far capire a chi di dovere che la televisione deve proporci una informazione esatta e correttamente documentata. – Bravissimi! . . . E seppure ciò si realizzasse, contentando i vostri gusti e acconsentendo a milioni e milioni di richieste individuali, cosa impossibile, pensate voi che quello scatolone fluorescente possa darvi la visione reale delle cose e una vista lunga sul mondo e soprattutto una vista sapiente?   A voler essere superficiali potremmo pure accontentarci di quella che supponiamo sia una corretta informazione. Un esempio. Ci vengono proposte immagini d’un violento uragano d’oltre atlantico; alberi abbattuti, paesi invasi dalle acque, case distrutte, persone in difficoltà, soccorritori, e morti e feriti. Le immagini scorrono veloci sotto i nostri occhi, sono immagini esclusivamente televisive; rumori che si sovrastano e le voci agitate degli speaker hanno frastornato le nostre orecchie, sono mere emissioni di suoni radiotelefoniche, e a noi giungono in questa particolare tonalità.     Quale sarà stata la reazione emotiva del teleascoltatore? Quale la sua partecipazione a quell’evento lontano? Pensate per un istante e riflettete, se non ci fosse stata la televisione voi di quell’evento nulla avreste mai saputo. Di esso qual rappresentazione han voluto dare per immagini, e apposta foggiata per i teleascoltatori? Or dunque, quale finzione, quale ipocrisia si è riflessa nella vostra mente e nel vostro animo? Si è impossessata del vostro pensiero? Tutto questo riguarda voi e molto da vicino, eppure vi rimarrà purtroppo oscuro. 

   Vi apparrà, amici lettori, evidente che noi qui stiamo trattando della televisione in generale, non di una in particolare e della nostrana o di straniere, ma di questo genere di comunicazione o linguaggio ormai a diffusione mondiale; e non c’è da sorprendersi se ammettiamo che vi sia un unico teleimbonitore per il pianeta intero. In breve la stessa solfa per tutte le genti del globo, dall’occidente ad oriente, dall’equatore ai poli. Non si accetta che esista una televisione nazionale in un’epoca supernazionale e delle trasmigrazioni dei popoli, in un tempo in cui ogni fenomeno assume dimensione globale; il lavaggio del cervello ha agito in modo radicale e massivo. Il pensiero politico, storico, economico, lo sviluppo delle società debbono sottostare alla mondializzazione che persegue la multiculturalità intesa come un sincretismo che genera il cosiddetto “pensiero unico”, una filosofia e un sistema politico privo di ogni idealità. Poi, democrazie (cosiddette) svuotate della forza e della essenza culturale e spirituale dei popoli asserviti; democrazie consistenti in un insieme di masse snazionalizzate e combinate in un accozzo globale, dominato da un’oligarchia vampiresca dedita al guadagno, ad accumulare terrene ricchezze, ossessa dall’oscuro demone dell’avarizia, il Mamon degli Aramei e dei Caldei, il Mammona dei Vangeli cristiani, il nemico dell’uomo, un demone dei deserti.

  – Badate! – ci parlano i tecnici del “mondo-in-visione” – Non solo non si può contestare la pluralità delle emittenti televisive, ma nemmeno si può oggi negare l’impostazione pluralistica dello strumento televisivo come mezzo d’informazione, educativo, e così via. – E quindi ve la volgono sempre in ideologia; infatti “pluralismo”, inteso come prassi socio-politica, insomma come dibattito ideologico, è un impeccabile sinonimo di “democrazia”! Se v’infilate nei garbugli del detto espediente, o per dirlo alla loro maniera “democratico accorgimento”, vi caccerete in un ginepraio e avvertirete un tal stato di disorientamento e confusione, con il cervello sottosopra in tanta patologica loquacità, che vi sentirete rivivere, mostrando addirittura a questi millantatori piena gratitudine, quando v’avranno sbattuto in faccia, dopo un prolisso battibeccarsi, il muro della loro reductio ad unum, conformemente ad un prescritto scopo e giusta la loro particolare, esclusivista interpretazione.  Impeccabilità democratica! Ovvero mentalità dottrinaria, il chiodo fisso d’un “credo”. Guardatevi dalla pompa della pluralità, siate austeri e semplici; mirate a ciò che è raccolto in unità; il principio d’ogni quantità numerica è l’UNO. Non curate alcuna forma di proselitismo, detestate le propagande! Prediligete ciò che non può dar adito al dubbio, all’equivoco, l’UNIVOCUS! La voce desta della retta coscienza. La voce, la parola divina. Spegnete le tivù! Mettete a tacere il clamore delle folle televisive, la insana gazzarra democratica! Non ne avete le scatole piene di tanto diavolio?

– I vostri assunti sono contraddetti dal dato innegabile – ci vien ancor controbattuto e col sostegno d’esempi – che gli USA e la Cina sono da ogni punto di vista due realtà diversissime. – Invece nulla, a veder bene, di più assimilabile, tant’è vero che si contendono il primato del conformismo e insieme dell’eccentricity; cineserie e americanate si sovrappongono, il gusto kitsch cino-americano, è costume ormai ovunque diffuso. E le città cinesi non hanno certamente da invidiare i grattacieli a Nuova York e a Chicago; all’interno di quei grattacieli la vita delle famiglie cinesi non è diversa da quelle americane. La Cina d’un tempo non è più, e nemmeno può esistere una tivvù nazionale cinese, di cultura cinese. La Cina della sapienza taoista e della disciplina confuciana è lontanissima nel passato. Il marx-leninista Mao Zedong deformò la dottrina di Confucio e ne fece un libretto, il catechismo rosso, e c’è in quel libretto tanto tanto dell’ipocrisia puritana yankee; ben mascherata ma c’è. E le ricerche sulle modificazioni genetiche? E l’ansia tecnologica di raggiunger la luna? la faccia palese, la faccia nascosta della luna!  Americanata? Cineseria? E non venite a dirci che l’animismo primitivo da cui dipendono gli uni non riguardi anche quegli altri. E ciò quand’anche i due Paesi, per questioni militari e strategiche, risultassero avversari.

   Ma in tutto questo scenario così dispoticamente sottomesso e oppresso ci sarà pure uno spiraglio di luce? Questo spiraglio, diciamolo subito, non può non sussistere; è quel che regge, la via di salvezza. In caso contrario, sotto il peso del terrore atomico e dell’offuscante, quotidianamente ininterrotta soggezione televisiva, il genere umano sarebbe del tutto narcotizzato e perduto.  Ma ciò non potrà mai accadere, perché quel che sempre è stato, ed è, sempre sarà e indipendentemente dai cambiamenti di stato nel perpetuo divenire. I cicli dell’eterno ritorno, il tempo ciclico degli stoici, una spericolata intuizione dello stesso Nietzsche, cui confrontandosi il pensamento umano si sfinisce, non così la virilis Virtus, ch’è coscienza del cosmo.

   Il Disgregatore è già sconfitto. – Ma dove lo spiraglio di luce? – vi chiedete. Non cercatelo sulle geografiche latitudini.

– Allora, dite voi, forse l’O N U? – Macché, lasciate andare!

– Volete suggerire, dunque, la Russia odierna? – Insiste qualcuno e qui non a sproposito, perché fa giusto al caso argomentare qualcosina.

   E giacché abbiamo affermato che la geografia non c’è d’aiuto, l’interlocutore ha accortamente pensato alla risorgente anima e alla non spenta secolare cultura della grande madre Russia, venuta fuori dall’orrenda prova bolscevica. Dobbiamo innanzitutto dire che noi non sappiamo nulla della Tivvù russa e di chi la organizza e quindi di quanto essa possa effettivamente esser rappresentativa della cultura russa e della sua vera identità; ma immaginiamo frattanto che venga o sia già stato posto in essere un sincero tentativo. Di certo sappiamo che il blocco occidentale è avverso alla nuova Russia per motivi di ordine internazionale e militare, inoltre le democrazie occidentali considerano la Russia un ostacolo al processo di globalizzazione; ed è indubbio che in tal processo l’attuale corso degli eventi russi segni uno strappo e costituisca un fatto positivo contro il totalizzante disumanare che s’appresta. Poi si ripresentano la religiosità russa con il suo misticismo, la idealizzazione con il mito della terza Roma. E per queste fondamentali ragioni la Russia, semmai forse ancora a tasto, guarda all’Europa e richiede la presenza europea, l’intervento dell’Europa sulla scena del mondo. La Russia, la terza Roma, conserva in sé una innata e genuina spinta, ma non può far da sola. L’Europa, d’altro canto, non è più autonoma, controllata militarmente, padroneggiata politicamente da poteri stranieri, ha perso la sua identità ed è in procinto di esaurirsi totalmente in miseri conati di revanscismo giacobino o addirittura di abbandonarsi allo spaesamento e, peggio, alla narcosi della commistione etnica dimenticando una millenaria cultura e la sua missione di civiltà. L’Europa, infatti, deve necessariamente ritrovare le sue radici, ed esse sono nella Romanitas, nella civiltà dell’Essere, nella lancia del padre Marte, nell’aratro di Romolo, suo figlio, e nei Rostra, la tribuna da cui veniva promulgata al mondo la LEX.

   Quindi, lo spiraglio di luce deve essere aperto del tutto, è voluto! Rifulgente Romana Idea, che non è certo un luogo geografico, se non simbolicamente un luogo che nasconde – latet – Saturno il re dell’aurea aetas, il seme comprensibilmente ascoso, da custodire, perché non vada smarrito; il seme dell’imperitura sapienza donde ha origine l’agire intemerato, l’azione virtuosa, eroica, che conduce fuori dall’oscurità.

 

 

LA ROMANITAS E L’EUROPA

VERSO UN MONDO SENZA MENZOGNA

 

   I versi latini apposti sopra questo scritto sono di Rutilio Namaziano (V SEC. e.v.), poeta latino, nato in Gallia, e prefetto dell’Urbe nel 414/15 quando intraprese un viaggio di ritorno nel suo paese natio devastato dai Goti. Nel poema incompiuto, il De reditu suo, Namaziano, narrando il difficile e periglioso viaggio, descrive la decadenza dell’impero d’occidente e del popolo romano. La tremenda catastrofe aveva tutto disfatto e disunito, demolito ogni ordine religioso, politico, sociale, militare; si diffondevano impuri culti orientali e un torbido invasamento d’ultramondano, riguardante la credenza in un incerto, nebuloso aldilà, credenza che trasferiva nella specchiata, fino allora, realtà naturale una immonda e informe fauna spiritica e psicotica. Alla terrenità ormai uscita di senno s’andava celando (il saturnio latēre) la luminosa trascendenza che aveva retto l’ordine romano e con esso l’Impero delle genti; imperversava ovunque un fanatismo proveniente da stranii lidi, in piena di attese e speranze messianiche. Namaziano non poteva accettare quel grave perturbamento dell’ordine divino sulla Terra, quell’inframmischiarsi di barbarie, e si doleva degli infranti confini, della scomparsa grandezza, lui d’origini galliche, ma soprattutto Civis Romanus; già prefetto dell’Urbe, lui il poeta che nutriva grande amore per l’ideale romano che in quei suoi versi rende in una mirabile sintesi. Ideale quirite in cui riluce la comprensione e la norma del Vero nella luce della trascendenza. Idea universale che vuole raccogliere i popoli in una superna unità, preservando però e tutelando l’autonomia delle distintive culture, con il rispetto anche dell’autoctonia; tutte quelle culture liberamente volte, sotto le insegne della civiltà e della legge, ad una superiore armonia per il perfezionamento delle genti nella  formazione e l’avanzamento spirituale. Superna unità, quindi, non livellamento, eguagliamento nei bassifondi. E l’uomo, la persona umana, anche se uno sprovveduto telespettatore, non resti sepolta nell’immanente terrenità, onde poter raggiungere quel saver che tutto trascende, per riferirsi a un’espressione dantesca.  

   L’età della Giustizia attende che il giusto, il suum cuique tribuere, venga realizzato come compimento dell’honeste vivere e dell’alterum non laedere, raggiungendo il necessario distacco dagli egoismi, superando avversioni, ostilità, odi; attende perciò la venuta dell’UOMOnel romano modello, nel romano carattere. E l’Europa reale, l’Europa ragionevole e giusta, attende la venuta del suo fondatore, dell’infallibile nocchiero, il Gubernator, del provetto coltivatore, l’Auctor frugum e primariamente dell’Auctor concordiae, l’UNIFICATORE: attende quindi una legittima Constituta Auctoritas. Per tali ragioni rivendica anche Popoli saldi, integri, concordi; attende i Quiriti d’Europa.

 

SI NOS ITALICI RECTE VOLOMUS

FELICITER VENIAT

 

 

 

 

L’Eurasia è il supercontinente che comprende Europa ed Asia; per convenzione, i monti Urali a nord e a sud il mar Caspio, vengono indicati come confine tra le due masse continentali; ma in verità, e in specie a sud, possiamo ben dire segnati per approssimazione, infatti la vera linea di demarcazione è stata più spesso da secoli un limes culturale con le costumanze estreme che han diversificato le genti, il loro sentire e  le loro istituzioni politiche; e in più le coordinate misure ed armonie geografiche e climatiche delle terre europee a fronte degli eccessi e squilibri del clima, nonché delle immense estensioni pianeggianti e delle immani altitudini asiane. Diversità, unioni, allontanamenti, resistenti differenze tra mondi, anche probamente volute e graziosamente nel mito e con amore attuate, come pure accadde con

 

 

I L  R A T T O   D’ E U R O P A

 

 

 

 il mito

 

  Il memorabil rapimento

e la fanciulla dai grandi occhi:

Ardire! solare estasi, lustrale visione!

Eretta, del Toro sulla forte bianca

Groppa, rialto gemmante di luna,

La sostiene quel talamo fiorito,

Divin ratto d'un'eletta Natura,

Ed il terrestre plinto,

L’unghia, che sfavilla nel rapido moto. . .

In composte membra di luce

Zeus Gaia Trivia e il mugghio taurino del mare,

Virginal Natura in immago già sculta

Del sommo, del vero e del giusto.

Sfavillano nell’attrito con l’onda

Gli zoccoli del trafugo,

Figge l’unghia nell’onda faville 

E risfavillan l’onde

Al novello favolare echeggiante

Nella volta cilestre del cielo,

Che intatto si riversa nel mare.

E il divino giovenco favella,

Favella con la volta azzurrata, con l’onda,

Da che scorre i cieli facondi di verbo solare

E varca il facondo enarrare del mare;

Ché una sola parola, un solo racconto,

Un sol mito sono la terra, il cielo e il gran mare.

 

 

   Racconta lo Pseudo-Apollodoro, al III Libro dei Miti nella sua Biblioteca, che da Agenore, re di Tiro in Fenicia, e da sua moglie Telefassa nacque una figlia, Europa, e tre maschi, Cadmo, Fenice e Cilice. Ma alcuni altri sostengono che Agenore fosse il nonno di Europa, perché figlia di Fenice. Della fanciulla s’innamorò Zeus, che assunta forma di toro, la fece salire sulla groppa e attraversato il mare la portò a Creta dove si unì con lei. Europa partorì Minosse, Sarpedone e Radamanto. Scomparsa Europa, il padre mandò i figli a cercarla, intimando loro di non tornare a casa prima di averla trovata. Anche Telefassa partì alla ricerca della figlia. Cercarono dovunque, ma non la trovarono e non potendo più far ritorno a casa ognuno rimase a vivere in una terra diversa. Fenice in Fenicia, Cilice in Cilicia, regione che da lui prese il nome. Telefassa e Cadmo si stabilirono in Tracia. La metamorfosi di quella ch’era stata una fanciulla asiano-fenicia era compiuta, “cercarono dappertutto, ma non riuscirono a trovarla”.

   In breve, il mito narra la nascita del continente europeo. Quel tempo remoto vide risplendere l’Europa di luce iperborea e fu, nel cuore del Mediterraneo, la Saturnia Tellus, il luogo della sapienza solare, un rifulgente onfalos! Mentre il continente accoglieva nuove genti, genti nobili con i loro dei olimpici e capi valenti; genti discendenti da stirpi eroiche, una razza dello spirito. Le forze selvagge della Natura e l’oscuro tellurismo esprimenti deità infere vennero respinte nelle fosche caverne, nelle steppe e nelle deserte, nomadiche solitudini d’Asia. La spiritualità delle sopravvenute genti le differenziava in modo totale dal torbido animismo, dal dispotismo e dalla barbarica passionalità delle genti asiane; così come fieramente furono avverse a quei cleri melliflui, ai culti languenti e meramente naturalistici, e virilmente osteggiarono i costumi rilassati e le smaliziate, scaltrite arti affaristiche e mercantili di quelle genti che alla fine si ridussero a trafficare e ad abitare nell’ estreme diramazioni di regioni affacciate pur sul Mediterraneo, ma propaggini della Siria e della cosiddetta Asia Minore.

   E allora, come ebbe a scrivere Plinio il Vecchio, l’Europa fu “la più bella e la primiera plaga del mondo essendo in essa l’Italia bellissima, culla del popolo reggitore di tutte le genti."

   Estreme diversità di mondi, che, ieri come oggi, hanno nella loro connaturata peculiarità atavica, realtà spirituale e naturale, il proprio esserci. Un tempo queste realtà, in piena autonomia, affrontavano le vicissitudini storiche forti delle loro tradizioni, delle loro culture, della loro scienza spirituale, del loro giusto agire.  Andavano felicemente formandosi evolvendo nella pace, in sorprendenti gare di mirifiche civiltà, e nell’armonia universale.

   Nel Mito delle età, Esiodo racconta che dipoi seguirono stirpi violente e terribili, la Giustizia fu inascoltata e dovunque sopravvenne l’empietà. Negli uomini scomparve la disposizione a coltivare le virtù e con l’egoismo subentrò l’inganno e fu brama di guadagno e di possesso. È l’età oscura, la trista età del ferro; scompare la lealtà, scompare il pudore. Oscure potenze ammassano, disseminandoli su tutto il pianeta arsenali di armi micidiali e di una mostruosa potenza distruttrice. Ciò fanno impunemente, perché le masse non se ne rendono conto; agiscono sulle masse con la tv, formidabile arma di distrazione e soprattutto di persuasione. Agiscono sugli egoismi, sulla vanità, sulla vigliaccheria, soprattutto! Tutto ciò è orrendo e riprovevole, ed è ingiusto. Ma, è anche spaventevole e terribile? Non per noi. . . per loro, sì! Periranno di orrendo, perché trionferà Giustizia.

   Esiodo vergava le sue opere tra la fine del VIII e l’inizio del VII secolo a.e.v. e pur condannando quei suoi tempi vi vedeva, frammiste a tante brutture, anche delle cose buone, ma prevedeva fatti peggiori per il futuro. E sarà così purtroppo anche per i prossimi decenni. C’è chi osa accusare di cialtroneria il buon poeta?

   Frattanto, a oggigiorno, l’alitare esiziale dell’Asia, delle sue nomadiche steppe, dalle contrade fenice ha fatto ritorno sulle città d’Europa, imbarbarendole, e questo vento punico soffia invasivo e aggressivo anche da oltre atlantico. Un effetto della globalizzazione questo alido alitare asiano-punico! Questo alidore barbarico – steppe d’Asia, steppe d’America – che alidisce la vita e le culture delle genti d’Europa!

   E, qui, in Italia? Pressappoco come nel resto d’Europa, l’andante deleteria dottoreria (sotto docenza catto-yankee), imperante un bigotto democratismo, non intende spazzar via difformità, divergenze, ostilità, dispareri, disarmonie e quant’altro torni utile al padrone; anzi, all’occorrenza, la tirannia acuirà i dissidi, le tensioni. E tutto ciò fin quando non cesserà tanto affanno – e cesserà! – e non si manifesterà dall’alto, in plenitudine – e si manifesterà! – l’impareggiabile solare sapienza. La compiutezza, l’azione risanatrice dell’antica, arcana sapienza. Allora, oriente e occidente, pur fruttando varietà e diversificandosi in qualità, valori e pregi, nella pace costumata e nell’armonia delle genti, saranno un’ORMA unica, in un’Europa concorde e con il RAMO allo zenit.

 

 

 

URBEM FECISTI QUOD PRIUS ORBIS ERAT