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Discorso VIII (sul conoscersi)

                       

 

 

Discorso VIII

(sul conoscersi)

  

Naturae sequitur semina quisque suae

                                                              Properzio

 

D'un savio greco, ch'uno Re teneva in pregione, come giudicò d'uno destriere.

 

 

    Nelle parti di Grecia ebbe un signore che portava corona di re et avea grande reame et avea nome Filippo; e per alcuno misfatto tenea un savio greco in pregione. Il quale era di tanta sapienza, che nello 'ntelletto suo passava oltra le stelle.

    Avenne un giorno che a questo signore fu appresentato delle parti di Spagna un nobile destriere di gran podere e di bella guisa. Adomandò lo signore mariscalchi, per sapere la bontà del destriere: fuli detto che in sua pregione avea lo sovrano maestro intendente di tutte le cose.

    Fece menare il destriere al campo, e fece trarre il greco di pregione, e disseli: "Maestro, avisa questo desriere, ché m'è fatto conto che tu se' molto saputo."

     Il greco avisò il cavallo, e disse: "Messere, lo cavallo è di bella guisa, ma cotanto giudico: che 'l cavallo è nutricato a latte d' asina."

    Lo re mandò in Ispagna ad invenire come fu nodrito, e invenero che la destriera era morta, e il puledro fu nutricato a latte d' asina. Ciò tenne il re a grande maraviglia, e ordinò che li fosse dato uno mezzo pane il dì alle spese della corte.

    Un giorno avenne che lo re adunoe sue pietre preziose, e rimandoe per questo prigione greco, e disse:  "Maestro, tu se' di grande savere, e credo che di tutte le cose t'intendi. Dimmi, se ti intendi delle virtù delle pietre, qual ti sembra di più ricca valuta?"

    Il greco avisò, e disse: "Messere, voi quale avete più cara?"  Lo re prese una pietra intra l'altre molto bella, e disse: "Maestro, questa mi sembra più bella e di maggiore valuta."

    Il greco la prese, e miselasi in pugno, e strinse e puoselasi all' orecchie, e poi disse: "Messere, qui ha un vermine."

    Lo re mandò per maestri e fecela spezzare, e trovaro nella detta pietra un vermine. Allora lodò il greco d' oltremirabile senno, et istabilio che un pane intero li fosse dato per giorno alle spese di sua corte.

    Poi dopo molti giorni lo re si pensò di non essere legittimo. Lo re mandò per questo greco, et ebbelo in luogo sacreto, e cominciò a parlare e disse: "Maestro, di grande scienzia ti credo, e manifestamente l'hoe veduto nelle cose in ch'io t'ho domandato. Io voglio che tu mi dichi cui figliuolo io fui."

    El greco rispuose: "Messere, che domanda mi fate voi? Voi sapete bene che voi foste figliuolo del cotale padre."

    E lo re rispuose: "Non mi rispondere a grado.  Dimmi sicuramente il vero; e se nol mi dirai, io ti farò di mala morte morire."

    Allora il greco rispuose: "Messere, io vi dico che voi foste figliuolo d'uno pistore."

    E lo re disse: "Vogliolo sapere da mia madre."  E mandò per la madre e constrinsela con minacce feroci.  La madre confessò la veritade.

    Allora il re si chiuse in una camera con questo greco e disse: "Maestro mio, grande prova ho veduto della tua sapienzia; pregoti che mi dichi come queste cose tu le sai."

    Allora il greco rispose: "Messere, io lo vi dirò. Il cavallo conobbi a latte d' asina esser nodrido per propio senno naturale, acciò ch'io vidi ch'avea li orecchi chinati, e ciò non è propia natura di cavallo. Il verme nella pietra conobbi, però che le pietre naturalmente sono fredde, e io la trovai calda. Calda non puote essere naturalmente se non per animale lo quale abbia vita."

    "E me, come conoscesti essere figliuolo di pistore?"

   El greco rispuose: "Messere, quando io vi dissi del cavallo cosa così maravigliosa, voi mi stabiliste dono d'un mezzo pane per dì; e poi quando della pietra vi dissi, voi mi stabiliste uno pane intero. Pensate che allora m'avidi cui figliuolo voi foste: che se voi foste suto figliuolo di re, vi sarebbe paruto poco di donarmi una nobile città; onde a vostra natura parve assai di meritarmi di pane, sìccome vostro padre facea."

    Allora il re riconobbe la viltà sua, e trasselo di pregione e donolli molto nobilemente.

 

Dal NOVELLINO

 

   Il savio riconosce ai fatti l’uomo volgare sotto qualunque veste gli si presenti. L’uomo volgare è colui che non ha conoscenza di sé stesso e non avendo questa conoscenza non è nemmeno in grado di agire con giustizia e, nei casi ordinari, nemmeno correttamente. Ognuno segue i germi della sua natura, dice in una delle sue elegie il poeta latino Properzio. Chi ha animo nobile e cuore generoso compirà degne azioni e saprà riconoscere l’altrui merito; le azioni del saggio saran sempre moderate e giuste. Le azioni di chi è avido e volgare, saran sempre smodate e riprovevoli; le azioni di chi ha animo pavido si risolveranno in atti meschini. Chi conosce sé stesso, sa concentrare nel suo agire proporzione e misura e mai trascurerà di ricompensare il senno e il valore. La storia che precede ha lieto fine. Il savio istrada il Re al riconoscimento della sua indole, il semen naturae suae. Quel Re che indegnamente stava sul trono, avendo perfino imprigionato la Saviezza, una volta riconosciuta la sua indole, saprà finalmente agire da Re. Il padre, il buon fornaio, non aveva trasmesso al figlio un malvagio temperamento, ma solo la limitatezza della sua arte di pistore, come tutti i padri naturali trasmettono, nel bene o nel male, l’attitudine loro. Un vero Re deve invece… (Si rinvia alla pagina del sito L’INAUDITO PLAUSIBILE e precisamente allo scritto: SUB IOVE).