DIVA ANGERONA

DIVA ANGERONA
Capricornus ab infernis partibus ad supera solem reducens,
caprae naturam videtur imitare, quae, dum pascitur, ab imis
partibus semper prominentium scopulorum alta deposcit.
Macrobio, Saturnali
Voluptas, prima di essere corporis voluptates, piacere dei sensi, proprio dell’uomo che si precipita e immerge nel cieco materialismo, era voluptas animi, piacere spirituale, cioè letizia dell’animo, gioia; è di Cicerone l’espressione “voluptas dicitur etiam in animo”. La radice della parola è indoeuropea, VAR, VAL che si allunga in VOL, come anche in vol-untas; in tal etimo è incluso anche il senso dello scegliere secondo una propria speme; aspirare, desiderare, preferire. L’uomo antico non ritrovava precipuamente la propria felicità nei beni esterni, cioè nel diletto corporale, ma innanzitutto nella virtù dell’animo, onde partecipare della natura dell’intelletto, l’intelligenza attiva, creatrice, e attraverso di esso della natura divina. Virtù che l’uomo può, anzi deve, conquistarsi da sé, per goderla felicemente in sé e attraverso la volontà renderla ferma e duratura. È così che ogni azione viene indirizzata ad essere virtuosa, giusta. Pura, incorrotta meritoria ascesi.
Volupia, era lei dunque la dea del gaudio, della letizia, della gioia; così della iucunditas, della giocondità, dell’allegria, della piacevolezza, della giovialità, dell’amabilità. Apuleio dice che era figlia d’Amore e di Psiche. In Roma aveva un suo tempio, vi era rappresentata assisa in trono, e ai suoi piedi la Virtù. In questo tempietto, accanto alla statua di Volupia, quella della diva Angerona.
In Macrobio, nei Saturnali, Prima Giornata: “Nel dodicesimo giorno prima delle calende [21 dicembre] si celebra la festa della divina Angeronia, per la quale i pontefici celebrano un rito sacro in ara Volupiae. Verrio Flacco dice che essa è chiamata Angeronia perché, resa propizia, scaccia angores (angoscie) ac sollecitudines animorum. Masurio aggiunge che la statua di questa dea viene collocata sull’altare di Volupia, ore obligato atque signato, perché coloro che han forza bastante per dissimulare i loro affanni e le loro angosce, grazie alla loro sopportazione, giungono alla vera gioia (perveniant patientiae beneficio ad maximam voluptatem). Giulio Modesto dice che si sacrifica a questa dea perché il popolo romano fu da lei liberato da un malattia chiamata angina (morbo qui angina dicitur), a seguito di un voto”.
I Romani quindi veneravano congiuntamente Volupia ed Angerona, la dea della voluttà e la divinità dell’angoscia. Angerona, così come anche angoscia, dal greco ἄγχω, stringere, soffocare, angustiare. La dea quindi cui i Romani ricorrevano per essere guariti o preservati dall’angoscia, dalle angine; ad essa sacrificavano nel tempio di Volupia. Che forse Volupia può cangiarsi in Angerona? Può durare a lungo il diletto? La vita fluisce, vi son tanti momenti, tanti stati, tanti eventi si succedono. Volupia ed Angerona collaborano, unite ammoniscono: TEMPERANTIA! Temperanza, moderazione, misura, quindi pro-videre, cioè antivedere che è ancora pur sempre prudentia et temperantia. Se in sé stessi si riesce a congiungere la divinità di Volupia e quella di Angerona, allora si opera con preveggenza e saggezza. L’uomo raggiunge una propria divina Provvidenza, la sua Fortuna Manens, purché, s’intende, abbia bandito dal suo animo e dalla sua mente la deturpante hybris. Le cose caduche non possono equipararsi a quelle divine. Per questo non bisogna lasciarsi sorprendere dal torpore e dal sonno; l’uomo non deve trascurare di agire onde raggiungere felice stato, cioè quel distinto stato che comprende le maggiori rilevanti virtù, le virtù che fanno l’ottimo Reggitore, colui che sa regolare con giustizia il proprio volere e, che liberatosi da ogni cupidigia, ha sufficiente fortezza per distribuire intorno a sé benevolenza e amore. Per questo in ara Volupiae si trovava la statua di Angerona con la bocca bendata e sugellata. Dea del silenzio? Come Arpocrate presso gli Egizi, e rappresentato col dito sul labbro? Certo, dea del silenzio, ma ore obligato atque signato, bocca serrata e sigillata con una benda. Dea del silenzio certamente, con la bocca legata e sugellata, perché presiedeva ai consigli segreti? Certo, essa ammoniva qualunque persona che, in pregiudizio dello Stato, nulla era lecito rivelare che fosse segreto. In latino, però, silentium, dal verbo silere, tacere, è anche la calma, la tranquillità dell’anima. L’etimo ha per radice indoeuropea ‘SI ’ che indica un legare, un abbracciare, quindi un unirsi, un comporsi in unità, il far di due uno. Il raggiungimento della integrazione, quindi della incorruttibile integrità, la rettitudine. Questo silenzio abita nella profondità interiore del virtuoso. È la saggia parola che non si pronuncia, la parola segreta, la parola vivente.
Ecco spiegata, per quel ch’è possibile, l’alleanza in ara Volupiae del silenzio e della voluttà.
Ma c’è un silenzio ancora più abissale che si confonde con il suono delle più alte sfere, è il silenzio del cosmo. E tal silenzio è pur esso un silenzio religioso, che abbraccia e lega l’uomo, il cosmo, la divinità.
Scrive il Dumézil in LA RELIGIONE ROMANA ARCAICA: “Nessuna festa pubblica segna gli equinozi e il solstizio d’estate, nessuna divinità è loro patrona; il periodo che comprende il solstizio d’inverno ha invece la sua dea. I giorni più corti dell’anno sono un periodo patetico, una crisi della natura, che termina il 21 dicembre con la bruma. Mentre, ‹‹breuissima (dies)›› designa oggettivamente il solstizio, considerato come singolo punto nella curva del tempo, l’imbarazzo e l’inquietudine, provati o stilizzati, causati dalla continua diminuzione della durata della luce, sono meglio espressi da un’altra radice, quella da cui proviene anche angor. È buon latino, in ogni epoca designare con angustiae un periodo di tempo considerato troppo breve, disgraziatamente o dolorosamente breve; Macrobio usa e ripete appunto questo termine quando drammatizza la svolta dell’anno: ‹‹il tempo in cui la luce è angusta…; il solstizio, giorno in cui il sole emerge finalmente ex latebris angustiisque…››. […] Quegli angusti dies toccavano anche l’ambito religioso: una dea e un culto ne garantivano il superamento. […] Una Diva Angerona permetteva di superare quel tipo particolare di angustiae”.
Riportiamo ancora da Macrobio: “[…] il momento in cui la luce è ridotta al minimo, quando, come se fosse eliminata ogni crescita e restasse solo una minima prominenza, il sole giunge al giorno più corto dell’anno, gli antichi chiamarono solstizio brumale, derivando il nome bruma dalla brevità dei giorni, come equivalente del greco βραχὺ ἧμαρ. Riemergendo da questo occultamento o ristrettezza, ex quibus latebris vel angustiis rursurs emergens, il sole volto all’emisfero estivo si mette a crescere come se si sviluppasse dalla nascita, ad aestivum hemisphaerium tamquam enascens in augumenta porrigitur, et tunc ad regnum suum pervenisse iam creditur, e allora crede di essere ormai giunto nel suo regno”.
“Angerona negli angusti dies dell’inverno”, scrive il Dumézil: “adempiva alla sua funzione di salvare il sole in pericolo, grazie al proprio silenzio e alla concentrazione di forza mistica da esso procurata”. Anche in questo caso Volupia e Angerona si congiungono in una volontà che si realizza.
Gran simbolo cosmico, tale evento solare, in cui l’uomo che sa e realizza nel segreto e nel silenzio può scoprire la raffigurazione di una via al divino e incontrarsi con la divina volontà della Diva Volupia e della Diva Angerona, venendo decisamente fuori dall’angusto stato del particolare e rinascendo nella perfetta meraviglia dell’unicità originaria.
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La notte è serena e silenziosa, nella valle è cessato il vento; alta nel cielo a sud, Sirio risplende fascinosa al pari di una cometa; indica una direzione e il sole viaggia in quella sulla sua scia, e noi e la terra con il sole.
