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A FAUNO

                         

 

 

A   F A U N O

 

 

Fauno, che adori le Ninfe fuggitive,

vieni tra questi miei campi solatii,

ma prima di andartene sii

proficuo alla tenera prole del gregge!

Sul finir dell’anno un capretto

nato da poco per te cadrà,

né ti farò mancare il vino

dalla coppa di Venere versato,

e dall’antico altare

salirà denso aroma.

Saltella graziosamente il gregge

sul prato erboso, quando tornano

per te le None dicembrine

e il borgo si svuota sui campi in festa,

ove ozioso oggi riposa il bove.

Tra gli agnelli divenuti arditi

s’aggira il lupo; per te sparge fronde

la selva; appagato, il vangatore

per tre volte batte col piede

la detestata terra.

 

ORAZIO, Odi L.III, 18 (ns trad.)

  

 

   Alle None di dicembre (5 - Quest'anno Dies Lunae) ricorrevano nell’antico mondo latino-italico i Faunalia Rustica; una festa campestre dedicata a Fauno, divinità della natura; inizialmente della campagna, dei pascoli e poi anche dell’agricoltura. Il mito lo riteneva un antico re, il terzo re del Lazio, figlio di Pico e Canente, nipote quindi di Saturno e secondo Virgilio anche padre di Latino, che avrebbe generato da Marica, una divinità delle acque. Sua sposa era la Fat(u)a Fauna. Era altresì, proprio perché divinità della natura, un dio oracolare e perciò era detto Fatuus, la sua voce, infatti, era lo stormire delle fronde…nume dell’ispirazione, parlava e vaticinava (canebat) in versi saturnii, lui discendente da Saturnia Proles, lui il dio della Saturnia Tellus, lui re della Saturnia Gens.

   Fauno era anche detto Luperco perché proteggeva le greggi dai lupi, ma non era ad essi per nulla avverso e non poteva esserlo, in quanto dio della natura. Egli era quindi Lupercus, cioè lupus e anche hircus, capro, becco e, poiché nella parte inferiore del corpo era rappresentato in forma di capro, indubbiamente doveva mandare anche lezzo caprino, cioè un aroma forte, lussureggiante, quel lezzo che impregna e feconda. Questa iconografia dovette intervenire in tempi più tardi, quando ci si adeguò ai modelli greci. Di certo, Fauno era una divinità del contado, estranea alla vita e alle costumanze urbane; avrebbe perso la sua potenza magica all’interno delle mura; tra gli edifici e, nell’intimità, nelle dimore degli inurbati, tra strade e piazze d’una città; il fascino del dio agreste depauperandosi, avrebbe perso di vigore e deviato quindi in seduzione, corrompendo, affatturando. I culti agresti si svolgevano in ampi spazi, e per questo richiedevano non comune esperienza, oltre al vigore e al nerbo di un operatore, dai tratti sciamanici, che doveva appunto tenere a bada le forze estranee, cioè del barbaro, dell’alieno, che perturba, confonde e disordina, sfidando il sacro limen. Ciò imponeva che l’operatore fosse d’animo puro, non preda di stimoli travolgenti, istintuali, meccanici, d’animalità radicata in un uomo che non avesse raggiunto la sana, piena consapevolezza di sé.  E, soprattutto, che si fosse immuni dalle superstizioni. Quando questa immunità sarà travolta, il vero volto della divinità si occulterà e al suo posto prevarranno forze ibride, demoniche e dei falsi e bugiardi, prenderà forza l’idolatria.

 

 

   Per ricordare l'antica festività italica dei Faunalia Rustica, allietata certo dal suono delle pive, abbiamo qui tradotto liberamente, cercando di ritrovare quanto più possibile quei tempi, una bellissima ode di Orazio dedicata a Fauno. Da questa ode spira una grande e festosa serenità che ci trasmette ancora il senso schiettamente ‘saturnio’ di quel mondo faunesco, quando la natura era divina e l’uomo, che era riuscito a rettificare entro di sé il selvatico, non aveva alcun timore delle presenze e dei segreti di essa natura; ché avendo purificato la sua interiorità e egli, libero dall’oscura intrigata selva degli egoismi, nato a nuova vita, era finalmente in grado di ascoltarne la vaticinante voce amica. E adesso, leggete il Vate latino: “Faune, Nympharum fugientum amator…” Compare il dio, la natura pietrificata si anima, energie fluiscono, scorrono, e danno vita e salute tutt’intorno! È opera del calore manifesto del nume amator!…E il Vate, allora: “Per meos finis et aprica rura/lenis incedas…”

   Vieni, vieni a noi propizio, Fauno!