SECONDO VERITÀ

Svelami!
se in uno hai mente immacolata e cuore puro
e
le tue mani sono incontaminate
S E C O N D O V E R I T À
Il deserto cresce; guai a chi in sé cela deserti.
Nietzsche
“Siete usciti di tema!” Il nostro interlocutore è secco e reciso: “Mettete insieme fatti ed eventi troppo distanti nel tempo.” Non sono però parole persuasive le sue, soprattutto per noi. Tempi di confusione e di angoscia quelli e anni di confusione ed angoscia questi di oggi. Apocalypsis! Mezzi di comunicazione e formati differenti, è evidente; ma il cervello formatore è lo stesso; non muta, è inalterabile. Lo stile narratorio resta immutato, il racconto, inconfondibilmente monotono e sostanzialmente corrispondente, si ripete. Proprio così, si ripete tale e quale! Un’astuzia e una costanza diavolesche, e, se tale aggettivo ha perso di forza, perfide, aggiungiamo, e perverse. Un 'cervello' che si perpetua e procede con una maliziosa metodica e persegue, secondo un piano prestabilito, un malvagio scopo. Un’intelligenza artificiale, refrattaria ad accogliere sentimenti, emozioni, ad avvertire un sol fremito d’ammirazione, un sussulto di gioia, o a sentire amore. Un’ intelligenza aliena, emarginata, esclusa dall’umana sensibilità. Ostile in modo profondo e oscuro all’umano consorzio. Un’intelligenza indirizzata a far credere la vita umana una vicenda disastrosa e la terra con la sua lussureggiante natura un astro maligno. Non stiamo ipotizzando l’esistenza di intelligenze extraterrestri, ma parliamo di un quid che ha preso consistenza e da tempo si è fatto palese su questo pianeta. Una hybris, la causa, molto lontana nel tempo? Sono formulabili ipotesi, ma non vogliamo entrarci. Atteniamoci ad alcune certezze, che dobbiamo anzitutto sincerare dentro di noi; e senza risparmiarci alcunché. Declino delle società umane con il conseguente scadimento delle antiche culture dello spirito, luminose e solari. Oscuramento della consapevolezza nella persona umana; la mente dell’uomo un dì partecipe dell’armonia cosmica smarrisce la coscienza intatta e immacolata degli inizi, il filo di Arianna; il filo d’oro della sempre risorgente Aurora. Stanca la mente si abbandona, ormai svigorita, agli occidui riverberi precipitanti in interminabili crepuscoli. La personalità umana che coltiva la virtù per affermarsi con fermo carattere nella sfera dell’equilibrio e della saviezza si dilegua e infine si degrada nell’individuo creaturale, che confida in una fede dottrinaria e astratta, mentre affida la sua esistenza terrena all’imperio degli impulsi materiali, onde soddisfare desideri e appetiti, o all’inverso, deluso e frustrato, sforzandosi a reprimerli. L’uomo ormai non è più in grado di realizzare in sé la conoscenza, che va affievolendosi finché il cielo interiore s’oscura. Dentro di lui cresce il deserto, incomincia a sentirsi perso, cerca dove aggrapparsi; trova la risorsa nella struttura corporea del suo organismo; l’individuo si scopre cerebrale; un cervello a confronto con altri cervelli. Con gran sussiego si definirà un animale pensante. Questa eminenza di materia cerebrale lo rende superbo; così di botto il capo estolle e s’erge a padrone della terra e di tutte le specie viventi sul pianeta; a distruttore e sterminatore, come oggi soprattutto si può direttamente constatare. Smarrita l’anima, confusa la mente, svuotato e inaridito, l’uomo si è separato dal cielo. Inizia la storia del pensiero umano!
L’ arcana sapienza e il suo mistico sposo, il sapiente, colui che sa; e, per non esser mancanti aggiungiamo, colui che dà sapore alla parola, al discorso, colui che conosce la ragione e la vera natura delle cose e quindi dà anche sapore alle cose. E principalmente, colui che si è lavorato, dirozzato, coltivato; colui che sa e può giovarsi d’un intuito fecondo, dell’intelletto ch’è veloce, perché passa attraverso tutto; colui che è semplice, temperante, savio; colui che ha ingentilito la natura umana.
Un tempo vissero i sapienti e le genti non elusero i loro insegnamenti; i governanti, gli alti magistrati ascoltavano i loro consigli e le leggi e le scelte erano giuste e tutti i provvedimenti ben decisi e appropriati soddisfacevano le esigenze del popolo. E così dall’alto, con sublime esempio, la sapienza discendeva, e regnava concordia e armonia, non mancava l’agiatezza e il tutto era in un buono stato di salute. Ah, quale creativa, luminosa operosità! Ci hanno tramandato i Greci che i sommi sapienti e i più celebri furono sette e sappiamo i loro nomi; sette, il numero che simboleggia la completezza. Ah, quale divina operante perfezione!
Alla fine sopraggiunse il tempo della testa pensante, i giorni grigi delle menti pensatrici; i giorni intricati del pesare e del soppesare, linguisticamente rannobilito con il sinonimo ponderare, ma quest’ultimo anche deriva dal latino pondus che si riferisce a peso, gravità, massa, fardello. Sopraggiunsero i fatigati dies, i giorni affaticati, e fatigatio, la fatica, nel vocabolario latino ha solo un senso svantaggioso, significa stanchezza, spossatezza. Sforzo e pena. Inizia la storia del travaglio del pensiero umano. Strettamente verbale e non pensiero visivo, ideativo, cosicché le weltanschaungen, le visioni del mondo, si oscurano e si immiseriscono in aride idealizzazioni; l’arte del governo delle genti, la visione statuale, frana in ideologismi spesso disastrosi. Iniziano le 'battaglie' del pensiero! Agitazioni, tumulti; si scatenano istinti, non di rado brutali passioni, conflitti di interessi. Dilaga l’irragionevolezza, s’impone l’incoerenza, prende piede il malcostume, ci si avvezza se non addirittura ci s’addestra alla corruttela; la testa pensante ha perso l’uso della ragione. Fa di peggio, come già accennato. S’avventa sulla natura e la depreda, la impoverisce; mette a rischio l’ambiente e lo stesso biosistema. Rifugge dall’armonia e dalla concordia, si adatta al più piatto conformismo; ha in spregio la bellezza, ne rimuove il fascino dovunque; aborre persino la grazia e la gentilezza, e nelle stesse membra umane, ignorando che son frutto di virtuoso esercizio oltre che pregio e peculiarità avita. Rincorre l’automatismo e a siffatta maniera imposta la stessa corporeità, ne fa una sua condizione. L’uomo meccanico! E cotestui e cotestei, cotestoro, si compiacciono dell’ibridazione, e più si profilano inquietanti e svantaggiosi i risultati e più ne restano passivamente attratti. Cotestoro si sono scelti frattanto, o meglio han dovuto subire, sistemi politici inefficienti e alla patria ostili che stanno conducendo i popoli europei sulla rovinosa via dell’annichilimento di millenarie vitali tradizioni. Regimi tra i più ingannatori che le scienze politiche abbiano mai immaginato. Personaggi oscuri assurgono a statisti, cerchie ristrette di accaparratori/trici invadono le scene politiche; spesso posseduti/e da concezioni e dottrine malsane pretendono imporre autoritariamente vere e proprie anomalie, alterando persino la patria parlata. Alterigia e ignoranza? Volendo potremmo proseguire per lunghe pagine. Siamo (sfiga o fortuna?) nel tempo del 'libero pensiero'; libero ancorché 'pensiero unico', o prossimo all’unicità totale; e non si può qui fare a meno dell’iperbole umoresca, quelli però ci tentano, anzi accelerano. Vedremo! ... I miti ci raccontano che non è mai finita bene per quei terrestri che hanno sfidato la pazienza del cielo.
Il tempo del libero pensiero, quantunque pensiero unico, è anche il tempo della 'fabbrica del consenso' con il favore dei mass media e dei persuasori occulti. Con quale facilità oggi si manipola il pensiero di masse intere di uomini, se ne manomette il cervello e, a comando, se ne ottiene il consenso! La testa pensante è ormai una testa pensata, perché i suoi pensieri non sono più la riflessione in sede mentale delle radiazioni intelligenti provenienti dal suo astro, sidus, interiore; tutto gli viene dall’esterno, è dis-tratto, allontanato da sé. Attratto dalle apparenze e dalle manifestazioni esteriori, ha smarrito il luogo interiore ove è la sede del suo considerare (cum e sidera), l’essenza siderea. Il suo pensiero non è con-siderato, non è intuito, cioè conoscenza immediata, ma apprendimento mediato dall’altro, il fuori di sé. D’altronde, è un fatto, il pensiero può essere benevolo o ostile, propizio o maligno, costruttivo o distruttivo, secondo la volontà di chi lo formula. Questo è il motivo per cui i governanti di una volta, nel mondo antico, si affidavano ai consigli dei sapienti, il cui principio e norma era innanzitutto: Nosce te ipsum. Non è prudente affidarsi a gente che tal norma mai ha sperimentato in sé, che addirittura la ignora e quindi facilmente incorre nel mendacio e pronuncia discorsi contrari alla verità. La verità infatti abita nell’interiorità dell’uomo, astro che gl’indica e rischiara il cammino. Per questo l’uomo deve coltivare la conoscenza di sé, per evitare l’errore. L’errore è l’allontanamento dal vero e dal giusto, che non solo impedisce l’esercizio e la pratica della virtù nella persona umana, ma le impedisce anche di formulare retti e sicuri giudizi sulla realtà che la circonda. E la verità oggi resta una sconosciuta, non abita nella testa pensante e per nulla anche in mille e più teste pensate. Il tempo del libero pensiero, che fabbrica il consenso e per conseguente il pensiero unico, è nondimeno il tempo della menzogna. L’ingannatore che induce in errore e l’ingannato che tiene dietro all’errore prendono entrambi parte alla menzogna, ad entrambi è imputabile un contegno ignobile. Il mendace è colui che escogita, quindi macchina col pensiero, il falso; falso è ciò che non sussiste, che è fuori dalla realtà e quindi non è veritiero. Il mendace quindi ha mente insana; e quando la mente erra, l’uomo vaga senza più consiglio e s’allontana dal retto ideare e dal giusto agire.
“Ritenete con questo discorsetto di liquidare il gran secolo del progresso? Ohé, voi! Il progresso politico-sociale e scientifico più grandioso che si sia mai visto sulla faccia della terra?” Lo sbotto improvviso del nostro interlocutore non ci coglie però alla sprovvista, ce l’aspettavamo. C’eravamo predisposti al silenzio; per davvero a non proferir sillaba. Spallucce, e basta! Ma ci sarà da spanciarsi dal ridere …Oh, che felicità nel secolo del progresso! La pace, il benessere, il rock and roll… overdose, eroina, la guerra infinita, sparsa qua e là per il mondo con tantissimi ammazzamenti, cataste di cadaveri, fosse comuni, il cinico traffico d’armi, le mafie dappertutto, sconvolgenti innaturali emigrazioni, la fame e la sete nel mondo, il terrorismo, i tagliagole, l’espansionismo con l’esportazione sanguinosa della democrazia, gli arsenali nucleari e la perenne minaccia atomica, la costrizione e il servaggio perpetrati con così efferata minaccia e … tanta astiosità, conclamata in ogni luogo tra le genti e spesso dentro una stessa comunità nazionale, commercializzazione della vita e dell’essere umano, robotizzato, ridotto a merce di scambio; e poi tutto il rimanente, che non è poco dal momento che avanza il progresso.
Non c’è da ridere a crepapelle, ma un sereno sorriso a fior di labbra fa sempre bene, raccomanda ai suoi epigoni lo stimatissimo medico di Montpellier, a lui la nostra gratitudine. Difatti senza alcun turbamento replichiamo al nostro interlocutore che non abbiamo alcun dubbio che si tratti di scienza, grossi dubbi abbiamo sul tanto decantato progresso. La mala scienza, infatti, non porta evoluzione, miglioramento, ma regresso spirituale e culturale, distruzioni, decadimento delle civiltà, come già presumibilmente in un lontano passato.
La lingua del nostro interlocutore ormai esausta balbetta: “I voostri saapiienti sono una nullità riispetto agli scieeenziati dei tempi odierni. Siamo giuunti al limite deello scibile.” È pallido e sudaticcio. “Altolà, Tom! Fermati! tanto collezionar francobolli ti sfinisce.” Frattanto s’addormenta sulla sedia e noi, stimolati dal suo rimbrotto, riprendiamo le nostre considerazioni.
I sapienti di ieri? Ci è stato tramandato che furono sette, il numero che simboleggia la completezza, perché si preoccupavano soprattutto dell’essenza siderea, la interiorità dell’uomo ove dimora la verità, e della sua evoluzione spirituale, onde la coscienza potesse ampliarsi ed emergere dall’accidentalità per levarsi oltre la condizione materiale terrestre. Pertanto investigavano i segreti della natura che essi contemplavano come un grande organismo vivente; ne ricercavano attentamente l’origine, studiavano gli astri e scandagliavano con l’occhio della mente le profondità celesti. In breve, nella loro visione il tutto tendeva e convergeva a uno stesso fine. Come fanciulli si sorprendevano di questa unicità che si dispiegava in leggi universali nella natura tutta. Realizzata appieno l’esperienza della realtà definita e dei suoi limiti, comprendevano in un sol soffio ispiratore, trascendente ogni limitazione, l’integralità dello spirito umano e l’anima del cosmo. Meraviglia delle meraviglie l’uomo conteneva in sé il cielo e abbracciava con la mente il mondo delle idee. Poteva a questo punto realizzare nella realtà terrestre una immagine vivente del cosmo e delle leggi divine. In sé e fuori di sé, e questa fu la città antica.
Gli odierni scienziati? Sono una pletora…perciò la loro scienza materialista è ipertrofica; e per nutrirsi questo sviluppo caotico ed eccessivo, questa ipertrofia scientista, ha saccheggiato la terra, desertificandola; ha ignorato l’uomo integrale, spirito, anima, corpo, riducendolo a uno sterile frankenstein… questo il suo grave fallo, per essa irreparabile! E poi, un frankenstein lo puoi ridurre in polvere quando vuoi. Solo la vanità ha indotto gli scienziati, tanto di cappello Tom, a progettare la bomba atomica e ad aggiornare continuamente la sua potenza distruttrice? A far vivere nel terrore della minaccia nucleare i popoli?
Non vogliamo più parlarne, Tom, tieniti i tuoi scienziati! Tom ha dischiuso un occhio; quell’occhio defesso da un’allucinante miriade di francobolli s’è immediatamente richiuso. Mentre cala quell’assonnata cortina ci sovviene di Orazio Flacco, il vate augusteo, e di una sua ode in cui parla di insaniens sapientia, di una stolta sapienza, di una folle sapienza; quella giustappunto degli scienziati del tempo presente.
Una scienza folle può condurre gli uomini sull’orlo del precipizio, sul limite del subumano? Queste generazioni già si trovano su quell’orlo fatale, se non ricercano in sé stesse quel giusto equilibrio che fa riconoscere l’errore e conferisce quel coraggio necessario a respingerlo; il coraggio di levarsi su, di insorgere. Per quanto riguarda una condizione subumana, occorre riflettere sul termine. Se ci si riferisce meramente a un deprecabile livello di vita, a infime condizioni di vita fisica e morale, ciò appare sempre più di frequente nelle odierne società, soprattutto urbane, e dura nella strabusata noncuranza dei pubblici poteri; se il termine lo riferiamo invece al venir meno della natura realmente umana e alla sua involuzione in una qualunque specie animale, al di sotto dell’uomo e di ciò che gli è proprio, questo, al presente, non opiniamo né riteniamo possibile. Accolta la massima virgiliana che facile è la discesa agli inferi, supponiamo però che in epoche remote una cosa del genere si sia potuta verificare; ossia che in casi di degradazione estrema, in una disposizione della natura terrestre del tutto diversa dall’attuale, razze umane, materializzate all’estremo perché allontanatesi per lungo tempo dal culto della spirituale consapevolezza, e quindi in stato di oscurata coscienza, si siano inselvatichite e a tal punto da riuscire a sopravvivere solo in una forma e struttura, soprattutto mentale, diversa. Le tracce fossili dei cosiddetti ominidi di cui son vestigio vivente alcune specie di quadrumani, come i vivaci scimpanzé e i robusti gorilla, detti non a caso scimmie antropomorfe? Così l’orangutan, che nella lingua degli indigeni della Malesia significa 'uomo della foresta', una sopravvivenza da foreste antichissime, che per fortuna a noi restano sconosciute con i loro indicibili orrori. L’ominide, degradazione e caricatura dell’uomo, era una creatura inetta, ormai subumana ma ancora inferma per la vita selvaggia. Non durò a lungo, si estinse; solo le specie più ostinate sopravvissero in forme ancor più involute, ma acconce alla vita animale. La natura, infatti, accoglie in sé e preserva solo quelle forme di vita resistenti alle dure condizioni che essa impone; tanto vale per l’elefante ed il rinoceronte quanto per la farfalla e la lucciola. Gli inferni esistono; esistono per l’uomo che tradisce la sua condizione siderea e l’alta funzione di governare, con la sua, la terrestrità tutta e di farsi ponte con il cielo, avvicinando le potenze numinose per realizzare e reggere sul pianeta un giusto equilibrio, quale ordine reale e luminoso corrispondente all’immutabile modello cosmico. L’involuzione si verifica quando forme corporee superiori, svuotatesi del proprio principio sostanziale, si degradano in forme inferiori, impossibile il contrario. Noi non abbiamo mai tenuto in considerazione la teoria darwiniana della evoluzione delle scimmie in esseri umani; non si capisce perché, ad esempio, questo privilegio non avrebbe potuto interessare gli orsi.
L’evoluzione vera e, per l’uomo che ne ha la disposizione, la virtù e la volontà, la sola reale è l’evoluzione spirituale. Ricco di significato è quel che scrive Nietzsche affermando che l’uomo è un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, e aggiunge che è per lui periglioso guardarsi indietro e anche fermarsi. L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo. Per superuomo dobbiamo correttamente intendere l’uomo di virtù eroica che si eleva dalla limitata condizione terrestre. Infatti Nietzsche aggiunge: la grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo; nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto. E queste son belle e serie affermazioni su cui meditare.
Abbiam detto che l’uomo d’oggi non rischia di involversi nel subumano, ma peggio è l'estinguersi nel dis-umano; tal trapasso è fin troppo celere e anche da questa rovina non c’è ritorno, ché rappresentando il disumano l’allontanamento definitivo dall’umano e quindi dalla stessa natura, la sterile condizione d’una stirpe biologica totalmente macchinale è ancora più terribile e orrenda… qualcosa di inenarrabile.
Il nostro iperboleggiare forse sbalordirà più di un gentile lettore, ma di quel che abbiam scritto non vogliamo mitigare una sillaba. Anche perché con questo scritto non intendiamo far venir meno la speranza nella riscossa, la nostra sublime speme ch’è anche nostra fidanza nella virtù e nelle risorse che albergano nel cuore degli uomini, nonostante di sovente oscuri loro la mente la maligna hybris, come sosteneva il nostro amico antico, Teognide di Megara, che spesso abbiamo evocato; hybris che il nostro Orazio definiva insaniens sapientia.

