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ALLA VELOCITA’ DELLA LUCE

                           

 

 

ALLA VELOCITA’ DELLA LUCE

 

 

   Questa mattinata – trascorse piovosa la prima settimana di giugno – ci offre la vista d’un cielo turchino in cui vorresti volentieri immergere i pensieri, stante l’auspicio d’ottener più chiarezza e luminosità, di scioglierti da ogni impensierirsi: l’ignava pesantezza di quaggiù! Candidissimi cirri vaganti qua e là, impreziositi e lievi a immagine di cigni, si configurano nella profonda, arcuata arduità di quella celeste limpidezza; spigliati e gai gli uccelletti, in armonioso concerto, concentrando nel volatile canto l’azzurra musicalità di lassù, dalla lucente sfera la versano tra le stormenti fronde dei pini e sui poggi, ed essa, diffondendosi, allieta tutta la verdeggiante valle. La giornata trascorre serena; nei campi nessun indizio di fatica, par che l’uomo non voglia turbare questa intima serenità della natura, anzi, pur se con timidezza, par voglia divenirne partecipe; se il proposito è sentito e sincero, dobbiamo ritenerlo un buon segno.

Nel tardo pomeriggio, verso sera, s’ode ancora il canto lucente degli uccelletti e un’azzurra musicalità attraversa ancora tutta la valle, ma il cielo non è più silente, tranciato l’azzurro dalle scie gassose, miasmatiche, dei reattori… Quale inquietudine, qual turbamento rovescia completamente il segno indulgente, cancellando ogni buon proponimento?

 

   L’uomo può volere questo o quello, proporsi un fine e poi abbandonarne il proposito, costruire o distruggere; può farsi un’anima o addirittura sfarla; sì, proprio questo, può disfare la propria anima! Può operare per la vittoria, ma anche abbandonarsi alla disfatta. Uh, l’uomo! …

   Un uomo esanime ormai, privo di vita, inerte su l’orlo d’esanimi abissi; l’espressione in corsivo è del Pascoli.  

   Tuttavia, quali opere prestigiose riuscì a realizzare l’uomo! Quali grandiosi monumenti quando in sé   coltivava il ricordo! Quando non era ancora oppresso dall’ansia, e finché la mannaia tagliente delle alte velocità, d’un sol colpo, non gli avesse reciso e spento il ben dell’intelletto. Che frenesia! Nella lingua antica, dei padri latini, insania, amentia; ma, e ancor meglio, quegli avveduti l’avrebbero definita effrenata cupiditas, quasi intraducibile nel nostro volgare; vago “forsennatezza”, se non avessimo in prestito dal greco la parola hybris.

Uhi, questo bipede tracotante! Questo animaletto con due piedi! L’alta velocità, ohi, ohi! ...    

Ohibò! … Un abbaglio, e tonfete, giù nell’esanime abisso!

Ma va là! Ma no, è il «PROGRESSO»! Il progresso migliora le condizioni di vita e, soprattutto, mediante lo sviluppo tecnico e scientifico.  E così l’umanità avanza verso alti ideali di perfezione materiale e politico-culturale… Avanza! ...

    Il progresso! ... Il progresso? ... Puah! Dite davvero? Cos’è, l’araba Fenice? Ohi, quale disillusione! L’infido illuditore vi ha ingannato e sogghigna. Sogghigna perché non avete riconosciuto, nel suo gran daffare millenario a vostro danno, il bieco avversario, l’incomparabile Disgregatore. Lui vi consigliò ad attaccarvi, e con ipocrita intento, al vostro cosiffatto prossimo, a fare indistintamente un sol carname e, lusingando il vostro lato perverso e le vostre vanità, ancora adesso v’induce alle mescolanze più viziose, alle promiscuità innaturali. Questa vanità del decadente che voi chiamate altruismo non è il rispetto dell’altro e dell’altrui, è stupida, se non arrogante, prevaricazione. Le differenze vanno riconosciute e rispettate. Mescolanza senza distinzione e senza ordine significa portare a uno stato confusionale la società degli uomini, dei liberi, al fine di annientarla abbandonando il mondo alla confusione, assoggettandolo alla più sciagurata delle tirannie. Salta agli occhi, ormai! Inoperosi, fritti e rifritti nell’accidia, fuggite, anzi vi obliate; in tale totale dimenticanza più non riuscite a ritirarvi in voi stessi, nel profondo dove accade il risveglio, a coltivare l’Uomo nella interiorità cosciente, dove risiede il vero; discentrati, mai farete conoscenza con l’uomo in voi e mai riuscirete a riconoscere nel “prossimo” l’uomo. All’opera, dunque! Adempia il compito una volontà ben temprata, si prodighi un’indomita consapevolezza, s’erga lo spirto ed edifichi il ponte lucente.  Allora tutto ritornerà naturalmente al suo posto e, se virtù è uno stato dell’essere e non una vana parola, virtù prontamente si riconoscerà in virtù. E se pare che l’Uomo si sia allontanato da questo pianeta, orbene ancor di più amiamolo questo rivendicatore del fuoco divino, coltiviamo con cura le antiche patrie eroiche virtù e lo vedremo ritornare; il pianeta, la natura tutta abbisognano della sua presenza e del divino raggio civilizzatore che da essa emana. Sarà festa grande, un gioioso tripudio.

Gl’ignoti curiosi che ci leggono, e non ci riferiamo alle sette persone conosciute, ormai amiche, avranno di certo reputato che con la parola “tripudio” terminasse lo scritto. In verità noi non ci abbandoniamo al trionfalismo, tale atteggiamento soddisfa e conforta gli ampollosi e i gonzi; il nostro frasario invece vuol essere semplicemente benaugurante ed esortativo per quei pochissimi che intendono accedere alla comprensione dell’Uomo nella sua autenticità, alleggerito il discorso d’ogn’ ideologia e teologia. Scartiamo, beninteso, anche ogni stantio discorso filantropico, questa tendenza oggigiorno ha rivelato appieno i suoi ipocriti artifizi, il suo trafficar faccendino, il suo asservimento ai loschi interessi di oscure lobby.

A proposito delle nostre idiosincrasie, se siete buoni non leggete questi nostri scritti. “Oh, i buoni! – Gli uomini buoni non dicono mai la verità per lo spirito: dunque l’essere buono in tal modo è una malattia. Essi cedono, i buoni; s’arrendono: il cuore segue il loro labbro; l’anima loro obbedisce; ma chi obbedisce non ode sé stesso!” (F. Nietzsche). Ugualmente se siete cattivi: i rinchiusi, gl’imprigionati, i captivi infatti non sono liberi. In fin dei conti, poi, le due categorie, conniventi il comunismo, la democrazia e il social-cristianismo, han fatto stretta comunella, e dunque… via costà con li altri cani!  Del resto non vale sprecarsi nemmeno tanto a diversificare il buono dal cattivo, dal momento che persino il diavolo in tutte le sue mascherate oggi gode di gran rispetto. La diabolicità s’è largamente, democraticamente diffusa! Si può senz’altro affermare che i diabolici, vago miscuglio di bontà-cattiveria/cattiveria-bontà, sono matematicamente uguali, anzi ugualissimi. Avanzamento delle democrazie verso la perfetta uguaglianza = il progresso! I conti tornano, il diavolo, infatti, è un insuperabile progressista. Come si potrebbero trattare affari di alta finanza se non ci fosse lui, sussiegoso nell’ inappuntabile abito borghese, doppiopetto, colletto inamidato e cravatta londinese o newyorchese; quest’ultima secondo il tipo del doppiogiochista, se più hard o se più soft.

Ci aggiriamo nel mercato dell’ortofrutta; dietro i banchi, quasi dovunque, accenti levantini; muta il costume avito muta la voce, acquista toni esotizzanti. Scrutando la merce l’occhio prova imbarazzo; quei prodotti un tempo venivano senza intermediari dalla campagna, che bontà! Su quei banchi invece difficoltà nelle scelte, acquistiamo quel che si presenta o ci appare come il men peggio. Quelle mele lustre, lustre come oggetti di porcellana! Mercanzia truffaldina pur questa dell’ortofrutta, magari esteticamente truffaldina; tutto sta nel come la merce si offre al pubblico. Traffico, tra esempi vari, dei farmaceutici? dovrà per norma di mercato pur esso rasentare l’imbroglio? s’adotterà il criterio dell’eticamente truffaldino.

   Associare il bene e il male in un’unica miscela è una suprema sintesi demagogica la cui folgorazione si attua nel compromesso, nell’accomodamento e questo su tutti i piani, dagl’inferi ai superni, cosicché dessi, inferi e superni, uguagliati in una unica soluzione rientrino nel dogma imposto dalla coscienziosità, cioè la ipocrita scrupolosità democratica. Che il diavolo sia un ipocrita, cioè un gran simulatore, questo è risaputo dai tempi dei tempi, fin da prima che i suoi compari se lo raffigurassero come un individuo. Una volta avvenuta tal raffigurazione, la diabolicità ha preso piede e s’è diffusa a tal punto che ipocrisia e simulazione, vizi abietti, son divenuti costumanza e han generato la religiosità oggi praticata dalla folla dei bipedi. Questi bipedi, arroganti e presuntuosi, spregiatori degli arti inferiori del loro stesso corpo e di quel nobile segmento d’arto che ha il nome di piede, utilizzato da millenni e millenni da miriadi di uomini nei loro viaggi intorno alla Terra, giunti all’apice della loro boria scientifico-tecnologica, si sono inventati le alte velocità: sul suolo, in aria, nello spazio. Non intendiamo qui tanto riferirci ai treni, ai boeing, ai razzi e relative navicelle spaziali, quanto alle altissime velocità o follie cerebrali che hanno alterato ogni ritmo naturale e normale della vita dell’uomo, sia nei rapporti con sé stesso, che con i suoi simili e con la natura che lo circonda. Guastando i ritmi, quelli tra il dì e la notte, quelli stagionali e tutti i normali cicli della natura, e così i ritmi interagenti con il cosmo, il dissennato, preso da un’ansia indicibile, trascinato da una necessità indeclinabile, disanimato d’ogni vita interiore, precipita nel disforme, perdendo il senso delle proporzioni, delle corrispondenze. Questo bipede, zombizzato, robotizzato, ecc. ecc. s’è dimenticato del Cielo, quello vero, che dall’alto dei mondi/sereno, infinito, immortale, parole del Pascoli,inonda di luce stellare quest’atomo opaco, la Terra, astro microscopico, corpuscolo nell’immensità dell’Universo.

   La cosa più inverosimile è che questo piccolo zombie, affetto da ansia parossistica e da anchilosi pedestre, s’illude d’aver le ali mentre gli si sono atrofizzate le gambe, il che gli rende difficile qualunque sorta di cammino. Sogna viaggi interstellari mentre ha annullato le distanze terrestri e non solo nell’accezione meramente geografica. Ha così fatto venir meno il rispetto per la varietà che implica differenza. E nel difforme, ch’è la medesima cosa d’una monotona uniformità, sono scomparse armonia e bellezza. Dappertutto volgarità.

   Ma, la cosa più orrenda: l’Omaccione, o meglio lo Zombie dilated (e ben si sa chi lo dilata), sacerdote di Tanit consorte di Baal, e duca (boss nel suo slang nativo) della nuova Cartagine, minaccia dal suolo italico la forza dei Barcidi, l’Astarte atomica, con la superbia d’un padrone del mondo. Spaventi pure, il boss, gl’italioti e gli europoidi esanimi! I Romani e gl’Italici, avi degli Europei autentici, non temerono i Barcidi e la luce folgorante dello spirito sgominò l’opaco male, la Tanit degli efferati mercanti. I figli di quella luminosa Civiltà si tengano in piedi e attivi e ridesti vigilino.  Vigilare vuol dire fortificarsi e forgiarsi le armi spirituali necessarie per sostenere l’immane lotta. Plotino ammonisce: Chi ha armi, combatta – non c’è un Dio che combatta per coloro che non sono in armi. Tal combattimento richiede di non lasciarsi coinvolgere nelle cosiddette “alte” velocità, di non naufragare nell’ansia di vane, sciocche aspettative. Anzi, infallibilmente esige d’affidarsi alla velocità della Luce.

 

   Un’algida luna ha sorvegliato la notte, questo mattino è fresco e pur lieto di canti silvestri; il sole ha ripreso il suo viaggio in un cielo ancora aurorale; dai poggi, su roride rocce dai colori vivaci, splende l’oro d’odorifere ginestre. Il profondo silenzio della valle accolse l’aurora.

 

9 Giugno 2017