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D’UN CETO POLITICO SPREGIEVOLE RICHIESTO DALL’ARCIDIAVOLO PER RIPORTARLO NELL’INFERNACCIO

                         

 

D’ UN CETO POLITICO SPREGIEVOLE RICHIESTO DALL’ ARCIDIAVOLO

PER RIPORLO NELL’ INFERNACCIO

 

   L’enfasi esaltatoria e fastidiosa che i fautori e parteggiatori del totalitarismo democratico – cioè d’un sol modello di assoluta perfezione ideale e statuale, da attuarsi addirittura a livello mondiale e da parte di tutte le nazioni della Terra oltre che dalla totalità degli individui che la popolano, e costoro  per ineluttabile dovere di nascita – usano sfoggiare nei talk show televisivi e nei loro discorsi e comunicati, un’enfasi visionaria e aggressiva, impressiona e intimamente turba chi non si è ancora adattato alla dannata omologazione, cioè quei pochi ingenui (li invitiamo al coraggio e alla serenità d’animo che son propri degli intelligenti) che ancor s’oppongono all’appiattimento e ad una spietata anche se apparentemente soft  massificazione. I sostenitori di questo metodico processo totalizzante hanno proclamato a muso duro l’antifascismo perpetuo; loro, al contrario, sarebbero i custodi intemerati d’un inviolabile modello, principio assoluto e, per la loro cieca fede, una verità universale; e tanto, solo perché usano applicare un metodo elementarissimo, il semplice astuto espediente di ammettere alle consultazioni elettorali una pluralità di partiti; la risultanza elettiva, abilmente influenzata attraverso i mass media, si dividerà alla fine, come in apparenza determinata, in una maggioranza e una minoranza. La maggioranza, per conseguenza, tenendo in proprio potere tutti gli apparati statuali, eserciterà sempre una forte pressione sulle minoranze che, appena in odore d’eresia, saranno tacciate di opinione erronea e neutralizzate o anche perseguite come fasciste. Insomma si tratta di una perfezionatissima forma di cripto-dittatura, cui nessuna opinione sostanzialmente contraria può sottrarsi. Infatti i vari aspetti della cultura sono continuamente tenuti sotto controllo; con mente esercitata e selettiva i complessi cognitivi vengono pianificati, e con incessante sospetto vien controllato il movimento delle idee; l’intero sistema scolastico è adeguato e indirizzato dal regime ideologico dominante che s’introduce dappertutto con i mezzi d’informazione, utilizzati anche e sempre più frequentemente per l’acculturamento massivo, ove non si trascura nemmeno la materia gastronomica; così mentre si minimizza l’aspetto della cultura spirituale dei popoli quale discende dalle loro ataviche tradizioni, si va massimizzando il culto idolatra dell’utile e dell’agiatezza materiali, uno smisurato consumismo ed uno sconfinato mercantilismo.

   Questo particolare contesto politico-ideologico-culturale, quasi inavvertito (si procedeva a passo felpato) nei decenni scorsi, s’è andato in questi tempi ultimi esasperando, ed il fatto curioso è che più ci si allontana dagli anni del dopoguerra e dalla fine tragica del fascismo e più ancora i militanti del democratismo universo rappresentano quella ideologia e la sua breve storia con i caratteri della tregenda e una tregenda dalle tinte sempre più fosche. Quasi concezioni ed esseri estranei a questa umanità e allo stesso pianeta fossero d’improvviso comparsi sulla Terra per straziarla. La finta risposta, contestazione o protesta, ed è proprio scontata, non si fa attendere e riappaiono sulla scena personaggi buffi o gruppi pittoreschi che spesso tatuati come aborigeni, s’addobbano anche di cimeli di quel passato e, nostalgicamente sollecitati, si danno a volte ad azioni sconsiderate; tali baggianate, a un dipresso grossolane americanate, porgono l’opportuno destro agli “antifascisti”, né più né meno servili, grotteschi americanisti, d’improvvisar la caccia alle streghe e scaricare così al momento  su  quelle esternazioni di dubbio gusto  le loro isterie. Uno stucchevole, rivoltante intruglio? Secondo noi tutto questo ipocrita armeggiare non è dovuto al caso ma è anch’esso contenuto puntualmente nel perverso progressivo disegno dei sovvertitori che furono e sono ostili all’umana natura: appiattirla, livellarla, ridurla si vuole ad un unico formicaio, tutto uniformando per realizzare una colossale disumana massificazione. Ed ha la sua origine, questa contaminazione, in un vecchio, scellerato progetto, che risale a secoli fa, se non a circa due millenni or sono. Queste ultime riflessioni vogliono essere un richiamo, per chi decisamente dissente, ad esser pensosi, molto pensosi. Il che non significa che dobbiamo perderci nei pensieri, ma è semplicemente un invito a ben meditare, perché dall’attenta considerazione discenda il giusto, definito e preparato agire. E, aggiungiamo, un agire presago.

   Un tempo, ormai remoto, fu messo un baluardo: le mura sacre di Roma.

   Coraggio, torniamo a questi tempi di scombuglio, a questi giorni incasinati! ... Tentiamo di mettere finalmente un pizzico di sale sulla coda del vagabondo volatile, il nostro, ma soprattutto vostro inafferrabile nonsense. Ridefiniamo quindi in modo più stringato i concetti su espressi. Non dovrebbe esser difficile, e poi per trovare il bandolo d’una matassa bisogna sbrogliarla; a noi infatti i brogli fanno schifo e ci piace semplificare e vederci chiaro; beninteso dappertutto.

   Dunque, dunque… Veniamo al dunque!

   Il nostalgismo è un sentire indubbiamente non sano in quanto si compiace di emozioni e, soprattutto, impressioni che provengono da condizioni e stati inerti dissepolti dalle rarefatte memorie d’un tempo anteriore; peggio è farsene una passione, il proprio pàthos, e ad ergerlo a contenuto del proprio pensare; è un aggrapparsi ai fantasmi, un ancorarsi in stagni letei. Peraltro, qui occorre anche un ammonimento. L’esperienza, i fatti del passato, glorie e sconfitte, fasti e tragedie, incidono, ed è impossibile evitarlo, nella memoria dei popoli e con continuità nel corso della loro storia. Le opere del patrio genio vanno serbate e rispettate sempre. Le sconfitte, le ferite, le perdite, curate con dedizione e amore. Guai a quelle nazioni che non vogliono tenerne conto, che rifiutano una parte di sé stesse e s’addobbano con menzognere o con straniere spoglie. Saranno perseguitate per generazioni dal demone dell’ipocrisia e non troveranno mai nel loro seno la ferace concordia. Abbiam detto che il nostalgismo è da evitare; altra cosa è la nostalgia, cioè il dolore per la patria persa, la tristezza per una patria ingrata. E, oggi, i veri italiani come mai han bisogno di ritrovare la Patria, di ritrovarsi in Patria. Per riscoprirla, la Patria, bisogna tornare alla sua Idea fondativa; tutta la nazione dovrà riconoscersi in questa Idea.

   Il cosiddetto nostalgismo fascista è dunque una patologia che porta con sé l’incapacità ad agire nel presente e sul presente; dunque, alla stato, non esiste un pericolo fascista come vanno gridando i cosiddetti antifascisti sempre in procinto di figliar decreti “anti”. Dovrebbero accorgersi anzi, questi distrattissimi signori, che a furia di anti questo e anti quello son diventati essi stessi fascistoidi, proprio nel significato che hanno attribuito alla parola fascista, cioè il senso spregiativo d’intolleranza, di prepotenza, di persecuzione delle opinioni sgradite. Che stanno a rimestare? Si stanno alimentando di negatività fascista? Dovrebbero di ciò fortemente preoccuparsi; qual convergenza! Dove andranno a sbattere? Censori a rovescio, si rivelano pur essi alla fine degli incorreggibili nostalgici. 

   Siam giunti al paradosso dei paradossi, al nonsense assoluto! Un premio a chi riuscirà a mettere un pizzico di sale su questo bizzarro volatile.         

   Se uomini veri compaiono dovrebbe anche affermarsi la reale conoscenza, e una società concorde dovrebbe trarne giovamento e svilupparsi in una superiore consapevolezza; superare ogni sclerosi, la rigidità, l’ostinatezza, e ringiovanire. Infatti è lo spirito origine della conoscenza e la purezza e la rettitudine degli uomini di conoscenza chiarificano la realtà.  Laddove gli uomini vengono attratti e invischiati nella mondanità, la limitatezza di tal stato ne prosciuga la volontà e ne oscura lo spirito, ne intralcia la vigilanza e l’attivo cammino.

     Nostalgismo fascista e antifascismo, qual spettrale convergenza!

   Estremamente piccoli, estremamente ignoranti, tutti al servizio del Disgregatore, omettini e donnine s’affannano ad occupare scranne e scanni nelle assemblee: adunanze nazionali, regionali, comunali. Tutti e tutte urlano il loro pidocchioso politichese con una saccenteria da saltabecche, infatti sono molto dannosi e dannose; tra l’altro stanno devastando la lingua di Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Foscolo, Manzoni, Leopardi, Collodi ecc. E lo fanno senza vergognarsene, perché loro poco si curano del passato della Nazione, della sua gloriosa cultura classica e dei grandi italiani; loro credono ciecamente solo nel loro futuro, un futuro da vucumprà e questo appaga la loro ipocrita santocchieria progressista, globalista ecc.

   Adesso, cari amici ed amiche, vale a dire fratelli d’Italia che ci leggete, riterrete che noi stiamo scherzando. Macché! Questo è, ahinoi, l’assortimento infimo dei malfatt i…or saccomanni… di questa serva Italia, legiferatori/trici (impositori di opinioni) di oggi e di… domani, ahi!... se non vi svegliate all’istante, e con tante scuse all’indispettito arcidiavolo. Indispettito? Infuriatissimo: “Da tempo dovevano spedirmeli quaggiù! Già sarebbero tutti ben sistemati nell’infernaccio. Si son dimenticati del mio alto potere giudiziario: Giustizia mosse il mio alto fattore; /fecemi la divina podestate, / la somma sapienza e il primo amore.”

   Non avremmo dovuto mischiare il ghibellino implacabile di foscoliana memoria in faccende così tanto   meschine, laddove si muovono tipi caricaturali, fantocci, quasi fantasmi in un mondo che si disfa. Certo l’arcidiavolo li reclama, ma perché è ben disposto ed ha simpatia, da sempre, verso gli italiani di buona razza; lui, che ebbe gran rispetto per l’Alighieri e, piegandosi a tanta poetica volontà, gli fece visitare tutto il suo regno; ma il vate caldo/d’ira e di bile ghibellina il petto (V. Monti) aveva da offrirgli ben altri personaggi, un Guido da Montefeltro, un Pier della Vigna, un ser Brunetto Latini, un Farinata degli Uberti… Ai suoi tempi, però, non erano ancora comparsi sulla scena del mondo… gli U.S.A… Sterminatori dei pellerossa e annientatori atomici, gli Yankee, allievi del gran Burattinaio, l’immondo Disgregatore, che manovrano dall’alto con i fili e soprattutto con nucleare autorità e disprezzo tutti quei fantocci cui sovra si è alluso. Effettivamente, è un giochetto! Eh, no! C’è sempre l’alta politica, con cui fare i conti. I conti, i conti! Il calcolare, il valutare, il prevedere e, poi, il computo conclusivo spetta al gran Banchiere che è sempre lui, sempre lui… Lui dirama veline a dritta e a manca… e questa è l’alta politica! Un giochetto di cui solo lui e le sue longae manus conoscono il segreto…E gli altri, gli altri marionette.

   Si è che le dette marionette sono invischiate nei lombricai dell’attuale mondanità, e gli intrighi e i desiderata mondani di quest’oggi desertico sono, come abbiam detto, in mani straniere e intenzioni, propositi e orientamenti per l’oggi ed il domani, son determinati da mentalità aliene. Per di più tali fantocci sono completamente succubi d’una strania incultura, d’una perniciosissima barbarie tecnicizzata e nuclearizzata che minaccia la stessa natura, madre di tutti gli esseri viventi. A tanto va soggiunto che una latria anch’essa strania sempre più subdolamente ostile, una coltre loiolesca, aduggia l’Italia e il suo popolo, contaminando l’Europa intera. Questi ipocriti infingardi che tanto presumono di sé attribuiscono al termine patria una rilevanza soltanto nominale, nessun essenziale fondamento. In qualità di individuo fisico si attribuirà al   venturo bambino la cittadinanza del suolo dove gli accadrà di nascere, per il rimanente, del tutto secondario a lor parere, dovrà adattarsi; strappato alla cultura, alle tradizioni, ai costumi, alla lingua, allo spirito della sua gente, il principio attivo della sua personalità, l’intelletto, non giungerà a maturità integro e in grado di svilupparsi, formarsi, ed evolvere in tutta l’estensione anima-spirito, e perciò non riuscirà a pervenire al compimento, ad essere l’unità perfettibile, l’Uomo; oppresso, rimarrà mera biologia, in sostanza un apolide.

   Maschiette in preda a crisi d’isteria, non realizzate in donne, invasate da un demonismo proprio dei primitivi, con al seguito maschiotti snervati, senza carattere, più o meno attempati, si spendono in tal malefico affare con gli osanna del giornalume irreggimentato, della pretaglia e del laicato radical chic. Questo il ceto politico che s’agita sullo squallido scenario, un ceto insipiente ed incolto in un contesto di decadenza e deboscia. Quando una società è in preda al disordine e s’ abbandona alla mondanità, al vantaggio materiale, al profittevole, si consegna a gruppi di potere iniqui; con tal qualificativo il cui senso è “non equi”, vogliamo dire che si tratta di sconsiderati e quindi non convenevoli governanti le cui azioni potrebbero riuscire non utili, non giuste o addirittura dannose.

   Occorre che la società sia non guasta e anche ben ordinata, occorre che i cittadini coltivino in sé l’onestà e che non vengano sedotti dalla mondanità futile e chiassosa, occorre che la gioventù sia integra, incorruttibile nel corpo e nell’animo; occorre che l’assetto sociale si fondi su un ordine di nuclei familiari sani e saldi, nel cui seno regni la candida Concordia, così la invocavano e rappresentavano i Romani; occorre che il senso religioso e patriottico del popolo sia elevato, sublime, non volgarmente superstizioso; occorre che non vi siano, tra le istituzioni della comunità, spregevoli, snaturate contraffazioni, che non vi allignino organizzazioni malavitose, associazioni devianti e insidiosamente corruttrici. Occorre soprattutto che il comportamento dei governanti sia sempre irreprensibile e trasmetta solo chiari, ineccepibili esempi di civiche virtù. Mai il senso di giustizia di chi governa dovrà essere influenzato da ansie, appetiti, avversioni. Equità, magnanimità, calma, serenità, discendenti direttamente dal saggio e giusto intento, fanno il buon governo e il buon governo società equilibrate, tranquille, armoniose. I governanti non debbono essere scaltri calcolatori, ingannatori e parolai, in ogni momento essi debbono essere responsabili e previdenti; l’irresponsabilità spalanca le porte alla corruzione, la mancanza di riflessione causa l’accidente e spesso l’irreparabile. Occorre infine che i governanti apprestino e tengano cura assidua del mezzo che ha il primo posto nel tenere unita una società. La cultura unisce gli uomini, non disgiunta – fate attenzione – dall’amor di Patria, perché la cultura non deve essere astrazione e fine a sé stessa, ma deve contenere in sé l’animo patrio, l’intero atavico patrimonio, soprattutto spirituale, accumulato con secolare esperienza. D’altro canto un’esasperata passione “patria”, per esempio il nazionalismo d’oltralpe subentrato con la nefasta, per molti aspetti, Rivoluzione francese, distrugge la vera cultura, la cultura dello spirito, ­­­­­­sospingendo l'uomo alla deriva dell’individualismo e dell’utilitarismo e, peggio, invogliandolo verso un falso, ipocrita filantropismo. Filantropismo che trova nella “cultura” astratta e disanimata, valida per tutte le latitudini, del tecnicismo traente la sua origine dall’umanesimo illuminista, lo sfogo per i più folli appetiti umani; ma resta sostanzialmente una mera, vuota religione laicista, senza luce dai cieli. La vera cultura quindi, e i giusti sentimenti devono interagire e alfine compenetrarsi, onde poi internarsi nell’animo della società tutta, amor patriae, ed essere d’impulso all’agire virtuoso, coraggioso e degno d’onore dei suoi componenti.

   Ecco perché, come sosteneva Platone, al governo dei popoli devono esser chiamati uomini perfetti, spiritualmente evoluti, di mente intemerata, preparati e disposti apertamente alla virtù, decisi nell’azione ragionata, che non s’allontanino dalle strade della natura, scongiurandone il pervertimento e la sterilità. Uomini concentrati in sé stessi per accrescere ed estendere la propria consapevolezza e dediti, in fuori, ad incoraggiare una proficiente evoluzione che prosperi in continuità delle esperienze ricevute dagli avi e ancor raccolte in vita; la società ne sarà soddisfatta, pacificata e inoltre, tutto ciò costituirà il tesoro da consegnare ai posteri. Tale patrimonio culturale, morale e spirituale, responsabilmente e diligentemente custodito  – pie et religiose –, i Romani mai trascurarono e sempre, nel corso della loro storia, operarono “more maiorum”, secondo le tradizioni degli avi.

   Trascuriamo le miserie d’oggi, del loro transito non resterà se non esigua traccia. Andranno negli anni brevi cadendo a sbrendoli questi abiti rivoltati, queste vicende imbelli.

   Il nostro discorso sulla patria non può essere che un discorso semplice, spoglio d’ogni retorica, giacché discende dal nostro sentire esmesurato, per usare i termini del poeta medievale, e non contraddice; infatti un core ennamorato non può che essere sincero, quindi antiretorico; schietto e senza artifizio, sarà un parlare essenziale. Nelle righe sopra tracciate ne abbiamo accennato; è opportuno solamente giungere ad una definizione, che ci guidi a ben distinguere.

Dove ci condurrà il nostro amor di Patria? Per qual motivo lo abbiamo enunciato in questo modo: esmesurato? Per un motivo semplice ci sembra, poiché rientra in quel famoso binomio Roma-Amor, tanto travisato e mal compreso dai più, quanto la severa maestà della Venere Calva.

   Vi abbiam delusi? Raffiguravate in noi dei patriottardi? Nooo! Non nutriamo alcuna passione patriottica; lungi da noi la passionalità, lungi da noi l’adorazione del suolo, la fanatica ideologia confinaria. Quando in queste terre scesero, e in varie ondate, i nostri progenitori, i più antichi tra i Padri, portarono con sé, nella loro interiorità oltre che nella sacca il necessario viatico, e con esso i sacri confini: limen Sali, sta berber! E questo oggi torna ad essere il dovere imperativo. Il culto passionale della patria, tal forma idolatra di patriottismo è una risultanza della Rivoluzione francese, allor quando la Francia perse il suo vero spirito patrio, la spiritualità feudale, e s’affermò il giacobinismo. Il giacobinismo è una dottrina apolide, manca di radici; è quindi esso anche e fortemente anti-Europa. Fu un moto sterile, per nulla proficuo, diseducativo per intere generazioni ed interi popoli. Una dottrina disgregatrice, che ha minato e continua a minare l’unità spirituale dell’Europa ch’ancora a quei tempi, nonostante le guerre intestine, rimaneva un retaggio da Roma. Occorre prendere la distanza da ogni passionalità patriottarda, dall’irrazionale fanatismo barbarico come si annunciò nel bellicista inno rivoluzionario francese degli anni sanguinosi della ghigliottina. Noi preferiamo coltivare nella nostra interiorità l’atavico sta berber, l’ammonimento al barbarico assalto a non sopraffarci, a non distruggere in noi le virtù coltivate e trasmesseci dagli avi. Noi amiamo l’Italia che si desta e si cinge il capo dell’elmo di Scipio; quell’elmo che impedì al Barcide barbaro di spengere nel Mediterraneo il romano fulgore della Civiltà. È questa la nostra Patria, il luogo ideale ove si combatte affinché il barbaro arretri. Il Barcide non osò attaccare le mura di Roma. Oggi, e già son secoli, il barbaro ha calpestato il Pomerio. Più che mai oggi la Patria va ritrovata nella interiorità, là dove essa vive; perché essa più che un suolo entro confini è qualcosa di molto più ampio, di molto più profondo, di cui l’uomo consapevole di sé, profondamente consapevole, non può fare a meno; essa ha educato l’infanzia dell’uomo, essa gli ha trasmesso l’alma eredità degli avi, culturale, etica, religiosa, spirituale, quella eredità vitale e lucente, che nessuna anagrafe e nessun atto che sia solo e meramente burocratico ci può trasmettere. Per ritrovarsi in Patria quindi occorre oggi riconquistarla la Patria; occorre ritrovare uniti l’intima Italica Romana Virtus, per riconoscersi appunto nuovamente fratelli. La patria si può felicemente riscoprire soltanto tornando alla sua Idea fondativa, allora davvero tutta una nazione potrà ritrovarsi in essa; non soltanto nei giusti confini geografici d’Italia, ma nell’Europa intera.

   “Ita Numitori Albana re permissa Romulum Remumque cupido cepit in iis locis ubi eiti ubique educati erant urbis condendae. Et supererat multitudo Albanorum Latinorumque; ad id pastores quoue accesserant, qui omnes facile spem facerent paruam Albam, parvum Lavinium prae ea urbe quae conderetur fore”.

   “Affidato a Numitore lo stato Albano, Romolo e Remo furono presi dal desiderio di fondare una città in quei luoghi in cui erano stati esposti e allevati. Sovrabbondava infatti la popolazione degli Albani e dei Latini, e ad essi per di più s’erano aggiunti i pastori, sì che tutti senz’altro speravano che sarebbe stata piccola Alba, piccola Lavinio, in confronto alla città che si voleva fondare”. Tito Livio, Storie di Roma, L. I, 6

   Così siam tornati a quella fatidica Idea fondativa e possiamo spiegarci altresì anche quel nostro accenno allo esmesurato. Piccolo è il mondo disegnato dai giacobini, piccolo il mondo globalizzato e ibrido, anche mercantilmente ibridato dai nuovi Barcidi, qui viventi in mezzo a noi e dappertutto in Europa; piccolo e meschino un mondo che vive oppresso dalla minaccia nucleare! Tutto questo è piccolo in confronto alla città che si vuole rifondare. Esmesurata alle anime pavide non può che apparire infatti, in tanto impiccolimento, l’Idea di Roma. Eppure essa è la più semplice, pura e luminosa, cioè Idea divina, perché a tutt’oggi resta sola Idea Universale.

 

Fecisti patriam diversis gentibus unam;

profuit iniustis te dominante capi;

dumque offers victis proprii consortia iuris,

Urbem fecisti, quod prius orbis erat.

 

Rutilio Namanziano

  

 

 ODOR DI CERA

 

È IL TEMPIO CHE DÀ UN SENSO ALLE PIETRE

 

 

(da Cittadella) – Ho scoperto che nel tuo silenzio e nella tua solitudine era possibile alimentarti poiché le divinità se ne infischiano dei muri e dei mari. Anche tu ti senti arricchita dal fatto che esiste in qualche luogo un odore di cera. Anche se non speri di gustarlo. […]

Cosa può essere penetrato nella stanza se non l’essenza delle cose, la vittoria, che se ne infischia dei muri e dei mari? E perché non potrebbe esistere un’altra divinità ancora più ardente? Essa ti plasmerà col cuore ardente, fedele o meravigliosa.

Perché l’amore vero non si esaurisce. Quanto più dai tanto più ti resta da dare. E se vai ad attingere alla vera fontana, quanto più attingi, tanto più essa è generosa. L’odore di cera è vero per tutti. E se un altro lo assapora esso avrà maggior valore per te. […]

La solitudine è frutto dello spirito quando è malato. Esso ha una sua patria, che dà un senso alle cose, così come il tempio dà un senso alle pietre. Lo spirito non ha ali se non per questo spazio. (Saint-Exupéry)

 

 

 L’AMORE VERO NON SI ESAURISCE

 

LA PATRIA CHE S'INVERA DÀ SENSO ALLE COSE

 

SU QUESTI SPAZI LO SPIRITO DISPIEGA LE SUE ALI