FUOCO ARIA ACQUA E…

F U O C O A R I A A C Q U A e …
"la terra che avvolge la struttura umana"
Empedocle
Abbiamo appeso ai buttalà giacche, cravatte e giubbetti e, alleggerito il vestiario, cerchiamo luoghi appartati d’ombra, meglio se ventilati. Oppure siam bagnaioli e preferiamo la brezza del mare sulla spiaggia ardente. Non di meno l’africa calura sconforta giovani e anziani… E poi, gli incendi dolosi! Dolosi, perché l’autocombustione in natura è un caso rarissimo; più spesso, anzi quasi sempre, è la mano dell’uomo che appicca gl’incendi; la mano ludica, spinta da un piacere allucinatorio ossessivo, del piromane, o la mano venale del delinquente ambientale, o anche e sempre più di frequente la mano di giovanotti e adolescenti scapestrati. I vecchi allevatori del contado qui si ricordano del capestro, un pezzo di corda, ancora in uso, con cui van legati gli animali imbizzarriti. Infatti, scapestrare vuol dire sciogliersi dal capestro e, per analogia, con riferimento alla società umana, viver senza freni, nel disordine licenzioso, nella corruzione. Chi sono in realtà gli scapestrati se non coloro che si lasciano traviare da perverse inclinazioni, che s’abbandonano alla dissennatezza? E allora? Vuol dir che tali finimenti, cavezza, freno, sono oggidì opportunamente e senza riserve ancora da tener sotto mano. Ma il suadente, dominante democratismo, abolito il reato di plagio, ed infinita è la schiera dei plagiari e dei plagiati, ha proclamato, con il benestare di ostentosi “animalisti “, la messa a bando dei capestri e delle cavezze, cioè d’ogni congegno, forza, potere frenante. Salvo mantenere in piedi la forca, secondo l’uso anglosassone, per eliminare a piacimento i propri nemici di comodo. Insomma, purché niuno si discosti dall’unanime convincimento, domma ormai mass mediale, va bene la sfrenatezza, la sfrontatezza, va bene cambiare o scambiar natura; si dà ampia giustificazione ‘scientifica’ ai costumi degradanti, ai caratteri degeneri. Una ibridazione letargica di tutte le culture, di tutte le costumanze, delle maniere d’essere, con nel medesimo tempo una rivalutazione di fatto del primitivismo.
L’uniformazione è un livellamento, cioè si tende intenzionalmente ad uno statualismo rudimentale, ad una comunanza mancante di veri legislatori e statisti, gestita e manovrata da apprendisti stregoni. La disciplina che educa alla virtù non è presa in considerazione, anzi aborrita e ritenuta un metodo, ‘fascista’! Lasciamo correre, andiamo oltre i tempi delle frotte di scapestrati, oltre i giorni volgari della presuntuosità più sfrontata e sostenuta dagli opinionisti irreggimentati; sorvoliamo l’urbanesimo desolante e moralmente fatiscente. Serbiamo però quei preziosi finimenti simbolici, le briglie, il capestro, la cavezza: il freno! Il freno della disciplina, virtù con la quale ci s’addestra a reprimere gli eccessi, ad astenersi dall’immoderatezza, dalla presunzione, dalla corruttela, dal pervertimento; il freno che induce al ritegno, al riserbo. La giusta disciplina con la quale ci si tiene fermi e saldi nel senno e nel retto agire. Oggetti (abbandonati?) dell’arcaizzante contado, ma ricchi di significato; austeri simboli del buon reggimento, del buon governo.
La mano dell’uomo può rivelarsi di frequente aggressiva e perversa, maligna; ma il fuoco? Il fuoco, una volta acceso, divampa… Il fuoco irrompendo giudicherà e catturerà tutte le cose. Così recita un frammento eracliteo, nell’attribuire al fuoco senso d’inesorabile (inevitabile) giustizia. E cos’è questo fuoco? Questo ineludibile?
Guai a coloro che non si sottraggono alla cattura, s’assoggettano, e continuano inermi ed inerti a restare in prigionia. Sono essi i … «cattivi». E, vae captivis!
E così, rinchiuso/recluso, non respiri più l’aria di casa, l’aria della tua terra e de tuoi orizzonti; scompaiono alla vista i profili dei lidi, dei porti sicuri, degli altipiani, delle cime onnipresenti, delle fiorite praterie e delle colte piane della patria tua; le tue nari non fiutano più i profumi un dì tanto familiari, le fragranti brezze marine, l’odore forte della ginestra sui poggi solatii; l’aroma del nardo italico e l’olezzo dello spigo tra le lenzuola; di tutto ciò ormai a te sfugge persino il narramento.
Rinchiuso/recluso ascolti, ormai assuefatto, narrazioni stranie, cronistorie, telecronache allogene. T’han convinto d’esser cittadino d’una società globale e sei disgraziatamente un emarginato, uno sradicato sul suolo dove sei nato e che, in tal stato, non sei neppure più in grado di rivendicare, ricacciando l’invasore che ti ha snaturato e reso estraneo a te stesso, improbo (malus). Captivus igitur improbus est. Già! Quell’invasore, quod valde dolendum est, infatti, alloggia in te! Ha messo in te radici. E la nota più dolente è che di così grave danno neppur sei consapevole.
E, confuso, ti perdi nell’ambiente offuscato, avvelenato di smog, e lamenti il clima alterato e quest’aria infocata, soffocante, che ti attiri addosso! Eppur continui ad ascoltare sottomesso e soggiogato le altre narrazioni inquinanti, avverse, e servilmente ad eseguirle, alla Patria nocivo. Eppure l’aria, intendila bene la parola, della tua Patria fu il tuo principio generatore; scriveva infatti il filosofo dell’antica scuola milesia: “Come la nostra anima, che è aria, ci tiene insieme e ci governa, così il soffio e l’aria abbracciano il cosmo intero.” L’anima tiene insieme e governa l’entità Uomo; aria la significa Anassimene, cioè intelligenza sottile comunicante e comunicativa che alimenta anche la conoscenza e la consapevolezza di sé, quel piccolo grande cosmo che è l’Uomo e che è dentro l’Uomo e, all’esterno, si dilata nello spazio in un intero cosmo. Tutto questo non si forma in un istante né per prodigio, ma attraverso lunghe generazioni e con l’impegno assiduo ed attivo della persona che non può che rifarsi alla propria Patria, alla imprescindibile, insostituibile tradizione avita.
Abbiamo scoperto, a tal punto, che la Patria è qualcosa di più vasto di quel che ci venne e ci viene a tutt’oggi insegnato dai seguaci dei rivoltosi francesi del ’89, contemporanei esportatori di modelli demo-mercantilistici, ancor più aberranti, forcaioli e sanguinosi. Ma quell’ideale modello insostituibile, quel tal modello universale, abbracciante il cosmo intero come indicato da Anassimene, lo si può ritrovare solo nella romanità arcaica e nelle fulgenti vittorie dei valenti figli di Marte.
Spetta a tutti noi il compito di agire, rettamente e nel concreto, per realizzare questa nobile aspirazione! Soprattutto a coloro che, avveduti, non ignorano le narrazioni altre e son consapevoli delle intuibili insidie che sottendono. Ormai si tratta di emergenza, e occorrono menti acute e agguerrite e cuori coraggiosi. La Patria chiama i suoi figli. Figli schietti e generosi, che han superato il giudizio del fuoco, dalle menti limpide e ardite, ariose, mai sorprese o catturate, non possedute dalla narrazione alienante; in sommo grado atte a tenere insieme e a governare il ricco patrimonio avito e ad abbracciare il cosmo intero. Fiamme pure, limpide, alimentate da un soffio vivo, incontaminato. Anime e menti quiritarie, e coraggio quirite.
Il fuoco infero dell’animismo criminale barcide, l’aria inquinata da quella narrazione offuscante e riarsa dal demone della desertificazione si è riversato sulla penisola, sulle isole meravigliose che le fanno da scudo, trama e si ostina anche entro le mura dell’Urbe. La città che costruì imponenti acquedotti, approvvigionando di fresche e salubri acque persino le popolazioni più prossime ai deserti, è minacciata dalla mancanza d’acqua!
ANSA Notizie – Siccità: Verso turni acqua a Roma. Stop acqua a Roma! E anche: L’ennesimo bagno in unafontana storica di Roma. Ancora: Africano nudo fa il bagno nel Fontanone del Gianicolo, eccetera.
Cosa accade? Si vuole suscitare il panico? È effettiva emergenza o si vogliono attenuare le mancanze causate dal malgoverno? E frattanto c’è acqua a sufficienza per allegre immersioni di turisti e migranti nel Fontanone, nella Fontana di Trevi, eccetera. Intanto, e per non esser carenti, altre notizie: Il lago di Bracciano è sceso di 1,46 m. sotto la soglia, per dissetare la città di Roma. E leggiamo, su La STAMPA: “…il lago di Bracciano è in secca… Vicino al pontile degli inglesi il quadro è più desolante: lingue di sabbia laddove fino a sei mesi fa c’era l’acqua. E nella zona di Santo Celso, dove un tempo c’erano i battelli, ha preso posto una landa desolata, tanto che un gruppo di caprette pascola sui fondali in secca. Colpa della siccità, è vero. Ma colpa anche dello svuotamento del lago da parte dell’ACEA, la municipalizzata dell’acquedotto.”
Un amico ci trasmette foto del letto in secca del fiume laziale Amaseno, le cui acque furono cantate da Virgilio.
Rovine ambientali, dissesti idrogeologici provocati dall’avidità e dall’insipienza dell’uomo volgare, l’impudente materialista! E questo tipo d’uomo meschinamente decaduto vuole imporsi alla vivente natura, violentarla, saccheggiarla a suo arbitrio? Vuol sfidare gli elementi, fomentato dal vanto delle sue trovate scientifiche, della sua abilità tecnicistica, della sua robotica prestanza… Il vuoto, contro il pieno!
Ma di ciò abbiamo inteso fare solo un accenno; quel che ci preme porre qui in evidenza non sono tanto i guasti che l’incosciente bipede va procurando al suo ambiente, a ciò porrà rimedio la stessa natura, ma soprattutto il dissesto d’infelici generazioni di terrestri che va prospettandosi al presente e per gli anni a venire; dissesto d’individui, di famiglie e quindi di società e istituzioni; dissesto di costumi, di culture; dissesto di civiltà in inevitabile declino; il rischio infine tremendo che tanta oscurità minacciosamente gravi sullo stesso destino dell’uomo e del pianeta, se non vi si oppone immediato drastico riparo.
È questo il duolo che ci percuote negli orecchi, il triste lamento degli atavi feriti. Tempo è di por fine al cruccio antico. Questo dissesto dell’uomo, questo disordine che lo travolge e non gli provvede assetto, non gli prospetta un salutare rinnovamento! Tuttavia prossimo a sopraggiungere è il momento favorevole, una occasione che non va perduta; s’avvicina infatti il giorno auspicato d’un profondo mutamento. Ma…
“Ma gli dei avevano avuto una profezia: nessuno dei Giganti avrebbe potuto essere ucciso dagli immortali, a meno che un uomo non intervenisse nella battaglia come alleato degli dei. […] Zeus disse ad Atena di andare a chiamare Eracle come loro alleato. […] Tutti furono annientati dalle folgori di Zeus e a tutti Eracle dava il colpo di grazia con le sue frecce. Così gli dei riuscirono a sconfiggere i Giganti.” (Apollodoro, Il libro dei miti)
Validità del mito nel tempo. Disvela, ma anche nasconde, poiché sfugge alla cosiddetta comprensione umana; comprensione accessibile a chi più a chi meno, e che per esser pienamente una reale intelligenza deve aggiungere in più il ricordo; vuole intendersi con la seconda una faticata consapevolezza che racchiude alla fine il conoscer sé stessi.
I Giganti, gli sproporzionati, gli spropositati, gli sprovveduti…Quelli che non conoscono la giusta misura, son privi di equilibrio: il mito vi allude allegoricamente rappresentandoli con “squamose code di serpente al posto dei piedi”. Sono figli di Gea, terrestri che pur prendono dal seme di Urano, han tutto dalla terra e quasi nulla dal cielo, il loro andare a striscio li vincola, ché appena nati “bersagliarono il cielo con pesanti massi e con querce infuocate”. E cosa fanno ancor quest’oggi se non prendere tutto dalla terra e scagliar massi e razzi infuocati in alto, nel cielo? E a cosa tendono difatti se non ad una terrestre durata, sempre più allontanandosi dal cielo? A conservare a lungo la loro ‘scocca’ terrestre? Trafficano per questo addirittura con i loro organi vitali: “Subito Eracle colpì Alcioneo con le sue frecce: il Gigante cadde a terra, e all’istante riprese vita, più forte di prima. L’eroe allora, su consiglio di Atena, lanciò Alcioneo fuori dalla terra madre, e quello morì.”
Il mito, in ogni modo, afferma sempre la vittoria della luce sull’oscurità; la vittoria dell’ordine divino sul disordine suscitato dal ribellismo tellurico. Il trionfo della conquista spirituale sulla cecità, sull’egoismo rettiliano, la irriducibilità individualistica. La vittoria dunque dell’Uomo che aspira ad affermarsi nella trascendenza, dell’eroe che ha in sé mutata in aurea l’infera natura e quindi procede in uno con il cielo, secondo rettitudine, amore e giustizia, riportando nel mondo un divino equilibrio.
“Che lunga digressione!” Ci rimprovera Tom, cui piace collezionar francobolli: “Non si stava discorrendo d’acqua?” Hai ragione Tom; ma non è che poi fossimo andati troppo oltre argomento; basta giungere al succo delle questioni! E non conviene neppure alienarsi nell’astrattezza, nelle ambite discussioni filosofiche. “Teniamoci almeno nei canoni dell’ermeneutica ermetica, non fuorviamo dal saggio indottrinamento pitagorico!” Replica Tom. Per carità, tutte cose favolose e belle, caro Tom! Ma un detto memorabile del famoso Talete, uno dei sette sapienti, recita: Veloce è l’intelletto, perché passa attraverso tutto. E noi intendiamo affidarci a questa veloce facoltà interspaziale, che invitata dalle nostre liete libagioni, ci offre bello e sviscerato l’argomento, definendoci esattamente i termini d’una qualunque questione. E, tra l’altro, se ne garantisce l’obiettività.
Di Talete, di tal uomo sapiente, i filosofi contemporanei dicono che fosse stato il primo filosofo greco, il costruttore d’una primitiva filosofia della natura. I filosofi d’oggi han ragione a dir questo, giacché indubbiamente il loro pensiero si è largamente evoluto rispetto ai pensatori di duemilaseicento anni or sono, tanto ch’essi si ritengono in grado di ricostruire, ed ognuno a suo modo la filosofia, com’essi la definiscono del buon Talete. Già ci provò Aristotele, in tempi più prossimi a quelli di Talete, e nella sua Metafisica scrisse: “Ci dev’essere una qualche sostanza, o più di una, da cui le altre vengono all’esistenza, mentre essa permane. […] Talete, il filosofo, dice che è l’acqua. E’ probabile che abbia tratto tale supposizione dal fatto che il nutrimento di tutte le cose è umido.” Ma è altrettanto probabile che, a causa dei sui limiti e della sua rozzezza spirituale il filosofo Aristotele abbia completamente travisato Talete, il sapiente in comunicazione con quell’intelletto che passa attraverso tutto. Già Nietzsche corregge il tiro: “Quando Talete dice tutto è acqua, con un sussulto l’uomo si solleva cessando il brancicare e il tortuoso strisciare, a mo’ dei vermi, proprio delle scienze particolari, presagisce la soluzione ultima delle cose e con questo divinamente supera la volgare angustia dei gradi inferiori di conoscenza.” Nietzsche, però, parte dal presupposto che Talete disse tutto è acqua, perché da osservatore della natura, pur avendo acquisito freddezza nei confronti del mitico ed allegorico, “non riuscì a disincantarsi fino alla pura astrazione tutto è uno, restando inchiodato ad una espressione fisica, che costituì comunque, per i greci del suo tempo, una sorprendente rarità.”
Or bene, se pure il sapiente di Mileto ebbe ad enunciare tutto è acqua, certamente egli non intese mai indicare con ciò la sostanza fisica del mondo empirico o soltanto quella, ma avendo osservato attraverso il veloce intelletto che senza l’acqua sulla terra non ci sarebbe vita, intese in tal modo esprimere ciò che è più della vita, richiamando nell’acqua una natura e significazione metafisica, il che potremmo intendere come acqua di vita; difatti un asserto di Talete che ci è stato tramandato attesta: Tutto è pieno di dei. Una più che vita sovraneggia la terrestre esistenza e codesta è l’acqua che lava – la realtà che s’eleva – e ch’ è dappertutto, e questo tutto è pieno di dei. E quest’acqua è anche dentro di noi, bene inteso non solo corporalmente.
Or potete anche voialtri giovarvi del veloce intelletto; sforzandovi il più che potete, ben riuscirete a capire, e volendolo, quanto l’acqua sia un bene prezioso e non va sprecata. E così agevolmente i più evoluti tra voi, cioè i più assennati, potranno passare dal discorso metafisico all’economia domestica e i più colti a trattar dei danni all’ecosistema o di idrogeologia.
Abbiamo conversato del fuoco, dell’aria, dell’acqua… L’occhio vigile di Tom ci sorprende in un momento di sospensione: “Ohé, perché questa lunga pausa? Vi siete forse scordati della terra, sulla quale poggiate i piedi?” I punzecchiamenti ironici di Tom son davvero irritanti! Lui, ch’è uno scorbutico collezionista di piccoli rettangoli di carta! …Allungheremo di proposito questa interruzione per dar sfogo alla nostra stizza, troppo contenuta, contro i trecentoventi e passa milioni di Tom che stanno in un canto del pianeta, ma frastornano con gran frastuono il globo intero…E son pure pericolosi questi mirmidoni… “A proposito di Mirmidoni, non ho un francobollo di quel famoso regno.” Vocia Tom. Non curiamo la sua ironia all’acido fenico, è troppo un trampista e persino innamorato di Hillary per prenderlo sul serio; lasciamolo alla sua giornaliera certosina fatica d’attaccar francobolli e dopo avergli replicato, però, che non ci siamo dimenticati affatto della terra.
Adesso possiamo procedere più spediti. Ancora ci viene incontro il canto del sapiente, quel veloce intelletto; è Senofane di Colofone a suggerirci: “Dalla terra tutte le cose e nella terra tutte le cose finiscono.” E, infatti, aggiunge “tutti siamo nati dalla terra e dall’acqua”. Terra e acqua.
Ebbene abbiamo ascoltato la parola dei sapienti, la parola che una volta pronunciata vale per tutti i tempi. Sappiamo che l’uomo è composto e vive dei/nei quattro elementi, che la sua salute deriva dall’equilibrio perfetto degli elementi. Abbiamo appurato che l’uomo d’oggi, in massa, di questo equilibrio non tiene conto, e sfida impazzito la possanza degli stessi elementi. Onde crede lo stolto trarre la propria origine? Da questa sfida proterva non gli verrà alcun bene. Soccomberà.
Mentre scriviamo queste righe una persona amica ci telefona da Piazza del Campidoglio, Roma; ci parla di una coppia di sposi dell’estremo oriente e ci descrive turbata l’abito in nero della sposa. La veste della vedovanza indossata da una donna addirittura prima di consumare il matrimonio! La natura è in lutto? Anche nel ricordo di Hiroshima? ... Attraverso il telefono giungeva al nostro orecchio con il racconto il suono a festa, ma vuoto, di molte campane. Nel giorno del sole, e prossimo il plenilunio.
Di certo, sì! la natura è in gramaglie da quando malvagiamente un barbaro bipede ha impunemente pensato di poter annichilire – ridurre al niente – nel generoso antico inesauribile suo grembo materno, in qualsivoglia posto o località, quel che esiste.
Invochiamo ancora una volta il veloce intelletto. Ci raggiunge saettante la voce del sapiente. È la parola di Empedocle che dalla profondità dei secoli ammonisce la stoltizia e rampogna: Non v’è lungimiranza nei pensieri di coloro che sostengono che possa venire alla vita ciò che prima non era o che quel che è possa sparire del tutto. Nulla può nascere da ciò che non è, ed altresì inconcepibile è pensare che ciò che è possa essere annientato.
Il fuoco e l’acqua e la terra e l’immenso vertice dell’aria – continua il sapiente – sono coevi e di pari stato, ognuno ha propria indole con attinenze diverse; ad essi alcunché mai s’aggiunge né mai nulla può esser tolto; non hanno inizio né termine mai. Con il volger del tempo governano a turno e trascorrendo gli uni negli altri, pur restando identici, essendo essi sempre, diventano gli uomini e le genie di varie fiere. Possono concorrere in un unico cosmo seguendo concordia, oppur trascinati dall’astio si disfidano. Pur nel divenire hanno eterna vita, mutano di continuo, ma dentro il ciclo e in eterno inamovibili.
E voialtri temporanei, fuor da eufemia perituri, osate sfidare questo tutto che è pieno di dei? “Di ogni malvagità bisogna esser netti. Mani, mente e cuore privi di macchie, se evitare si vuole l’odio luttuoso e si vuole che in armonia si compongano tutte le cose del mondo. Con l’odio tutto contrasta, tutto si distorce; quando germina l’amore tutto si ricompone in un cosmo retto da una suprema armonia”. L’uomo che con senno ricompone in sé l’equilibrio degli elementi, non sfidandoli altresì al di fuori nel regno stesso della natura, è colui che s’accosta con operativa fede e ferma comprensione alla sapienza, e potrà quindi raggiungere la piena consapevolezza del suo destino e del compito arduo, ma altissimo, che gli spetta nel mondo.
Altrimenti… “la forza dei venti lo inseguirà fino al mare, che lo ributterà sulla dura terra e questa contro le vampe ardenti del sole, che a sua volta lo scaglierà nel turbinare dei venti: ognuno lo riceve dall’altro, tutti avversandolo”. Nella severa scrittura dantesca: La bufera infernal, che mai non resta, /mena li spirti con la sua rapina;/voltando e percotendo li molesta.
Stamane il nostro Tom s’è destato sconvolto e grondante sudore. Quando s’avvicina il plenilunio Tom sprofonda nel sonno e sogna lunghissimi sogni, al contrario del gatto di casa Matt che dedica intere notti ad inseguire sul prato fantastiche ombre nella luce lunare. Mentre asciuga il sudore, Tom grandemente turbato, ci racconta il sogno vissuto dalla sua mente francobollata nella notte plenilunare; un brutto sogno! Errava sperduto, poveretto, per una città devastata dalla guerra e completamente deserta… Un piccolo spettrale bar di periferia illuminato con una candela stearica, al bancone un Robot con mansioni di factotum gli prepara un caffeuccio, scusandosi per la mancanza di zucchero. In un cantuccio del localino, su una poltrona sgangherata il gestore del bar se la dorme tardo e fiducioso, forse ignaro d’ogni accaduto. “Somigliante in tutto – ci precisa Tom – al nostro Premier”. Ma non sa dirci qual abito indossasse: “Pressappoco un pigiama da letto; non una novità – tiene poi a sottolineare – per un Presidente del Consiglio nel nostro paese”. Bevuto il caffè, il factotum gli porge il giornale della sera. E qui, la notizia che soprattutto lo sconvolge: Tramp e Hillary vengono dati per dispersi. “Quel così affabile pacioccone e quella deliziosa donnina!” Sospira, e noi, tolleranti, gli ricordiamo che trattasi alla fin fine d’un sogno; pur se quello è per noi il tratto più intrigante del sogno, gli facciamo notare, posto che il pacioccone e la deliziosa posseggono uno spaventoso arsenale militare e si ritengono pertanto i padroni del mondo.
Captivus igitur improbus est. Vae captivis! Tenete conto di tanto ammonimento! Destatevi! Cingete la testa dell’elmo di Scipio, di quell’elmo che la patria salvò dalla criminosa aggressione barcide. O figli d’Italia, respirate a pieni polmoni l’aria della Patria e insieme l’aroma delle sue sacre vestigia, ricercate le chiare fresche acque delle sue primigenie sorgive; fate ardere il fuoco antico, quello dei padri, che irrompa, giudichi e catturi ogni cosa per tutto rinnovare e assicurarne la perennità, e somma cura e riguardo abbiate per la terra che avvolge la vostra struttura umana.
Sotto l’olimpicità del nostro cielo riprendiamo, uniti e concordi, il cammino dei padri sulla terra del sole.
* * *
Ci pregiamo aggiungere al nostro scritto la freschezza, confacente al momento, del brano che segue. Vi leggerete di come la terra si disuguagli ad arte per plasmare luoghi ameni e propizi alla vegetazione e di come animata da ingegno di moti spiritali distribuisca dappertutto ordinatamente le acque, onde siano provvide e mai disastrose per gli abitatori della terrestre dimora. Dalla bella lettura potete anche dedurre di quanto all’incontrario possa essere nociva la mano dissennata dell’uomo insuperbito. Il ferrarese Bartoli, storico e scrittore del seicento, è un magnifico prosatore e descrittore, considerato appunto dal Leopardi ed altri illustri il Dante della prosa italiana. Noi, apprezzatori del genio nostrano, non dissentiamo da tal giudizio. Riconoscerete, nella particolareggiata descrizione, dilettevolmente integro il paesaggio italico.
Superfice della terra
La terra, d’un ugualissimo globo ch’ella era, disuguagliandosi ad arte, qui si levò in poggetti e colline, qui più alto in montagne, altrove tutta, per così dire, si rizzò in più nell’Alpi ertissime, e lor tra mezzo valli profonde, e alla lungi d’intorno, rispianati, e campagne immense. Così, perciocché delle piante e di ogni altra generazione di biade e d’erbe, alcune meglio pruovano, e fan più messe al piano, altre al monte; certe aman l’ombroso, e certe il solatio, queste non crescon che alla greppa e al sasso, quelle sol ne’ luoghi bassi e acquitosi; oltre che quasi tutte richieggono diverse poste a diverse plaghe e guardature del cielo; perciò al ben di tutte, in così divisarsi la terra, e insieme alla varietà per dilettarsene, fu provveduto. Del trattone (se pur fu vero) per innalzarla ne’ monti, rimasero le scavature e ‘l vano, in cui raccogliere il mare; e i men profondi seni a’ laghi, e i bassi piani dove ristagnano le paludi. Per tutto poi, entro le viscere traforate e venose, pienovi d’acque vive e correnti, e non so se per ingegno di moti spiritali, o per sublimazione, o perché altro meno inteso da chi più vi pensa, fatte leggiere al salire fin su i dirupi e agli altissimi gioghi de’ monti, onde sboccano e ricaggiono nelle valli; e per tutto altrove, polle e sorgenti, o gemiti e gronde, o grossi capi, onde hanno origine i fiumi; ché mal per gli abitatori della terra, se tutta per inaffiarsi dovesse sommergersi, traboccando i fiumi, e facendosi laghi e mari, come il Nilo in Egitto, perché v’è solo. Perciò con mille rami, che poi finalmente a un sol tronco s’adunano, per mille diversi luoghi spargendosi e serpeggiando, tutta la corrono e innaffiano. Né ringorgano e versano, perocché come in acquidocci aperti, chiusi entro le rive, van per le vie lor designate, fin che mettan foce, e scolino in mare; e quanto ivi in palese scarican d’acqua, altrettanto per sotterranei canali ne traggono con un vero e natural moto perpetuo; che maraviglia, se mai non imitato, perché mai non inteso? Ma un così divisar la terra, che altro è in fine, se non bene ordinare il campo, a cui, se mancano le sementi, l’opera del lavorarlo è perduta? (Daniello Bartoli)
NELLA PIENEZZA DELLA CALDURA DI QUESTO AGOSTO — MMDCCLXX a.U.c.
SOTTO LA GRANDE QUERCIA, NELLA VALLE, E ACCOSTO AL TEVERE CHE ATTENDE IL TUONO E LA PIOGGIA
PRO SALUTE POPULI ITALICI
PRO PATRIAE SALUTE