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GLI STATISTI DEL FUTURIBILE OVVERO L’AVVENIRISMO MARXISTA

                           

 

 

GLI STATISTI DEL FUTURIBILE

 

OVVERO

 

L’AVVENIRISMO MARXISTA

 

 

 

  Lungi da noi il proposito d’interessarci alle persone e tantomeno alle dottrine dei signori Freud, Marx, eccetera. Questi signori non ci interessano, né come uomini né come scienziati; come uomini ci appaiono robetta da poco, come scienziati li lasciamo giudicare ai loro pari. Che per le plaghe della terra abbiano circolato simili fatalia monstra è cosa certa, purtroppo! Che si siano propagati come malefici funghi è altrettanto certo e seppur non tocchi a noi differenziare i prodotti della nera terra o pronunciar condanne, tuttavia si sa che ci sono i funghi eduli, e pure quelli che provocano il mal di pancia e altri che ti spediscono direttamente tra le braccia dell’Orco. L’Orco… quello delle favole quando eravamo piccini? Solo che la storia dei sunnominati signori è tutt’altra cosa, non è una bella favola, ma una maledetta narrazione. Perciò non intendiamo interessarcene. Soltanto…

   Dicono che la nostra sia la società dell’immagine, ehm! E qui gatta ci cova. È il tempo appunto della televisione e il video duplica immagini all’infinito oltre a disporre dei mezzi per far passare per belle arti il mostruoso; quale conquista! Di questa loro conquista ce ne infischiamo, ma poiché essa ha generato in noi una forte tendenza all’iconoclastia, ebbene, andiamo incettando i cosiddetti santini, le immaginette dei sunnominati, di cui il fanatismo ha coperto il mondo intero, più numerosi del fogliame della moltitudine degli alberi che coprono la terrestre mole. Dappertutto la immagine barbuta del Karl di Treviri s’è impressa nella pupilla e nella mente delle folle; con essa il muso tetro e l’austera barba di Friedrich, il pietista di Barmen; ed altrettanto la figura mefistofelica del Sigmund di Freiberg o l’immagine orrida di Moschin-Mostaccio, il mongoloide Vladimir di Simbirsk; così i bonari mustacchi di Iosif di Gori.  A milioni e a milioni hanno idolatrato la coccia e gli occhi mongolici di Lenin; una esagerata moltitudine ha feticisticamente ammirato i baffoni rampognatori di Stalin, entusiasti corteggiatori pronti a subire qualsisia paternale…Accidenti, ohi voi! Che scorza! E...i gulag?

   Chi oggi non è capace di richiamare in un lampo nella propria mente una di queste immagini o addirittura tutte in sequenza? Non è cosa buona. Anzi, malauguratamente è una calamità! Le immagini di tali monstra, queste deprecabili imagunculae, cattolicamente dette "Santini", vanno allontanate, cacciate dall’immaginativa della gente. Sono le immagini di un incubo collettivo che va esorcizzato, perché la luce astrale torni limpida e tranquilla a risplendere.         

 

LA BARBA DI MARX

AI CREDULI DA TAL BARBA PENDULI

 

Marx era bassotto e pur tracagnotto,

la barba ispida, nera,

che l’ agguagliava ad un gran khan spinone.

Quell’ irto césto accarezzando,

di frequente si pungeva le dita

e calzava per tal motivo i guanti;

ne consumava, qual disdetta, tanti!

Di continuo esclamava: Barbackhan!

 Gli rispondeva quella: Barbaforte!

E dagli al “barbaforte, al barbackhan”,

dal contrasto venne fuor… il Marxista,

un mostro tutto pel, nodoso e nero,

a quattro teste ed un cerebro solo;

ed ohi! da quattro bocche sbottò fuori

un discuter dialettico tra cani...

Tra can, tra can, oh che can can!

”Bau! Barrr bar bau barrr ba... can!”

La marxista - ringhiosa liturgia,

contesa rissa alterco o fosse pure

bagarre che caninamente latra,

da tant’ espansa gorga scaturì.

Da Barbaforte fu Baffon di Ferro,

davanti a questi  c’è Moschin-Mostaccio…

E ancor, quelle lanute gote

da tal liturgo scaltramente istrutte,

unte e bisunte di filosofume,

son riverite dalla lasca turba,

schiatta asservita al culto del Libraccio…

Quel rabbico, barboso Capitale?

Cupa e trista la gente che sconosce

 il fier barbitonsore!

Barba intricata, pelo d’impostora,

non barba savia! Disgrazia, sventura,

pianti e altri… ehi, via, sbarbificatelo!

 

ALL’ACUTO LETTORE ILLITTERATO

 

Questo asciutto nonsense

ispirato da un agro semisecco,

ovver da Musa ebriaca barbuta,

giuro sull’ebbro iddio                                         

e su l’Erebo nero, è storia vera!

Incredibile, sì, ma storia vera.

Costrutto d’artifici: nullaggine?

No! Banale mediocrità… ovvero,

torrida, orrenda, sanguinosa storia!

                                                                   

                     *     *     *

  Salve, o folla che ridi molto a sproposito…

                                        Cratino, fr.

 

C’è chi prova a riscrivere il passato, noi scriviamo il futuro.” Questa frase scriteriata non l’abbiamo concepita noi, non è un nostro nonsense. Tratta dall’odierno frasario demagogico, pare sia stata ideata da uno dei tanti tribuni, sfornito tra l’altro di tribunicia potestas, ma abile a sfoggiare i sui cachemire linguaioli raccattati nei guardaroba delle demodossologie massmediatiche. Un messaggio mistificatorio e adescatore. Non teniamo in conto cotali tribuni, ma sottoponiamo a esame il loro fraseggiare; non perché ci fan pena i gonzi e vogliamo dar loro soccorso, ma con il mero scopo di tenere in allenamento il nostro nonsense, onde non soccomba al dominante nonsenso, vale a dire al loro pensiero fisso, che difetta, e in tutto e per tutto, persino dell’indispensabile sano buon senso. Attenzione! Non vogliamo, e per nulla, celebrare il senso comune, l’opinione comune, che sarebbe poi la pubblica opinione, cioè quella della maggioranza che si adegua sempre e con caparbietà ai subdoli richiami e ai pregiudizi degli opinionisti televisivi o degli stampati vari. Quando in una società-non società, livellata, monotona, dilaga la caparbietà, la cocciutaggine, vien meno l’autonomia autentica con la capacità di pensare e del sapiente agire; istruzione obbligatoria (vuota e noiosa) quanta ne vuoi, parolona d’uso scolarizzazione, ma anche bullismo e corruzione illimitata e, soprattutto, ignorantaggine, che fa per l’appunto rima con cocciutaggine. Insopportabile è l’ignoranza cocciuta; insopportabile la democrazia ove le folle ridono e si divertono molto a sproposito e s’ erigono anche a giudice della sapienza, come deplorava il commediografo greco, il famoso Cratino. Abbandoniamo ai suoi tortuosi gira e rigira questa giostra della triviale strafottenza, ricoperta di false seterie, filettate di filo questo e filo quello; distogliamo l’orecchio dai loro inni stonati ed ipocriti; sono gli adoratori di idoli allogeni, stranieri in patria, italioti rancorosi, finti europeisti, persi nel loro fottuto americanismo. Noi vogliamo, al contrario, opportunamente fare strada al nostro nonsense, l’indispensabile sano e salvo nonsense, giocoso e lieto, che andiamo sbozzolando dal segreto bosco, autorizzato l’ingresso dalla sempre vigile, patriottica, e nel fior dei suoi anni, antica maliarda.

   Oh, l’antico senno italico! L’antico senno fatto di prudentia, sapientia, consilium!  HeuVir magni consilii!

     Basta socchiudere la porta, e purché s’indovini la porta giusta.

   Demistifichiamo i demagoghi, di ieri e di oggi, individui tutti della stessa risma, genia catastrofica; capissero alfine quali disastri provocano con la loro storditaggine, presunzione, codardia, quale squallore cagionano con il loro servilismo verso la protervia plutocratica che li spinge a prostrarsi davanti all’Alta Finanza, con la loro santocchieria che non indugia ad assecondare il vizio e ad assuefarsi al lerciume disumanante! E questa ormai smodata effemminataggine con la pretesa di metter su una società avanzata al massimo, del tutto imbelle, pa(n)cifista, allietata da solenni sponsali di finocchietti e finocchiacci? Ed i Sindaci, con coccarda tricolore e lo stomaco gonfio di confetti arcobaleno? ... E le culle? … infelici!

   Placatevi! Anzi, rassereniamoci tutti. Non ci spingiamo a tanto. Sono in opera pur qui le loro tattiche insidiose, diversive. Tendono a distoglierci da noi stessi per catturarci nel loro mondo. La loro scelleratezza si compendia in questo: non dar sosta all’uomo affinché si ricomponga e possa ricostruirsi e riordinarsi in una virile unità. Non conviene qui evocare la potenza e il fanatismo religioso e perciò omofobo dei Califfi; sa di roba stantia il sabbione rovente e la pioggia di fuoco nel canto XV dell’inferno dantesco ove son “puniti coloro che fanno forza ne la deitate, spregiando natura e sua bontade”, come compendia giustappunto l’Anonimo commentatore. Non vi fate turbare, essi diffondono in giro agitazione, smarrimento, preoccupazione e inquietudine; scientemente e, a tempo debito, anche larghe dosi di terrore. Ne abbiamo già parlato e siam certi che non ci cascherete. Volete magari procurarvi la lettura del XXXIX sermone del ciclo senese di Bernardino degli Albizzeschi ove egli reprende l’abominevole peccato della maledetta soddomia? Nulla osta, occorre solo recarsi in una biblioteca ben fornita. Riflettete bene però! Trattasi di discorso risalente nientemeno al lontano anno di grazia millequattrocentoventisette; se trattasi di soddisfare una curiosità culturale, fatelo pure, d’altronde l’omofobo Signor degli Albizzeschi sapeva usar bene l’italo sermone. Insistiamo, di nuovo, non consentite che vi distraggano da voi stessi e dall’ordine che state ponendo in voi, perché questo vostro impegno è fondamentale e prezioso anche per i vostri prossimi, per chi a voi si sente vicino. Siate buoni patrioti, non temete l’accusa di passatisti!  Quelle son carnevalate che lasciano il tempo che trovano, la bava che ne cola e imbratta le strade la spazzeranno via il vento e le piogge.

   Nel canto III dell’Inferno, il luogo de “la perduta gente”, Dante afferma che tal posto fu fatto dalla divina potestà, la somma sapienza e il primo amore – Giustizia mosse il mio alto fattore –. Occorre intendere. Dante parla di un mondo inferiore ove l’alto fattore (l’essere) ha posto le basi della Giustizia, cioè dell’operare con il perfetto equilibrio nell’esercizio delle somme virtù: divina potestà, somma sapienza e primo amore. L’uomo non deve discostarsi perciò dal praticare le somme virtù e quindi dal vivere secondo Giustizia. Per operare in tal modo deve inoltrarsi nelle segrete cose; queste sono appunto la divina potestà, la somma sapienza e il primo amore. L’uomo deve consapevolmente ritirarsi in sé stesso, nel segreto, dove dimora la verità, “il primo amore”, il sole interiore. E la città, la società umana attende il reggitore per tornare ad essere Città del Sole. Invero la gente perduta non può assurgere a reggitore, è un loro abuso demagogico autoproclamarsi statisti. Infatti Dante parla delle genti dolorose, / c’hanno perduto il ben de l’intelletto. Le genti dissennate sono per l’appunto le genti dolorose, quelle che s’abbandonano ad ogni sorta di vizio e scorrettezza, coltivando avidità ed egoismo, che ignorano la loro interiorità e si degradano. Non a caso Dante le qualifica dolorose; tale aggettivo deriva dal verbo latino dolo, as, avi, atum, are, che ha il significato di lavorare con l’accetta e quindi spaccare, spezzare, scindere. La gente dolorosa è pertanto la gente scissa, gli individui dissociati, gli “spezzati”; son coloro che presi dall’esteriorità dimenticano sé stessi, l’essere presente. L’ uomo opera e nel presente consolida la sua realizzazione ovviamente avvantaggiandosi dell’esperienza acquisita nel tempo e dell’opera già svolta in quel passato che ora è il presente. Il futuro non esiste, è solo immaginaria aspirazione, speranza, ambizione che potrebbe, un dì avvenire, essere come anche non essere. Ciò che oggi vien costruito e solidamente costruito, questo sarà il domani. Ciò che oggi concepisci, l’idea che oggi nutri in te e che informa il tuo operare, costituisce il tuo domani, che è sempre il tuo presente. Scrivere il futuro non significa niente, o si vuol forse significare solo un promettere, un presagire? Si possono promettere mirabilia, mari e monti. Intraprendere oggi, significa realizzare; e cos’è il domani se non ciò che ieri ed oggi hai realizzato? Il domani non si scrive, lo si realizza oggi. Ogni realizzazione è un’attuazione che si effettua nel presente.  La storia ha già registrato catastrofi provocate da coloro i quali volendo ignorare il passato e quindi svalutando tutta un’esperienza vissuta, in dispregio anche del millenario patrimonio culturale, hanno scatenato la hybris del rivoluzionarismo fine a sé stesso. Leggiamo, per esempio, ciò che ebbe a proclamare il marxista Giuseppe Stalin: “Ecco perché se non si vuole sbagliare in politica è necessario guardare avanti e non indietro”. Così si esprimono grettamente i marxisti di ieri e di oggi e i loro imbelli emuli. Dal passato viene all’uomo il suo retaggio. Il marx-leninismo è un agente disgregatore, ha in odio l’atavico patrimonio spirituale dell’uomo e l’uomo stesso quale fattore e reggitore di civiltà. Così si esprime Marx: “Nelle rivoluzioni avvenute fino ad oggi il sistema di attività rimase sempre immutato. Invece la rivoluzione comunista si rivolge contro i sistemi di attività sinora praticati, rimuove il presente carattere del lavoro ed elimina il predominio di tutte le classi stesse, dato che questa rivoluzione si effettua per mezzo di quella classe che nella società non vale come una classe, non viene riconosciuta come una classe, ma è l’espressione del dissolvimento di tutte le classi, di tutte le nazionalità, ecc. nell’ambito dell’odierna società”. Questo dissolvimento è tutt’ora in atto e quanto mai subdolo e malefico, auspici le arroganti democrazie europee e l’americanismo prepotente e sovvertitore. Quindi guardatevi, amici reazionari, dagli statisti del futuribile. E ancora una buona estate nonsense.