IANUARIE

I A N U A R I E
Sol pascit omnia quae terra progenerat
“Lo chiamano Apollo Didimeo perché presenta un aspetto gemello della sua divinità dando luce e forma alla luna. In effetti da un'unica sorgente luminosa con due astri gemelli illumina il giorno e la notte. Perciò anche i Romani venerano il sole sotto il nome e l’aspetto di Giano, con il nome di Apollo Didimeo. […] Ianum patrem vocamus, solem sub hac appellatione venerantes. […] Pronuntiavit Nigidius Apollinem Ianum esse Dianamque Ianam…” (Macrobio, Saturnali).
Stamane il giovine sole di gennaio si estende luminoso su tutta la valle e i poggi intorno, ma basta spostarsi e all’ombra ci coglie il gelo pungente del rovaio. Or la notte. Il rovaio ancora più freddo e pungente, e una splendida luna nel firmamento sgombro di nubi. Gennaio!
“Ianum quidam solem demonstrari volunt, et ideo geminum quasi utriusque ianuae caelestis potentem, qui exoriens aperiat diem, occidens claudat. […] La sua statua tiene nella mano destra il numero trecento e nella sinistra il sessantacinque a simbolo della durata dell’anno, dominio specifico del sole…” (Macrobio, Saturnali).
Il sole! aurorale apre le porte del giorno, è Patulcius… poi nei fuochi del tramonto, in un manto di porpora e oro, è Clusius, colui che chiude le porte del giorno.
Scrive Dumézil: “Nella giornata sembra essere riservato a Giano il mattino. È troppo semplice eliminare questo attributo, con il pretesto del tono scherzoso usato da Orazio nell’apostrofe (Serm. 2,6, 20-23): «Padre mattutino, o, se preferisci essere chiamato così, Giano, tu con il quale gli uomini – secondo ciò che decisero gli dei – principiano (primos…instituunt) attività e lavori, apri tu il mio poema…». La teoria dotta e solare di cui Macrobio prende atto imparzialmente (Janum quidam solem demonstrari volunt…) fu di certo favorita dalla tutela del dio sul mattino. Infine, Giano è collocato nel tempo storico al posto che gli spetta: cioè agli esordi.”
“Et quia Ianum cum Saturno regnasse memoravimus… I mitologi raccontano che durante il suo regno tutte le case erano protette da fervore religioso e da virtuosa onestà; perciò furono a lui decretati onori divini, e per i suoi meriti gli furono consacrati gli ingressi e le uscite degli edifici. […] Taluni ritengono che egli sia detto bifronte perché sapeva il passato e prevedeva il futuro. I fisiologi hanno buoni argomenti per asserire la sua divinità; alcuni ritengono che egli si identifichi con Apollo e Diana e che comprenda in sé entrambi questi dei. Secondo Nigidio, in Grecia è venerato un Apollo denominato ‘protettore della porta’ e si innalzano a lui altari davanti alle porte di casa, a significare che egli ha giurisdizione sulle entrate e sulle uscite. […] Presso di noi lo stesso nome Giano fa intendere come egli abbia potere su tutte le porte (ianuae) analogamente al dio greco. Giano infatti viene rappresentato con una chiave ed una bacchetta, come custode di tutte le porte e guida di tutte le strade. […] Giano negli antichissimi carmi dei Sali è cantato come ‘dio degli dei’. Marco Messalla poi, per cinquantacinque anni augure, così comincia la trattazione su Giano: Colui che plasma e governa ogni cosa unì circondandole con il cielo l’essenza dell’acqua e della terra, pesante e tendente a scendere in basso, e quella del fuoco e dell’aria, leggera e tendente a sfuggire verso l’alto: l’immane forza del cielo tenne legate le due forze contrastanti.
Nelle cerimonie sacre lo invochiamo come ‘Giano Gemino, Giano Padre, Giano Giunonio, Giano Consivio, Giano Quirino, Giano Patulcio e Clusivio.” (Macrobio, Saturnali)
Quindi dio degli dei, custode non solo dell’inizio di gennaio ma di tutti i mesi, infatti tutte le calende sono sottoposte all’autorità di Giunone; signore della guerra, Quirino, ab hasta quam Sabini ‘curis’ vocant; aperto il suo tempio in tempo di guerra, chiuso in tempo di pace. Consivio a conserendo (conserere = seminare), cioè dalla propagazione del genere umano, quae Iano auctore conseritur, secondo l’espressione di Macrobio.
“Iane Pater, te hac strue commovenda bonas preces precor, uti sies volens propitius mihi liberisque meis domo familiaeque meae.” Padre Giano, nel presentare a te questo pane, ti invoco con giuste invocazioni perché sia benevolo e propizio a me, ai miei figli, alla mia casa e ai miei famigli. Così il vecchio Catone, il Censore, invocava Giano Padre, propagatore del genere umano.
Torniamo a Macrobio: “In merito all’origine dei Saturnali il diritto divino non mi permette di rivelare nozioni connesse con la segreta essenza della divinità; posso solo esporne la versione mista ad elementi mitici o divulgata dai fisiologi. Quanto alle origini occulte e promananti dalla fonte della pura verità, non si possono illustrare nemmeno durante le cerimonie sacre; anzi, qualora si giunga a conoscerle, è obbligo tenerle ben nascoste dentro di sé.”
A tal punto facciamo una pausa e inseriamo una nostra riflessione. Leggiamo sovente, anche su internet, scritti dubbi, addirittura interpretazioni grottesche della religiosità romana, che configurano un’alterazione e un travisamento della essenza della romanità. Le surriferite considerazioni di Vettio Agorio Pretestato, che Macrobio definisce “più di ogni altro profondo nei problemi religiosi”, ben comprese, dovrebbero scoraggiare la propensione a tale immotivato goliardismo. La tradizione goliardica nasce nel medioevo e in seno al clericalismo studentesco che conduceva una vita girovaga e irregolare. Questo insorgente, intemperante 'paganismo', così intendiamo definirlo, che va diffondendosi in gruppi chiassosi e anche discordi fra di loro, non è altro che una pittoresca superstizione, d'un pittoresco però incolto, rozzo e triviale, che non può assolutamente misurarsi con la segreta essenza della divinità, anzi suona come offesa. Si presenta esso come il sintomo sedizioso d’un’idolatria pretenziosa, totalmente priva di contenuto spirituale e di significati. Abbiamo più volte raccomandato lo studio attento e approfondito della storia e della religiosità romana, studio che deve anche procedere in simultaneità con una misurata disciplina e conoscenza di sé stessi. La chiassosità e il fanatismo sfociano sempre nell’anarchismo. Idolatria, fanatismo, superstizione van sottobraccio. Esibisce dissennate compagnie la pigrizia spirituale! Il superstizioso non è forse colui che s’adagia nella pigrizia, cioè s’abbandona a non volere? Il che non è meno della pigrezza, quella che vien da innata impotenza. Così anco per il fanatismo, ci si lascia trascinare; tal quale l’infingardo che evita la fatica, lo sforzo necessario a raggiungere una propria formazione e s’aggrega là dove una ‘fascinosa’, sovente ossessiva, corrente trasporta; e dove? Lo ignora. Nulla di più antiromano, nel disordine paganista!
“Regionem istam, quae nunc vocatur Italia (siamo tornati a Macrobio), regno Ianus optinuit, che, come narra Igino, divideva il potere con Camese, anch’egli indigeno, sicché il paese era chiamato Camesena e la roccaforte Gianicolo. Si dice che avesse due volti, che gli permettevano di vedere davanti e di dietro; ma senza dubbio tale credenza va riferita alla saggezza e all’abilità del re che conosceva il passato e prevedeva il futuro. Così in Roma sono venerate Antevorta e Postvorta, appunto come strettamente connesse con la natura divina. Giano ospitò Saturno giunto per mare presso di lui e da quello imparò l’arte dell’agricoltura, migliorando così il sistema di alimentazione che prima della scoperta delle messi era selvaggio e rozzo: come compenso se lo associò nel regno. Egli fu anche il primo a coniare monete di rame e volle in ciò manifestare deferenza a Saturno: siccome quello era arrivato per mare, su un verso fece imprimere l’effige della sua testa, sull’altro una nave; e ciò per far giungere ai posteri il ricordo di Saturno. Che la moneta fosse così coniata si deduce ancora oggi dal gioco d’azzardo: i fanciulli gettando in aria le monetine gridano testa o nave; il gioco attesta l’antica tradizione. Quanto al loro regno associato e concorde, e alla fondazione in comune di città vicine, oltre al passo di Virgilio Marone,
Ianiculum huic, illi fuerat Saturnia nomen,
resta la circostanza che i posteri dedicarono a loro due mesi consecutivi: dicembre in cui ha luogo la festa di Saturno, e Gennaio che prende nome da Giano. Nel frattempo Saturno scomparve improvvisamente, e Giano pensò di attribuirgli maggior onore: anzitutto chiamò Saturnia tutta la regione sottoposta al suo potere, poi, come ad un dio, gli consacrò un altare con riti sacri che chiamò Saturnali. Di tante generazioni i Saturnali precedono l’era di Roma! E volle innalzarlo alla dignità del culto in quanto artefice di una vita migliore: ne fa fede la sua effigie, a cui diede come attributo la falce, simbolo della messe. A questo dio si fa risalire la pratica del trapianto e dell’innesto nella coltivazione degli alberi da frutta e la tecnica di ogni altro procedimento agrario. Anche gli abitanti di Cirene, quando celebrano il suo culto, si coronano di fichi freschi e si scambiano in dono focacce, ritenendo che Saturno abbia scoperto l’uso del miele e della frutta. I Romani lo chiamano anche Sterculio, perché fu il primo a dare fecondità ai campi mediante lo sterco. Il periodo del suo regno, si dice, fu estremamente felice, sia per l’abbondanza dei prodotti sia perché non esisteva ancora alcuna discriminazione tra liberi e schiavi: lo si può capire dalla completa libertà che viene concessa agli schiavi durante i Saturnali.”
Regni eius tempora felicissima ferunt… Il regno associato di Giano e di Saturno fu un regno concorde e divina armonia regnò tra il Gianicolo, la città di Giano, e Saturnia, la città di Saturno; e quando Saturno si nascose, Giano chiamò Saturnia tutta la regione sulla quale regnava. Di molte, molte generazioni questi fatti precedettero l’era di Roma! Abbiamo riportato qui per intero questo mito italico, totalmente italico, perché riteniamo sia esso a fondamento delle conquiste di quella civiltà che con Roma segnerà il vertice. Il mitico regno di Giano e Saturno, durante il quale, come celebra Ovidio, uomini e dei vivevano insieme, rappresenta un’età aurea di cui si ritroverà appunto l’orma nella romanità, quella luce iperborea che si celebrò nel Sol Indiges. Luce mai estinta, che perenne risplende nella Aeternitas Romae, e può essere rivissuta da chi riesce ad attingere alla segreta essenza della divinità nel silenzio ascoso della propria nobilitata interiorità.
Il dio degli inizi, quel dio che ha la potestà sui primordi, il dio invocato per primo nelle preghiere e servito per primo nelle offerte; il dio dei passaggi, delle soglie e delle porte è un dio antichissimo. “Senone nel libro I della sua Storia d’Italia –riportiamo da Macrobio– riferisce che Giano fu il primo in Italia ad innalzare templi agli dei ed a fissare i riti del culto: il che gli valse per sempre la prerogativa di essere invocato per primo nei sacrifici.” Mito, mito-storia, mera storia? Qui non si tratta di procedere ad un esame analitico di origini, di fatti, di significati; qui, appunto, occorre approfondire dentro di sé, accogliere in sé il contenuto della narrazione antica per ritrovarsi nella luce nativa del Sol Indiges e ideare, immaginare, nel silenzio; comprendere e attuare, nel qui e ora.
Occorre essere operosi, e all’opera assidui. Sedule ac religiose.
[…] creditur geminam faciem praetulisse, ut quae ante quaeque post tergum essent intueretur… Secondo Macrobio questa era una credenza che andava riferita alla saggezza del re a conoscenza delle cose passate e capace di provvedere al futuro. A tal spiegazione si attiene anche il Dumézil: “La concezione bifrons di Giano è sicuramente antica e deriva dalla definizione stessa del dio; ogni passaggio presuppone due luoghi, due stati: quello che si abbandona e quello in cui si entra. In India, Aditi è detta ‘dai due volti’ in quanto inizia e finisce una cerimonia; inoltre, dall’antica Babilonia all’Africa occidentale, dei dalla funzione analoga presentano quella stessa mostruosità di effigie. Solo l’immagine plastica in cui si realizzò tale rappresentazione simbolica dovette giungere a Roma da culture straniere: forse dagli ‘Hermes doppi’, della Grecia, forse da più lontano ancora.” Dal mondo asiano del medio-oriente? Noi seguiamo l’acume del Dumézil e il profondo intendimento che ebbe della religiosità romana arcaica. Anche noi non restiamo convinti da quella strania “mostruosità” di effigie; non riteniamo che possa appartenere al periodo arcaico; tale raffigurazione dovette presentarsi indubbiamente sotto impulso popolare, per favorire con l'allusivo risalto figurativo la comprensione necessaria a conservar viva devozione.
È Giano dio degli esordi; egli pertanto presiede anche agli esordi della storia romana; è il dio dei passaggi, perciò è anche il custode delle porte, ianuae, delle case private nell’Urbe, così come delle portae, cioè le porte della stessa città. Ma sappiamo che Giano è un dio antichissimo. Lo abbiamo già incontrato l’antico dio delle nostre genti, nel periodo palafitticolo, nella preistoria dei futuri italici e latini, gli antenati degli ausoni e dei romani; lo abbiamo incontrato con il suo nome antico Portunus, ai limiti della terra, là dove s’infrangono le acque, il primigenio che impugna la chiave, giunto con la sua nave dall'oceano primordiale; con il suo aspetto regale e divino, il dio che apre il tempo. Ne abbiamo già parlato su questo sito alla pagina “Il plausibile inaudito - riemergendo dagli abissi de l’Inaudito plausibile” nello scritto Portum prospere tenere, cui rinviamo il nostro cortese lettore. Non vogliamo perderci nel passato, ma dobbiamo per forza volgerci indietro verso tempi più remoti. Antichissimo è Giano… Prima della storia, prima della preistoria, la sua nave ci porta su primordiali sconosciute sponde…
Dunque, dapprima fu Chaos…
Così Esiodo agli inizi della sua Teogonia. Ed Ovidio nei Fasti gli succede:
Me Chaos antiqui –nam sum res prisca– vocabant;
aspice quam longi temporis acta canam.
Giano continua la sua celebrazione di quei tempi remoti, potete leggerla su Ovidio per intero nel libro I dei Fasti versi 103-144. Noi non vogliamo perderci di certo nel passato, ma ascoltando la voce ineffabile del mito, ci fermiamo a contemplare Giano nel nostro presente, pur tenendo come fondamento vivo in noi il nostro passato. E, nel qui e ora, accingiamoci all’opera feconda di rifondazione, onde risorga la Città del Sole, per la salute del popolo italico!
Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante
Nietzsche
9 Gennaio 2017
