IL PAGINONE DEGLI AUGURI E CONNESSO CAPOGIROLO

IL PAGINONE DEGLI AUGURI
e
CONNESSO CAPOGIROLO
Tra tanti fronzoli natalizi e scempiataggini a bizzeffe con tanto di “mi piace” appiccicato sotto in stile Facebook, non riusciamo a indovinarne una a modo nostro accattivante. La tramontana secca e ghiaccia non ci dà tregua e decidiamo di accendere un bel fuoco. Non fate traboccare adesso la materia grigia fuor dalle vostre scatole craniche. Questo fuoco non pretende nulla, come i nostri antenati accendevano tanti e tanti fuochi sulle distese ghiacciate, in quell’epoche davvero glaciali, semplicemente per scaldarsi, così a questo fuoco noi ci scaldiamo le mani ed i piedi per attrezzarci a cavar fuori dalle cervella frastornate e anche un po’ irrigidite dalla tramontana, qualcosa che non finisca nel calderone della scempiatezza, cui tutti si precipitano a offrir le loro piaggerie. La fiamma divampa e proietta al suolo le nostre ombre ingigantite, che addirittura prendono a danzare. Le fiammate, e queste ombre danzanti, suscitano la nostra allegria.
La valle stamane attende intrepida l’inverno e attraverso il fogliame delle querce sbircia ansiosa il cielo nell’attesa che spunti il corno madreperlaceo del Capro Solstiziale. Oh, com’è tutto saturnio qui intorno! L’autunno consuma queste sue ultime giornate vociando attraverso la gola delle taccole e delle ghiandaie e con lunghi sospiri che vengono da laggiù, dagli alberi lungo il fiume cui s’unisce lo sciabordio delle acque e le grida delle anitre selvatiche. Questa pienezza saturnia della natura che si dispiega in così vitale sentimento panico ci fa sbalzar fuori dal quotidiano; spazza d’un colpo dalla nostra mente l’intero pensatoio del mondo. Ben venga il rigore dell’inverno! Questo fuoco, questa fiamma ci aizzano; sì, ben venga l’inverno con la bora gelida, con le sue nevi e con la luce dei suoi giorni che torna a crescere; che allegra stagione è l’inverno! Le notti si accorciano, si prolunga la luce e noi danzeremo con le nostre ombre nel sole come ora nel fiammare del fuoco. Come può l’uomo fare a meno della sua ombra? Si troverebbe davvero, perdendola, nella più dura delle infelicità, sarebbe in imbarazzo, estraneo alla natura tutta; le querce, i pini, i pioppi, tutti gli alberi e gli animali, infatti, proiettano le loro ombre, e il volo della poiana, dell’aquila pur manda sulla terra quelle ombre rapaci.
È bello invece starsene in pace con la propria ombra, specie quando senti che ti si è accesa dentro una fiamma viva e sei in amore e in armonia col tutto, mentre la tua mente fa faville che bruciano ansie e pensieri e si popola di fate e di dei…
Questa fiamma che arde e ci scalda ci ha anche ripresentato il mondo nel suo sembiante più affabile, sempre affaccendato questo mondo umano, ma, se disintossicato dal cervellotico assurdo, dal fantascientifico blackout, dalla puerile ma perversa superstizione, dalla egocentrica ostinazione, dall’esagerata egolalia che lo illude e lo esalta di mille fantomatiche vittorie, potrebbe finalmente essere ancora raggiunto da una voce di saggezza e ritrovare la sua anima vera. Trovare anche, tra tanti millantatori, guide ed esempi capaci di dare insegnamenti; capaci di insegnare significativamente, come diceva un saggio dell’antico Egitto. Significativamente, cioè lasciando un segno, onde far retrocedere l’errore e condurre sulla via diritta, quella della Virtù che dura.
Questo già ci sembra un buon augurio. Però…
Il fuoco che abbiamo acceso improvvisamente si è messo a brontolare, e la fiamma imbizzarrita prende a torcersi come una serpe e sibila. Pure le gazze, le cornacchie lanciano strida di protesta; ma siete divenuti ciuchi? Par che ci dicano… Altolà! Hanno ragione, altroché!…
Sì, non bisogna lasciarsi prendere troppo dall’ottimismo. Qui, nella quiete della campagna, nella semplicità della natura, possiamo pure evocare il buon padre Saturno e la Saturnia Tellus, ma laggiù?
Laggiù vige discordia e, come diceva Cratino il grande comico di Grecia, governa “un grandissimo tiranno,/che gli dei or chiamano/adunatore di teste”. Già! L’adunata delle teste… Qui sta la difficoltà! Come superarla? Maggioranze, minoranze… Bianchi, rossi, neri… Centro, destra, sinistra… e poi ancora, l’anti questo, il pro quello… etc. E qui, l’adunatore di teste ancor più s’imbaldanzisce. Non c’è spazio, si soffoca laggiù.
Una cornacchia ci insegna come fare; ha spartito in due con la sua compagna un malcapitato sorcio campestre…
* * *
Ma questi auguri bisogna pur darli, diamoli a tutti, compreso l’adunatore di teste; ma ricorriamo all’antica usanza. Vi ricordate quando il maestro chiamava alla lavagna il capo classe, col gessetto tracciava nel mezzo una riga verticale e alla sinistra segnava BUONI e alla destra CATTIVI? Facciamo così anche noi. E poiché siamo buoni patrioti e cultori della patria letteratura, cose che l’adunatore di teste osteggia e detesta, pur di fargli dispetto abbiamo scelto due poeti, Folgore da San Gimignano e Cenne da la Chitarra, contemporanei di padre Dante con due loro rispettivi sonetti, nitidi e graziosi, intestati al mese di Dicembre, e li dedichiamo così:
A I B U O N I
il sonetto di Folgore da San Gimignano
E di dicembre una città in piano:
sale terrene e grandissimi fuochi,
tappeti tesi, tavolieri e giuochi,
torticci accesi e star co' dadi in mano;
e l'oste inebrïato e catelano,
e porci morti e finissimi cuochi;
e morselli ciascun, bèa e manuchi;
le botti sien maggior che San Galgano.
E siate ben vestiti e foderati
di guarnacche, tabarri e di mantelli
e di cappucci fini e smisurati;
e beffe far de' tristi cattivelli,
de' miseri dolenti sciagurati
avari: non vogliate usar con elli.

A I C A T T I V I
il sonetto di Cenne da la Chitarra
Di dicembre vi pongo in un pantano
con fango, ghiaccia ed ancor panni pochi;
per vostro cibo fermo fave e mochi;
per oste abbiate un troio maremmano;
un cuoco bruto, secco, tristo e vano,
che vi dia colli guascotti e, que’, pochi:
e qual tra voi ha lumi, dadi o rochi
tenuto sia come tra savi un vano.
Panni rotti vi do e debrilati;
apresso questo, onn’omo en capegli;
bottacci di vin montanar fallati.
E chi ve mira sì se meravegli,
vedendovi sì brutti e rabuffati,
tornando in Siena così bei fancegli.
NOTA: capogirlo (o capogìrolo) s. m. [variante ant. di capogiro]. – 1. ant. Capogiro: voi mi fate sovvenir di quello che diceva che il grano gli faceva venir capogiroli e stornimenti di testa, quando però v’era mescolato del loglio (Galilei). 2. Sinon. di mochi, erba delle leguminose (Vicia ervilia), così detta per i disturbi che provoca in vari animali e nell’uomo. (da Enciclopedia Treccani)

A ognuno ciò che si merita, e lo decida da sé; valga per tutti, non solo per i nostri lettori e visitatori, ma anche per tutti i nostri soci, non escluse le persone di noialtri redattori. Cioccolatini ai buoni e carbone ai cattivi, ciabattate agli intriganti, ai millantatori, ai furbastri e grosse ciabattate e pernacchie a BuffaLoffia (cacciatela via! la straniera); allo smorfioso Fanny Big e all’Aggallato Palustre, suo grigiolato successore, dedichiamo la seguente allegra canzoncina nonsense o apoteosi, se così stimate.

IL NONSENSE D’UN PREMIER + 1 ꓿ 0
Porca vacca, il tuo cervello
S’è pappato un pescecane!
E or laggiù, in fondo al mare,
Lo scorreggia nell’arena
E le triglie fanno a gara
A girarvi tutte in tondo
Per ballarvi il girotondo
E strigliare insieme in coro:
Premier Burla, tenta un tuffo,
Vieni qui, in fondo al mare!
Nulla più vi troverai,
Di scorregge scόrse al pari
Quelle tue parole vane,
Vacue perle del tuo asineggiare.

L'ANTIRETORICA È UN BUON TOCCASANA. UNA PANACEA CHE ALLONTANA OGNI MALESSERE E TURBAMENTO, SCIOGLIENDO I NODI PIÙ CONTORTI DEL PENSARE E DELL'IMMAGINARE. È UNA DISCIPLINA DA PRATICARE PER COMBATTERE L'AMPOLLOSITÀ E LA VANITÀ POMPOSA. COSÌ ANCHE LE CORRELATE MORBOSITÀ: DISPNEE, FAME D'ARIA, ASFISSIA, ANGINA, STERILITÀ, ETC".
Dal Libro della retorica sostanziale di SAO Y JIO


Il riso, sia esso allegro o malinconico, è sempre antiretorico; ma, se sguaiato, rappresenta appieno la retorica feroce oppure la ferocia retorica dell’uomo democratico e dell’uno o dell’altro volgar demagogo che sia.
La sguaiataggine, l’insofferenza alla disciplina, la mancanza di eleganza nel parlare e nella scrittura producono solo vuoto retoricume che, privo di efficacia, equivale a non voler raggiungere risultati certi. E questa è una peculiare caratteristica dei democratici.
La retorica, per essere accettabile, deve rappresentare l’essenza d'un’arte psicagogica intesa a guidare l’uomo verso la conoscenza delle virtù e quindi della interiore verità.
Dal Libro della retorica sostanziale di SAO Y JIO
Queste massime, tratte dall’aureo libro di Sao Y Jio, le abbiamo qui riportate per predisporci ad essere benauguranti verso quel pubblico di lettori che in esse si ritrova, ed anzi ad associarci a questi benpensanti nel dare il benarrivato a codesto anno 2017.
I sonetti di Folgore e di Cenne sul dicembre hanno esaurito il loro compito augurale e sentiamo il dovere di sostituirli subito con quelli dedicati dai detti sonettieri al mese di gennaio. Prima di accingerci alla bisogna però dobbiamo una chiarificazione. L’accusa di bigotteria la rivolgiamo contro colui che ce l’ha indirizzata. Comprendiamo, senza giustificar nulla però, la sua prurigine paganista; vorrebbe che noi attivassimo tutto un apparato psicomotorio al fine di lanciare sul mercatino di detta prurigine una sfilza di deità, eroi, semi-eroi, etc., a soddisfazione degli imbelli che irrigidendosi o stiracchiandosi a mo’ di merluzzi disseccati, vomitano quel loro retoricume stonato. A codeste signorie noi lasciamo dar la baia dagli struzzi, che pure han le ali, ma inadatte al volo. Noi gli auguri li elargiamo a modo latino e basta, senza strombazzatura alcuna. Continueremo a distinguere con rigore i buoni e i cattivi, tracciando sulla lavagna col gessetto la riga famosa, tal quale faceva il nostro maestro delle elementari; costui era un buon cultore del latino e niente affatto bigotto; lui, che avrebbe latinizzato il mondo intero, tentava di inculcare in anticipo nei suoi scolaretti dosi di latinuccio. C’insegnò che i buoni eran coloro che potevano arricchirsi, e quindi far felici sé stessi, se attraverso una retta condotta riuscivano a conquistare il bene sia sul piano fisico che spirituale o morale (bonum) e anche, sul piano materiale, le sostanze necessarie a una vita dignitosa (i beni, bona). Ci spiegava che gli antichi latini intendevano per cattivo (captivus) colui che fatto prigioniero finiva la sua vita in servitù. Anch'egli intendeva dirci che colui che imprigionava sé stesso nelle cattive abitudini, nei vizi, nella falsa retorica, nella indisciplinatezza etc., finiva per rimanerne prigioniero, non riuscendo così ad educare sé stesso alla virtù. Ne abbiamo serbato un caro ricordo.
E, in questo mentre:
AI BUONI
Il sonetto di Folgòre da San Gimignano
I' doto voi, nel mese de gennaio,
corte con fochi di salette accese,
camer' e letta d'ogni bello arnese,
lenzuol' de seta e copertoi di vaio,
tregèa, confetti e mescere a razzaio,
vestiti di doagio e di rascese:
e 'n questo modo star a le defese,
mova scirocco, garbino e rovaio.
Uscir di for alcuna volta il giorno,
gittando de la neve bella e bianca
a le donzelle che staran da torno;
e quando fosse la compagna stanca,
a questa corte faciase retorno:
e si riposi la brigata franca.

AI CATTIVI
Il sonetto di Cenne da la Chitarra
Io vi doto, del mese di gennaio,
corti con fumo al modo montanese,
letta qual’ ha nel mare il genovese,
acqua e vento che non cali maio,
povertà di fanciulle a colmo staio,
da ber aceto forte galavrese
e stare come ribaldo in arnese,
con panni rotti senza alcun denaio.
Ancor vi do così fatto soggiorno:
con una vecchia nera, vizza e ranca,
catun gittando de la neve a torno;
apresso voi seder in una banca,
e resmirando quel so viso adorno;
così riposi la brigata manca.

Dalle illustrazioni del Libro di Sao Y Jio scegliemmo per gli auguri di dicembre l'onagro, asino selvatico asiatico, intelligente mammifero degli Ungulati; per questo mese di gennaio abbiamo scelto, sempre dal Libro di Sao, il dugongo, mammifero marino, erbivoro degli Ungulati. Entrambi questi mammiferi, il terrestre e il marino, simboleggiavano, secondo Sao Y Jio, nella tradizione cinese antica l'antiretorica. Sao Y Jio aveva un culto particolare per questi due emblematici animali. Nel suo giardino allevava un onagro, cui aveva dato il nome Míngzhì De Cí, nella sala delle udienze, in un grande acquario, un bellissimo esemplare di dugongo, cui aveva dato il nome Shēngyīn Bō. Si racconta che alla vista del loro padrone questi animali manifestassero evidenti segni di tripudio e Sao ritenesse di trarne il buon auspicio.
