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EMPANDA

                         

 

 

E M P A N D A

 

 

Vidi brillare una barca d’oro su acque notturne, una barca d’oro sulle onde, inabissantesi, e risorgente.

                                                                           F. Nietzsche

 

 

Mantenete il silenzio, voi presenti!

Purifichiamo i campi e le biade

Con il rito tramandato dagli avi.

Il giorno è sacro, riposi la terra

E l’aratore riposi e, il vomere

Messo da parte, cessi ogni fatica.

Sciogliete adunque la cinghia dei gioghi,

Oggi con le coronate cervici

Alle greppie ricolme stanno i buoi.

Si operi solo in onore del dio.

 

                                                                      

   Nei villaggi i contadini allestiscono la festa agricola, siamo con Tibullo ai tempi della Roma augustea.  Tali festività eran dette allora Paganalia e così dai tempi di Servio Tullio, che, dopo aver indetto un censimento della popolazione, aveva stabilito un nuovo ordinamento territoriale dei pagi con asili e case per i coloni ed aveva anche regolato il culto degli dei custodi dei campi. Ma ben radicata era rimasta l’opera religiosa di Numa che aveva dato vigore ai precedenti culti, i quali riunivano, pur mantenendo la propria singolarità, le festività dei vari villaggi: le Paganiche. Tali feste non rientravano nel canone delle ferie stative, dovendo seguire il corso delle stagioni erano appunto ferie mobili, cioè ferie indittive al pari delle Sementive (delle sementi) e ricorrevano, sia l’una che l’altra, in giorni prossimi, nella seconda metà del mese di gennaio.

    Ricorrenti le ferie Sementive si sacrificava alla divinità di Tellus, la Madre Terra, una scrofa gravida con un’offerta di farro. Placentur frugum matres, Tellusque Ceresque, / farre suo gravidae visceribusque suis. Questo, dice Ovidio, era il sacrificio offerto alle madri delle messi in quanto: Officium commune Ceres et Terra tuentur:haec praebet causam frugibus, illa locus. / Consortes operis

   Omnia sint operata deo. Si operi solo in onore del dio.La divinità che veniva invocata durante le Paganiche era la dea Empanda, da Festo definita Paganorum dea, cioè la dea degli abitatori dei Pagi, che alcuni ritengono non fosse che la stessa Pale, la divinità della pastorizia e da altri ancora ritenuta Cerere. A Empanda tutti i pagi offrivano la burranica, una miscela dal colore rossastro composta di latte e mosto cotto. La festività dei villaggi ed il culto di Empanda deve essere stato davvero antichissimo ed aver preceduto di molto le Sementive, anche se vi appaiono molte cose in comune. I versi di Ovidio:

 

Pagus agat festum: pagum lustrate, coloni,

et date paganis annua liba focis.

 

   E invocando la divinità di Cerere e della Terra:

 

Frugibus immensis avidos satiate colonos,

ut capiant cultus praemia linea sui.

Vos date perpetuos teneris sementibus auctus

nec nova per gelidas herba sit usta nives.

Cum serimus, caelum ventis aperite serenis;

cum latet aetheria spargite semen aqua.

 

   Ed ora i versi di Tibullo:

 

Casta placent superis: pura cum veste venite

et manibus puris sumite fontis aquam.

Cernite, fulgentes ut eat sacer agnus ad aras

vinctaque post olea candida turba comas.

Di patrii, purgamus agros, purgamus agrestes:

vos mala de nostris pellite limitibus,

neu seges eludat messem fallacibus herbis,

neu timeat celeres tardior agna lupos.

  

   Ovidio mette in evidenza il rito lustrale ed invoca Cerere e la Terra a che siano propizie ai coloni, onde essi possano godere del premio dalla natura stessa riconosciuto alla loro fatica. Tibullo, senza trascurare i campi e le culture, da parte sua ci rappresenta la luminosa e mirifica scena della candida processione purificatrice volta al sacrificio pastorale. Entrambi i poeti ci parlano d’un mondo armonico, ove l’opera dell’uomo e le energie della natura s’incontrano quasi in un convito. L’uomo è scrupolosamente attento a mantenere quella castità dell’animo e del corpo che è gradita agli dei, è attento ad attingere l’acqua di fonti con mani pure; ciò gli sortirà di propiziare campi fecondi e di allontanare da sé i malanni. Un campo integro e naturalmente fertile equivale a un corpo sano. Quando l’uomo non altera l’ecosistema e la natura è florida e lussureggiante l’agnella non temerà le scorrerie dei lupi e il sonno del pastore sarà un sonno tranquillo. E così sarà per colui che regna o governa, e così per le sorti dei governati. Casta, gl’incorrotti, placent superis. Oggi, ai giorni nostri, rara avis! Il nostro orecchio è continuamente offeso da brutte parole come inquinamento, transgenderismo, corruzione e peggio.  

   Il poeta è sacro! Lo dice Tibullo: At tu, nam diuum serbat tutela poetas,/ praemonio, vati parce, puella, sacro… Naturalmente, se Vate eletto e consacrato al patrio ideale.

   I poeti che abbiamo letto ci trasmettono non solo rappresentazioni simboliche, ma ci comunicano vive immagini e voci di un tempo ormai lontanissimo dagli uomini d’oggi. Immersa nell’artificiosità, l’epoca appunto dell’artifizio è tutta protesa al lucro e al consumo; presumendo di avere il pieno possesso di ogni risorsa materiale, si dimentica di quel grande organismo, di quel corpo intelligente, che è la Natura vivente; la quale solamente ha la potenza di esprimere le sostanzialità materiali, onde poi sovvenga l’opera dell’uomo cosciente e quindi in grado di modellarle e significarle, senza produrre danno. Uomo sapiente, capace di comprendere i divini disegni, cui solo la sua casta interiorità dà forma compiuta. È l’atto del concepire immacolato, dell’armonia ideatrice che non contrasta con la natura e con il patto stabilito con i patri dei. Oggi la spinta dai bassifondi del materialismo edonista esercita un moto sempre più irriflessivo e distruttivo e l’ateismo è profuso a piene mani dalle soffocanti latrie dominanti e dalla superstizione scientista, che, oltre ogni sensata misura, tenta con una titanica tecnologia di dar la scalata ai cieli; per cieli qui non intendiamo gli spazi ultra-terrestri, ma i cieli veri, quelli reali. E mettiamoci sotto, secchioni! Il rischio che correte è di precipitare a testa in giù e, di conseguenza, di sprofondare nel subumano. Con il Cielo, c'è poco da scherzare!

  

SESE  PANDIT  ROSA

 

   Sul tardi, cioè in epoca più recente, il nome della dea lo troviamo accorciato in Panda, come colei che aperit et manifestat, contrapposta a Cela, colei che racchiude e nasconde. Panda, analogamente a Cerere invece è colei che schiude il seme, che dapprima era nascosto nella terra.

   Panda, da pandere, aprire, manifestare, rivelare, distendere; la dea dei borghi, dei villaggi, dei campi, dei luoghi aperti? Oziose decifrazioni. E ancora, vecchie dispute. Nonius, grammatico del IV secolo, lascia scritto: “Pandere Varro existimat ea causa dici, quod qui ope indigerent et ad asylum Cereris confugissent, panis daretur. Pandere ergo quasi panem dare, et quod numquam fanum talibus clauderetur”. Falsa o paretimologia? Che importanza ha, qualcuno aggiunge non la conferma anche Festo? Certamente nel corso di quelle feste, quei devoti campagnoli si scambiavano tra di loro pagnotte calde di forno; era un pregnante simbolismo, ma forse anche un mezzo per farsi e comunicarsi osservazioni sulla lavorazione e la realizzazione dell’alimento. Anche questo scambiarsi il pane o finanche consigli indubbiamente influiva. Ed ora leggiamo lo stesso Varrone che nel De vita Populi Romani scriveva: “Hanc deam Aelius putat esse Cererem; sed quod in asylum qui confugisset panis daretur, esse nome fictum a pane dando, pandere, quod est aperire «ideoque a pandendo Pandam dictam»”. Ma, è accettabile, l’etimologia del nome così come Nonio l’attribuisce a Varrone? Varrone nato secoli prima di Nonio, da quel che leggiamo, non pare ne sia convinto. D'altronde l'esistenza di posti di ristoro, sempre aperti ai bisognosi di aiuto, non è da ritenere fuori luogo in quel contesto, trattandosi di una largizione: il pane, l'alimento completo, risalente alla generosità agreste.  

   Pandere agros, l’espressione è di Lucrezio, significa arare i campi. L’aratura è l’operazione con cui rivoltando la sodaglia si dissoda il terreno, lasciando uno scavo aperto, il solco. Nel solco si getta il seme. Dal solco spunta il germoglio e via via si sviluppa, si dilata, s’allarga, si espande. Così era a quel seme accaduto laggiù, nella terra morendo, di spaccarsi, di dilatarsi dipoi e dal suo scomporsi procedere nuova vita. La nascita è espansione, ma lo è anche la morte. La natura non conosce soste, né conosce soste il suo dinamismo che muove sottili forze e indomite, inestinguibili energie. Empanda.

   Tutto si trasforma o subisce trasformazione. Abbiamo visto che continuo è questo moto. Il seme si muta in germoglio, il germoglio in pianta; la pianta si sviluppa, avviene la crescita, matura il frutto, dal frutto altri semi; un continuo espandersi. Empanda.

   E l’uomo? Anch’egli concorre. Pastore, cura ed alleva gli agnelli, governa il gregge. Agricoltore, concima la terra, la coltiva, procede alla seminagione, alla cura delle messi, poi alla mietitura, ai raccolti. Ancora, trasforma i semi, i legumi, i frutti, il grano in nutrimento. Nutrimento, da una radice ie AL-AR, da cui il verbo latino alo, is, alui, altum o alitum, alere, con il senso di nutrire, allevare e, ancora,il più alto senso figurato di alimentare, far crescere. Empanda.

   E per di più, l’uomo, da adolescente alunno della natura, istruitosi nei suoi segreti per vivere con essa in armonia e, in tal saggio sodalizio, da ritrovare in sè il coltivatore di sé stesso, tanto da poter ben curare la sua crescita, l'interiore crescita, oltre quella terrestre, nel cielo delle virtù, onde espandersi nel sempiterno. Empanda.

 

Ai celesti grata è la castità:

Con veste incontaminata venite,

Mani pure attingano acqua alle fonti.

Mirate, da sé all’ara fulgente

Ascende l’agnello sacro, seguito

Da biancovestita turba, le chiome

Allacciate con le fronde d’olivo.

Dei Patri, purifichiamo gli agri

E con essi anco la gente dei campi!

Scacciati da queste zolle i malanni,

Né l’erba nociva opprima le messi

Né tema i lupi l’agnella indugiante.

 

   Abbiamo voluto trasporre anche in italiano i versi sopra riportati del poeta Tibullo, perché siano di augurio ai giovani volonterosi che ricercano la via dell’onestà e del retto agire, con fraterna definitiva concordia. E, sradicata l’erba maligna, il suolo della Patria rifiorisca, per sempre spenta la brama della bestia immonda.