MARTE IL SOLE
M A R T E il S O L E
LA GUERRA E IL CORAGGIO
Io scorgo molti soldati: potessi veder molti guerrieri!
“Uniforme” dicesi quella che indossano:
possa non essere uniforme la cosa che sott’essa nascondono!
Nietzsche
Haec fuit Romuli ordinatio, qui primum anni mensem genitori suo Marti dicavit. […] secundus Veneri dicaretur, quae vim eius quasi benefica leniret. […] cum hodieque in sacris Martem patrem, Venerem genetricem vocemus. (Macrobio)
Ciò che si è detto a proposito del padre Libero dimostra la identità di Marte con il Sole, infatti si unisce Libero a Marte e se ne fa un solo dio. Onde Bacco è chiamato Enyalios, che è tra le nominazioni di Marte. Anche a Sparta c’è il culto di una statua del padre Libero insignita dell’asta e non del tirso; ma anche con il tirso, cos’altro porta se non un dardo nascosto? Ha però la punta adorna e coperta d’edera per dimostrare che lo slancio guerresco dev’esser frenato dal vincolo della pazienza; proprietà dell’edera è quella di legare e frenare. Il calore del vino, padre Libero ne è l’autore, spinge gli uomini spesso alla furia guerresca. L’affinità del calore in entrambi gli effetti fece sì che si riconoscesse in Libero e Marte un solo e identico dio. Ambedue i Romani venerano con il nome di padre, l’uno è padre Libero l’altro Marspiter, cioè Marte padre. Ancora una prova per accertare che il padre Libero sia anche il signore della guerra è data dalla tradizione che attesta che fu lui ad inventare il trionfo. Se dunque il padre Libero viene identificato con il Sole e Marte a sua volta con il padre Libero, non si può dubitare che Marte sia il Sole. In conclusione si può affermare che l’effetto del sole, che eccita l’ardore dell’anima e fa ribollire il sangue, ha nome Marte. In summa pronuntiandum est effectum solis, de quo fervor animorum, de quo calor sanguinis excitatur, Martem vocari. (Macrobio)
Così è rappresentato da Macrobio, nei Saturnalia, il Marte Romano; un indubbio dio di guerra, ma non un oscuro dio bellicista, un dio che sostiene il guerriero, che dà forza alle armate impegnate nella guerra giusta, ma non alimenta la brutalità e la ferocia. Un dio sempre schierato dove rifulge il valore, pronto a preparare il trionfo, cioè la vittoria della luce contro l’oscura barbarie. Per questo, come sostiene Macrobio, non si può dubitare che Marte sia il Sole.
BEGHE E GUERRE MUNICIPALISTICHE
I Bruzi, i Lucani, i Tarantini, i Messapi e i Sanniti, vedendo avanzare la potenza della Repubblica Romana, cominciarono a fortemente preoccuparsi e tesero a confederare le loro forze. Questi popoli, sconsideratamente bellicosi, non avevano né interessi, se non economici, né idealità comuni, anzi privilegiavano il particolarismo e la loro politica tendeva all’isolazionismo; pur diffidenti l’un dell’altro, posero le pretenziose basi di una alleanza per l’appunto antiromana.
La città di Turi, già colonia di Sibari, con una costituzione risalente al famoso legislatore Caronda, avendo subìto varie incursioni e sopraffazioni da parte dei Lucani e dei Bruzi, aveva chiesto alla Repubblica Romana un presidio entro le proprie mura. I Lucani e i Bruzi con l’appoggio dei confederati, sfidarono Roma e strinsero d’un assedio odioso la città di Turi. Il comando fu affidato a Stazio Statilio, generale dei Lucani.
UN DUCE ROMANO
Caio Fabrizio Luscinio fu ai suoi tempi, come scrisse Valerio Massimo, “autorevole più di ogni altro cittadino nelle cariche pubbliche e in prestigio, ma, per censo, pari al più povero dei cittadini”. Fabricius Luscinus honoribus et auctoritate omni civitate temporibus suis maior, censu par unicuique pauperrimo; infatti era sua ricchezza “non possedere molto e poco desiderare”, quia locupletem illum faciebat non multa possidere, sed modica desiderare. Costui aveva rifiutato ingenti doni inviatigli dai Sanniti e alcuni anni più tardi, nel corso della guerra tarantina, quelli altrettanto cospicui di Pirro re dell’Epiro, acerrimo antagonista di Roma, doni rivolti a corromperlo. Fabrizio, Vir d’integra fides, che coltivava un’alta virtù civica, doveva esser ben consapevole della viltà e fiacchezza d’un nemico che ricorreva a tali subdoli accorgimenti, opposti al valore guerriero e discordanti da una leale arte strategica e dalla marziale abilità. Virgilio nell’Eneide definisce Luscinio “il forte Fabrizio contento del suo poco”, incisivo e solenne: parvoque potentem/Fabricium. Ancora l’Alighieri nel De Monarchia così lo ricorda: “altum exemplum avaritiae resistendi”, alto esempio di resistenza all’avidità. “Potentem” troviamo in Virgilio e “resistendi” nell’Alighieri: par non a caso essi si riferiscano a virtù marziali, militari. E queste indubbiamente erano, tra le tante, le preclare virtù del Console Romano Caio Fabrizio Luscinio, sotto il cui comando erano stati posti i difensori della città assediata, la guerra incombendo.
IL RACCONTO DI VALERIO MASSIMO
Quid? Martis auxilium, quo victoriam Romanorum adiuvit, nonne memoria celebrandum est? Cosa? Non va dunque richiamato alla memoria l’aiuto di Marte che contribuì alla vittoria dei Romani? I Bruzi e i Lucani, animati da odio furioso e con tutte le forze assalendo, tendevano a impadronirsi della città di Turi per distruggerla; da parte sua il console Caio Fabrizio Luscinio impiegava ogni mezzo per difenderla; era una situazione incerta, mentre si fronteggiavano i due eserciti. Non osando i Romani dare inizio alla battaglia risolutiva, un giovane di prestante aspetto all’improvviso prese ad esortare i legionari al valore; poiché essi si muovevano con troppa lentezza, afferrate le scale, si fece largo tra lo schieramento nemico e raggiunse il loro accampamento; appoggiate quelle al vallo, vi salì. Con voce alta, poi, annunciò che si era ad un passo dalla vittoria e così trascinò i nostri all’assalto del campo nemico. I Lucani e i Bruzi ne tentavano la difesa dove la mischia s’era fatta più fitta e il combattimento era ancora incerto. Sempre lui, con il suo impeto dette ai Romani l’audacia di uccidere e catturare i nemici; ventimila furono gli uccisi, cinquemila i prigionieri, tra essi il capo supremo Stazio Statilo; furono conquistate ventitré insegne militari.
Il giorno seguente il Console annunciò di aver riservato, tra i tanti che meritavano decorazioni per il loro coraggio, la corona vallare a quel milite che aveva di sorpresa occupato il campo nemico. Nessuno si fece avanti a pretendere quella onorificenza e ciò fece credere che a venire in aiuto ai Romani in quella difficile circostanza era stato il loro Padre Marte. Ci furono altri indizi e si ritenne probante testimonianza l’elmo a due piume ritrovato, che si ritenne avesse coperto il capo del dio celeste. E così, per editto di Fabrizio, tra la grande letizia degli animi dei militi coronati di alloro, fu tenuta una solenne cerimonia in onore di Marte, a testimoniare l’aiuto che era stato loro offerto.
Questo l’icastico racconto di Valerio Massimo. Una battaglia che si presenta incerta per la massa ingente delle truppe confederate; da una parte l’odio furioso dei nemici che ambiscono ridurre in rovina la città, dall’altra la serenità del duce Romano intento a difenderla con praecipuo studio, che vien ripagato immediatamente dal marziale valore legionario. Alla figura ascetica dell’operoso comandante romano, certo nell’animo della vittoria, corrisponde sul campo la figura prestante del coraggioso combattente che concentra su di sé l’attenzione e il coraggio dei legionari romani. È il Marte romano nella pienezza della sua manifestazione, e sarà la Vittoria. Ed il merito è soltanto del Padre Marte, del lucente Marte romano. Il dì seguente sarà a lui dedicato e a quell’elmo, un po’ misterioso, dalla doppia piuma. La duplice fatica, quella impiegata per necessità bellica a distruggere il nemico e l’altra, quella che spinge e guida alla vittoria, perché trionfi luminosità e giustizia. Non è l’onorificenza al singolo quel che vale. Quel che vale è il trionfo, l’impersonale fatica, l’impersonale valore. Itaque Fabricii edicto supplicatio Marti est habita et a laureatis militibus magna cum animorum laetitia oblati auxilii testimonium ei est redditum. I legionari han combattuto la buona guerra e ogni soldato ora si corona di alloro, per il solenne ringraziamento al Padre Marte.
Voi dite che la buona causa santifica persino la guerra? Ed io vi dico: la buona guerra santifica ogni causa.
Nietzsche
