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ROMA EDUCATRIX

                        

 

 

R O M A    E D U C A T R I X

 

 

  24 marzo 2017 - ANSA, Giugliano – Disabile di 13 anni violentato da 11 minorenni nel napoletano. La vittima avrebbe subito per anni le violenze del branco.

  26 marzo 2017 - ANSA, Livorno – Genitori affidano disabile a due operatori socio-sanitari, loro lo riempiono di botte.

  26-27 marzo 2017 - ANSA, Alatri – Pestato dal branco, ventenne ridotto in fin di vita muore poi in ospedale. È stato massacrato di botte in strada e sprangato da diverse persone.

 

   Sono alcune notizie tra le tante che quasi ogni giorno la cronaca nera ci segnala. Effimera cronaca che sovente dura un giorno solo e si spegne, a meno che non faccia comodo ai mass media mandare il fattaccio per le lunghe e farne un teleromanzo allettante a uso di chi ha interesse a telecomandare il pubblico minchione. È un sistema perfetto che funziona benissimo, soprattutto nelle società indirizzate dal democratismo, dove si studia accuratamente la demodossalogia. Mistificare, demistificare a proprio comodo e generalmente per uno scopo nascosto. Quel che turba è lo spiacevole aumento di tali misfatti e che a tale incremento par non si trovi rimedio e si rischi la irreversibilità di tanto degrado. La gente vien facilmente distratta, i “vaccini” operano proficuamente per chi sa utilizzarli: la promessa d’un illimitato progresso, l’abolizione d’ogni proibizione e divieto, il culto dell’economicismo con la pratica religiosa dei consumi, i paradisiaci piaceri della parità e della promiscuità con la cultura del transgender. Ci si allontana sempre più dalle usanze e dal costume patrio, la stessa costumatezza ha perso il suo pregio; ci si è abbandonati ad una amenziale imitazione dell’americanismo, anzi degli americanismi più primitivi. In tal triste abbandono versa ormai da anni la gioventù italiana! Questa società fiacca e cupamente anarcoide va addirittura assumendo un aspetto postribolare, scempio e sconcio.

  Ma si fa ogni sforzo, dicono, per estendere la partecipazione dei cittadini alla conduzione della cosa pubblica, sensibilizzando le masse e soprattutto con la politicizzazione dei giovani. In realtà, il così detto autonomismo politico amministrativo produce ulteriore disunione e culturale disgregazione, accrescendo avidità, vanità e burbanza. Come in alto, così in basso avere autorità si trasforma in un privilegio, ci si sente importanti e prima o poi se ne fa abuso. Ma ciò è sotto gli occhi di coloro che ciechi non sono e hanno intelligenza bastante per comprendere dove tutto questo armeggio, accomodamento e occulto arraffare alla fine andrà a sbattere. Noi con questi illusionisti, con questi ideatori asfittici non intendiamo azzuffarci; né intendiamo con un nostro sistema ideologico lottare contro il loro ideologismo dogmatico, fanatico, illiberale, ipocritamente umanitario, vecchio e muffito. Questo loro mercato di robivecchi non ci interessa. Lasciamoli alla sorte ambita, alla sveglia dei muezzin, quando suonerà la loro ora.

   Noi invece siamo attratti dal mito dei divini gemelli, abbiamo fiducia nelle anime gemelle, infatti senza di esse non sussisterebbe l’umana essenza. Sono i prossimi, quelli che sentono alla stessa maniera; coloro i cui pensieri possono così profondamente compenetrarsi, fondersi, da divenire quasi un tutto unico. Non un pensiero unico, si badi bene, ma un unico armonico, concorde ideare. Uno sprofondarsi nelle altitudini, al limitare del divino. Non il pensiero unico che rende servi, ma il pensiero che spicca il volo per eternare la gloria del nido dove nacque. Parafrasi leonardesca?

   Va bene! Abbiamo con chi conversare, bastanti anime con le quali condividere il nostro entusiasmo. Ne siamo lieti. Posiamo lo sguardo sull’ampia valle; laggiù il fiume e, oltre il fiume, i monti selvaggi, ardenti di luce nel sole marzolino e sferzati dal vento, che non risparmia alla nostra pelle punture di gelo. Questo paesaggio così vivido è però indifferente al trambusto degli umani; essi passeranno, con essi il tumulto, le ambizioni, i loro odi e gli affanni. Imperscrutabile e fiera la natura continuerà ad essere.

    Tuttavia non resteremo in silenzio, continueremo a discorrere tra di noi in amicale intimità.

   Con gran semplicità, ma certo con impegno e buona volontà, si potrebbe portar rimedio al disordine, alla corruttela, agli scempi, alla vituperevole brutalità, alle sconcezze, alla dissolutezza e all’odio.

   Governare significa anche indirizzare, far da guida, formare. In una parola educare. Educare vuol dire prendersi cura soprattutto della gioventù; rinvigorirla nel corpo e nella mente, trasmettendole le patrie virtù, invogliandola allo studio dell’etica e al rispetto del costume civile; al ricordo e al culto dei patri eroi, all’ammirazione dei vati nostri e alla stima della patria cultura. Occorrerebbe anche riportare opportunamente il latino nelle scuole medie aggiungendo e ampliando anche lo studio della storia e della civiltà romana, ove sono le radici di una vera Europa, tutta da ricostruire.

   EDUCARE. Forse i personaggi che oggi ricoprono le cariche governative sono disavvezzi al suono di questa parola; la ritengono vecchia, superata dal termine politicizzazione, vocabolo, a nostro vedere, dal suono sgradevole, voce mistificatoria. Eppure l’educare è il modo di trar fuori dai giovinetti e dalle fanciulle le buone inclinazioni, dirozzandone, ingentilendole la natura, formandone il carattere, alimentando in loro le buone intenzioni con il renderli volitivi e virtuosi. Educare, è anche istillare nelle menti la pudicizia e ispirare nei cuori il vero amore fraterno. Educare è soprattutto dare il buon esempio. Ma è da ritenere che in tal genere di personaggi, politicanti e politiconi, manchi del tutto il senso della esemplarità. E di modelli giusti, invece, ne abbiamo a iosa nella nostra storia, e pur nella nostra letteratura.

   Se solo vogliamo attingere a ricordi scolastici, possiamo riferirci all’anno 1761 quando Giuseppe Parini indirizzava al giovanissimo Carlo Imbonati, suo allievo, per l’undicesimo compleanno un’ode intitolata appunto La Educazione: “O pianta di bon seme/ Al suolo al cielo amica, / Che a coronar la speme/ Cresci di mia fatica…” Il poeta, poi, vorrebbe somigliare al Tessalo maestro (il Centauro Chirone), che guidò sul destro cammino il figlio di Tetide, Achille. Vorrebbe essere quel Centauro ingegnoso che rese fiero e sano il suo alunno famoso, rafforzandone le membra e rinvigorendone l’animo. “A lui, che gli sedea/ Sopra la irsuta schiena, / Chiron si rivolgea/ Con la fronte serena, / Tentando in su la lira/ Suon che virtude ispira.” Ed Achille lo ascoltava con orecchio intento: “Giovine nato per portar soccorso alla Grecia, ricorda il motivo per cui ti educai le membra alla lotta e al corso. Quali imprese non è in grado di compiere un’alma ardita, se provvista di corpo sano e forte? Ben sul robusto fianco/ Stai; ben stendi dell’arco/ Il nerbo al lato manco, / Onde col segno ch’io marco/ Va stridendo lo strale/ Dalla cocca fatale. Ma ti avrò inutilmente infuso la possanza, se dimentico il resto. Quei che fecero abuso della forza, dando la scalata al cielo, miseramente perirono. Voglio che tu ora scopra il vero: solamente dall’alma hanno origine le opere lodevoli. Se l’animo langue non vale aver sangue illustre. Con il seme di Eaco e di Peleo in te non scese quel valore in cui si distinse Teseo. Quel valore dobbiamo guadagnarcelo noi, con la nostra opera, allora esso a noi s’accompagna. L’Alcide, figlio del sommo Giove, pur dovette sostenere grandi prove e in sé uccidere i mostri per potersi assidere tra gli Eroi. Non rincorrere i vani pregi e le superbe fortune, di essi può fregiarsi anche il vile. Sia pago di virtù e solo di virtù chi vagheggia la gloria. Onora il Nume che ti guarda dall’alto, non è sufficiente porre sul suo altare offerte, occorre che tu alzi nell’anima tua il primo altare. Sieda nel tuo seno Giustizia e sul tuo labro il Vero; le tue mani operino a beneficio delle genti. Eleggi la somma Virtù a tua alta rettrice. Non nasconderti mai dietro un velo d’ipocrisia, lascia trasparire dal volto il marchio del pregio scolpito nel tuo cuore. Insanguina pur le tue mani, le tue ire magnanime volgi in ardire, prode sii tu per la Grecia, ma non negare mai la pietà a colui che cade sotto i tuoi colpi invocandola. Con l’equilibrio sempre si governa l’animo. Tal cantava il Centauro. / Baci il giovin gli offriva / Con ghirlande di lauro. / E Tetide che udiva, / A la fera divina / Plaudia dalla marina.” Il materialismo imperante e devastante rifiuterà l’ode del Vate, dai saccentuzzi ritenuta pretestuosamente passatista per vizio congenito; i personaggi cui abbiamo precedentemente alluso son tutti irrimediabilmente ottusi materialisti o superbiosi e sciatti razionalisti, incapaci di sublimi intuizioni, ma capacissimi d’incolpare il bonario poeta, gentiluomo vissuto nel ‘700, e la sua ode di protofascismo.

   Ma noi distogliamo la mente dal particolarismo praticato da questi litigiosi, spregiudicati annichila-popoli e proiettiamoci verso un consapevole sentire, onde attingere alla perenne essenza della vera civiltà umana.

   Educa, l’educazione, era la dea che i Romani evocavano a presiedere e a far da guida alla gioventù romana in maturazione, onde si formasse nel modo voluto e sperimentato dalla tradizione patria e dal Mos Maiorum.

   Ma non c’è educazione se manca il sentimento della pudicizia. Corre grave pericolo una società che perde il senso del pudore ed espone i fanciulli e le giovani generazioni ai vizi, alle perversioni e lascia spazio alla sfrontata ostentazione della scostumatezza. Altro che progresso, esimi signori progressisti!

   Pudicitia, una divinità che si riteneva fosse la stessa Fortuna muliebre. In Roma le erano dedicati due templi. Era la divinità che custodiva la modestia delle donne e stornava giovinette e matrone dalla intemperanza e dalla libidine. Antichissima virtù la pudicizia dei popoli italici e latini e quindi antichissima dea, Pudicitia.

   La disavventura di Lucrezia è narrata da Tito Livio nel I libro delle sue storie ai capitoli 57 e 58. Sesto, figlio di Tarquinio il Superbo, nocturna vi, oltraggiò la pudicizia della virtuosa matrona romana moglie di Collatino. I foschi fatti sono esposti nei particolari da Livio. Noi qui ci rifaremo ai Fasti di Ovidio che nel libro II, verso la fine, racconta la morte di Lucrezia. La matrona ha riferito piangendo al padre e allo sposo i fatti con l’offesa subita. Essi tentano di portarle conforto perdonando a lei l’accaduto per la violenza altrui. Ma lei: “Quam”, dixit, “veniam vos datis, ipsa nego”. Il perdono che mi accordate io lo nego a me stessa. E con il ferro che teneva celato, senza alcuna esitazione, si trafisse il petto, cadendo coperta di sangue ai piedi del padre.

 

Tunc quoque iam moriens, ne non procumbat honeste,

respicit: haec etiam cura cadentis erat.

 

   Con questi austeri versi il Vate romano celebra la severa norma di vita cui da fanciulla si era votata la matrona romana, norma cui ella non si sottrasse ancor nell’oltraggio subito e nella morte voluta. Roma non poteva essere e rimanere oltraggiata nella sua casta persona dalla lussuria asiana. “Anche morente badò di non crollare scomposta; persino nel cadere volle attenersi a questa cura”.

   Trascorrono i secoli e una poetessa, Faustina Maratta Zappi (1679-1745), figlia del famoso pittore Carlo Maratta, celebrerà in un suo sonetto, nudo come uno stiletto, il gesto di Lucrezia:

 

Poiché narrò la mal sofferta offesa

Lucrezia al fido stuol ch’avea d’intorno,

E col suo sangue di bell’ira accesa

Lavò la non sua colpa e il proprio scorno:

 

Sorse vendetta, e nella gran contesa

Fugò i Superbi dal regal soggiorno

E il giorno, o Roma, di sì bella impresa

Fu di tua servitù l’ultimo giorno.

 

Bruto ebbe allora eccelse lodi e grate:

Ma più si denno alla feminea gonna,

Per grande opra inusitata e nuova:

 

Che il ferro acquistator di libertate

Fu la prima a snudar l’inclita donna,

Col farne in sé la memorabil prova.

 

 

   I popoli prostrati dalla servitù, umiliati, sono quei popoli che si sono lasciati andare alla dissolutezza; popoli che non possiedono una virtù reggitrice. La bella impresa di Lucrezia, che anche morente badò di non crollare scomposta, celebrata dalla poetessa romana del ‘700, volle essere, e simboleggia, il riscatto di Roma dall’asservimento ad una cultura straniera in preda alla decadenza. Le femmine scosciate sull’Altare della Patria, intenzionalmente oltraggiose sono un segno nefasto, oltre che nefando, per la incolta gente che scorrazza su e giù per questo che una volta era il bel paese.

   Stamane, qui nel campo, è fiorito tutto a un tratto il ciliegio, il candore della sua fioritura si è unito al candore dei pruni. La mano sapiente di alcuni agricoltori e l’intelligenza della natura educano bene il paesaggio della valle che spazia davanti al nostro sguardo, quell’intenso candore e il raggio vigoroso di Febo e un vento purificatore profumano la valle di pudicizia.

   Educa e Pudicitia, la virtù di Roma. Due dee per un’Europa da costruire su romani principi, la barbarie fugata.