SEVERE LUDERE

S E V E R E L U D E R E
SCHERZANDO CON SERIETÀ
Ludus… Se ci rifacessimo a tempi più arcaici forse troveremmo le voci loegdus o lugdus aventi la loro radice in loeg/leg/lug con il senso implicito del saltellare, del saltare e quindi anche quello più intenso ed estensivo dell’esultare, del tripudiare: ludere ; in numerum ludere ha il significato di danzare al ritmo del canto, bucolicis ludere versus, poetare con versi bucolici. Saltare, ed anche il vocabolo salto, derivano dal verbo latino salio, is, saltum, ire, da cui anche il verbo italiano salire. Il verbo latino salto, as, avi, atum, are ha il significato di danzare, ballare. Saltare risulta, quindi, essere un intensivo di salire come anche il salto che implica uno slanciarsi in alto e altresì l’esultare con il sostantivo esultanza. Infatti il saltellare, unitamente all’esultare, richiamano il tripudiare, il tripudium, parola composta da tri (tre) e la radice pud/pad/ped che hanno in sé il senso di andare, da cui pes, pedis (piede, passo; ma anche, piede misura di lunghezza e piede metrico, cioè il verso), in greco πούς, ποδός (piede, gamba, passo, l’andare); la radice indoeuropea pu/pud ha anche il senso di colpire, battere, quindi battere la terra col piede, col passo cadenzato: la danza pirrica dei guerrieri spartani; il tripudio - tre volte il piede batte a ritmo la terra - dei sacerdoti romani di Marte, i Salii, danza agreste e guerriera. Ancora oggi in Sardegna la danza rituale di fertilità e fecondità nella processione dei Mamuthones è una danza tripudiante.
Tra tutti gli animali l’uomo possiede un organo fisico, il piede, che gli dà la stabilità sufficiente a tenersi diritto sulla terra, a non stare prono col muso al suolo ma con il capo alto verso il cielo. Anatomicamente è un organo perfetto; si snoda dalla caviglia e la parte inferiore, detta pianta, è arcuata tra il tallone, parte posteriore detta anche calcagno, perché calca, e il metatarso collegato alle falangi, segmenti ossei delle dita. Questa conformazione ne fa un organo di sostegno, elastico, agile, infaticabile, capace di imprimere impulso allo slancio e di sostenere le artistiche danze interpretate da nativi, agili ballerini. Se soggiungiamo che nella arcaica radice pud/ped c’è il senso dell’andare e della misura che giunge sino alla scansione metrica, ‘battere il tempo’, possiamo e senza indugio reputare il piede prezioso quanto il cervello. Questa sintonia tra i due organi non dovrebbe essere trascurata ma vissuta consapevolmente dall’uomo. Questo conoscevano gli antichi e sapevano ben coltivare il gareggiare, l’esultare, il tripudiare, il divinitus ludere. Questo sanno gli arrampicatori, i provetti, rari scalatori, quando affrontano seriamente le difficoltà di pareti verticali e sotto di loro si spalancano vertiginosi precipizi e su quei precipizi sperimentano le loro danze uniche, urgenti. L’uomo d’oggi gran cervello, per carità, ma assiso, il cervello, o se preferite adagiato, sui sedili trapuntati delle sue auto, sulle sue poltrone e poltroncine (poltrona richiama poltronaggine) ma, per carità, sempre iperattivo il cervello, l’uomo odierno, che tutto fonda sulla sicurezza e la comodità, non ha una gran considerazione dei suoi piedi, li tiene in conto di vili appendici da sopportare come un incomodo o un disagio; fanno eccezione quelle donne che per sola vanità se li curano laccandosi le unghie e li ostentano a guisa d’ornamento, di erotico gingillo. Nello scrivere di tali cose non ci si dovrebbe nemmanco sprecare più di tanto, perché ovvie; ma ovvie, forse, solo ormai per noi antidiluviani, che temerariamente osiamo sottoporle al giudizio dei sopra citati ultramoderni cervelloni. Ai posteri l’ardua sentenza! Se costoro riusciranno, come vanno dicendo, a riprodursi su Marte fra trenta, quarant’anni, e quindi finalmente a generare dei veri autentici marziani al posto di quelli fantascientifici, i nostri complimenti.
L U D I M A G N I
R O M A N I
Sed iam pompa venit -- linguis animisque favete!
tempus adest plausus -- aurea pompa venit.
Prima loco fertur passis Victoria pinnis –
huc ades et meus hic fac, dea, vincat amor!
Plaudite Neptuno, nimium qui creditis undis!
Nil mihi cum pelago; me mea terra capit.
Plaude tuo Marti, miles! nos odimus arma;
pax iuvat et media pace repertus amor.
Auguribus Phoebus, Phoebe venantibus adsit!
Artifices in te verte, Minerva, manus!
Ruricolae, Cereri teneroque adsurgite Baccho!
Pollucem pugiles, Castora placet eques!
Nos tibi, blanda Venus, puerisque potentibus arcu
plaudimus…
[…]
Maxima iam vacuo praetor spectacula circo
quadriiugos aequo carcere misit equos…
[…]
evolat admissis discolor agmen equis.
Ovidio
Abbiamo con i citati versi una descrizione del corteo che, come suggerisce il Dumézil costituiva “il momento religioso della cerimonia” inaugurante i ludi Magni o ludi Romani. “Il magistrato apriva il corteo, seguito da giovani a piedi e a cavallo; venivano poi i cocchieri e i lottatori che avrebbero gareggiato; infine su un carro speciale, chiamato tensa e condotto da un puer patrimus, gli dei e, separate dagli dei se intendiamo correttamente dei testi oscuri, le loro exuuiae, cioè i loro singoli attributi. […] I giochi propriamente detti si componevano di gare di quadrigae (non di bigae, come negli arcaici Ecurria), di desultores che saltavano da un cavallo all’altro, di lottatori, di pugili; i gladiatori, di origine etrusca, […] non furono mai introdotti nei grandi giochi pubblici. […] I Ludi Magni furono fin dalle origini ciò che continuarono ad essere sempre: la più grande festa in onore di Giove O. M.” Sempre il Dumézil: “Il momento religioso della cerimonia era costituito dal corteo che, attraverso il Foro, si recava dal tempio capitolino al Circo, ove si svolgevano i giochi, e là sfilava tra gli applausi.” Per controbilanciare i Ludi Capitolini che si svolgevano nel Circo Massimo, furono poi istituiti i Ludi Plebei che si svolgevano nel Circo Flaminio. E con ciò era stabilita la concordia tra i Quiriti; “Patrizi e plebei avevano coordinato armoniosamente gli omaggi alle rispettive divinità.”
La data in cui furono istituiti i Ludi Capitolini resta avvolta nel mistero. O risalenti essi al tempo di Romolo, cioè alle origini?
Livio narra che la città fondata da Romolo ormai era giunta a grande potenza, ma per penuria di donne rischiava di non durare, “non v’era in patria speranza di prole, né avvenivano connubi con le genti vicine. Su decisione del senato il re inviò ai vicini richieste di alleanza e connubi per il nuovo popolo. La risposta fu sprezzante: perché quando fu istituito l’asilo essi non vi avevano accolto anche le donne? L’affronto fu mal sopportato, soprattutto la gioventù era vogliosa di ricorrere alla forza. “Romolo, celando le vere intenzioni, organizza appositamente ludi solenni in onore di Nettuno Equestre, chiamandoli Consuali. Annuncia lo spettacolo ai popoli vicini con mezzi grandiosi per suscitare interesse ed attesa. Infatti accorse molta gente, anche per la curiosità di vedere la nuova città. […] Venne tutta la popolazione dei Sabini, con i figli e le spose. […] Giunto il momento dello spettacolo, come predisposto scoppiò un tumulto; al segnale convenuto i giovani Romani si lanciano da ogni parte a rapire le fanciulle.” È il ratto delle Sabine, e quel che accadde poi è ben conosciuto. Narra ancora Livio di Tarquinio Prisco e di come brigò per ottenere il regno. Livio lo individua come un uomo ambizioso, ma non cattivo, che riuscì nonostante fosse uno straniero ad accattivarsi il popolo Romano. Narra della guerra ch’egli mosse contro la città di Apiole da cui riportò un ingente bottino oltre alla vittoria, per cui “istituì ludi più splendidi e più sontuosi di quelli dei precedenti re. Allora per la prima volta fu designato il luogo per il Circo che ora si chiama Massimo. […] Essi erano costituiti da gare di cavalli e di pugili, fatti venire dall’Etruria. Questi ludi solenni divennero poi annuali e furono chiamati Romani e Magni.” Altre fonti ritengono che li avrebbe celebrati per la prima volta il dittatore A. Postumio al tempo della battaglia del Lago Regillo, 496/499 a.e.v. - Qui una noticina. Perché nelle Consuali di Romolo viene solennizzato anche Nettuno? Viene solennizzato sotto il nome di Nettuno Equestre? Forse una specificazione dello stesso Conso? Nelle corse dei cavalli o dei muli o dei carri, nelle marce della cavalleria, la terra romba, si scuote, è percorsa da ebbre vibrazioni, che si diffondono tutto intorno nello spazio e salgono come un tuono dalla terra al cielo. Nulla centra il Nettuno/Poseidone.
A questi dati dobbiamo aggiungere che Tarquinio Prisco terminate le sue guerre, l’ultima contro i Prischi Latini, si dedicò alle opere di pace, “perché il popolo non fosse meno attivo in pace di quanto era stato in armi”. Tra queste, narra Livio: “prepara per le fondamenta l’area destinata al Tempio di Giove sul Campidoglio, ch’egli aveva fatto voto d’offrire durante la guerra sabina, presagendo quale sarebbe stato un giorno la grandiosità di quel luogo”. Il tempio fu realizzato poi, dopo il regno e l’assassinio di Servio Tullio, da Tarquinio il Superbo, che intendeva “lasciare il Tempio di Giove sul monte Tarpeio in memoria del suo regno e del suo nome: così avrebbe ricordato che, dei due re Tarquini, il padre l’aveva promesso in voto, il figlio l’aveva edificato”. Tarquinio il Superbo non riuscì ad inaugurare il tempio, che sarà poi, dopo la sua cacciata da Roma, inaugurato dal Console della nuova Res Publica Orazio Pulvillo il 13 settembre del 509 a.e.v., dopo una guerra vittoriosa contro gli Etruschi di Vejo.
Il primo ad organizzare in Roma ludi solenni, come abbiam visto, fu dunque Romolo e li chiamò Consualia, dal dio indigete Conso, antichissima divinità latino-italica, che solo molto più tardi sarà identificata del tutto e impropriamente con Nettuno/Poseidone; questi ludi saranno poi celebrati nel Circo Massimo il 21 agosto, giorno del ratto delle Sabine. Sappiamo da Livio che anche Tarquinio Prisco “istituì ludi più splendidi e più sontuosi di quelli dei precedenti re”. Quindi da quel che ci tramanda Livio i ludi non furono per la prima volta organizzati durante quel regno, ma solo resi più splenditi e sontuosi per l’ambizione di Tarquinio, diversivo per tener, lui straniero, sottomesso il popolo. E quelli che erano semplicemente i Ludi Romani diverranno Ludi Magni. Riteniamo noi che l’essenza intima dei ludi rimase però integra, stante il controllo del sommo sacerdozio romano, e solo vi si aggiunse un esteriore magnificenza. I Ludi Romani, poi, non son da confondere con i Ludi Castorum del dittatore Postumio, il vittorioso duce del Lago Regillo, questi solo una grandiosa rassegna militare che vedeva impegnata tutta la cavalleria romana. Condotta tale analisi, infine, non ci resta da concludere che i Ludi Romani ebbero inizio durante il regno di Romolo con il nome di Consualia e furono celebrati nella valle dove poi sorse il Circo Massimo.
Si potrebbe obiettare, se i Ludi Magni furono vincolati al culto di Giove sul Campidoglio, in che modo andrebbero a identificarsi con i Consualia di Romolo? Roma era stata fondata con rito latino da Romolo, ed il famoso solco tracciato con l’aratro, una cerimonia che sicuramente si rifaceva alle tradizioni agricolo-pastorali dei popoli laziali; poi era iniziata l’edificazione della città, insomma il seme era stato gettato. Ma la fondazione mancava di una parte necessaria, “per la penuria di donne la sua grandezza sarebbe durata una generazione sola”. Ci è stata tramandata la vicenda leggendaria del ratto delle Sabine, su consiglio a Romolo del dio Conso. Di questo antichissimo dio indigete abbiamo già scritto nell’ultima pagina del nostro sito sotto il titolo di Saturnia Arva-Saturna Regna; a questa pagina rimandiamo il gentile lettore. Nume dell’agricoltura, Consivius, era il protettore e il conservatore della sementa, consiva. Abbiamo nel precedente scritto alluso alle varie etimologie del suo nome, qui ne segnaliamo ancora un’altra di Valerio Massimo il quale sosteneva “il nome Conso è probabilmente tratto da κόις, arena, onde κονίστρα, palestra, κονίεν, correre celermente. La tradizione medesima ci fa vedere che quelle gare di cavalli e carri, ancorché povere di pompa finché i Romani non vennero nella Magna Grecia, erano però antichissime e Latine.” Da questo frammento si ricava pure che Conso presiedeva le palestre e quindi gli esercizi ginnici. Consivius, Consuvius o Consevius era anche un appellativo del dio Giano, antichissimo dio latino-italico, dio degli inizi e dei passaggi, e Conso poteva anche esserne una designatio o determinazione. Occorre anche aggiungere che ai tempi di Romolo la rupe capitolina non era ancora edificata. Infatti, Romolo vinto in battaglia il popolo di Cenina e portando con sé le spoglie del comandante nemico ucciso, come racconta Livio: “salì sul Campidoglio, ed ivi depostele ai piedi di una quercia venerata dai pastori come sacra, col dono votivo segnò i limiti per il tempio di Giove, e al nome del dio aggiunse l’epiteto di Feretrio.” Come abbiamo visto quel voto sarà poi in seguito realizzato. Questo spiega ancor più perché quei primi ludi solenni furono chiamati da Romolo Consualia.
Ma torniamo al nostro assunto. Romolo e gli altri adetti hanno fatto ormai il loro ingresso nella storia e sul piano del divenire vi è sempre da intervenire, da edificare; muoversi su tal piano, per il Vir Romano, è anche avanzare in conoscenza, è agire per un processo ascendente in armonia con la natura sacra e con le entità divine. La fondazione, allo stato, è carente di un elemento, “penuria di donne”: allegoricamente allusivo? Ma, pur se il dato fosse storico e reale, nulla cambia. Frattanto non dobbiamo trascurare un dato certo e cioè che Latini e Sabini tendevano a costituire una unità di popolo. Ma qualunque fossero state le richieste e le urgenze d’importanza etnico-storica, quella carenza andava colmata anche e soprattutto a più alto livello, quello degli interessi vitali d’una giovane nazione, che doveva assicurare a sé stessa la capacità di progettare un avvenire luminoso per il tempo della sua esistenza e per quello della sua discendenza. Nel tempo in cui veniva edificata una città, modello del cosmo, non poteva esser negletta la Natura, non potevano essere trascurate le sue leggi; il Romano doveva assicurare, legare a sé quelle segrete leggi, carpendogliele onde assimilarle, una volta raggiunta con essa Natura profonda armonia, anche alle generazioni venture; in quelle leggi segrete è infatti l’essenza della terrestre Salus, e quindi della stessa Virtus, fuor dalla quale non si è in grado di assicurare la Concordia e la Pax Deorum.
SALUS POPULI SUPREMA LEX ESTO
Questa sentenza la troviamo scritta nel De Legibus di Marco Tullio. In essa è l’essenza della sapienza Romana. E Cicerone sappiamo che era grande ammiratore di Catone il Censore il quale invitava i suoi concittadini romani a conservarsi in parsimonia, in patientia laboris periculique, ferrei prope corporis et animi. E nel suo De agri cultura sosteneva: “At ex agricolis et viri fortissimi et milites strenuissimi gignuntur, maximeque pius quaestus stabilissimusque consequitur minimeque invidiosus, minimeque male cogitantes sunt qui in eo studio occupati sunt.” E pertanto condannava coloro che si dedicavano al prestito marittimo ad alto interesse incoraggiando le attività mercantili marittime e coloro che prestavano denaro a interesse, gli usurai. I nostri antenati, scriveva, condannavano costoro ma elogiavano l’uomo buono dicendo: “bonum agricolam bonumque colonum.” Il buon coltivatore! Abbiamo visto quanto essi onorassero i boschi, in qual conto tenessero le sorgenti e le acque e come coltivassero l’idea di salute ritenendola un’arte che preparava all’azione educando la stessa mente, mens sana in corpore sano; i poteri dell’uomo e la sua arte andavano riconciliati alle leggi della natura. L’arte umana doveva misurarsi con quelle leggi. Le leggi della natura, acquisite dall’uomo, rappresentavano la sua estrema potenza; la sua estrema dannazione, se ne abusava. Soprattutto l’arte dell’agricoltura per i Romani era la scienza pratica da cui si dipartivano tutte le scienze educative romane. Sviluppava le membra e nel contempo disponeva l’animo alla morigeratezza; la mente, seguendo le leggi della natura, si disponeva a percepire le connessioni tra le cause e gli effetti e quindi a ricavarne dalla continua osservazione le salutifere radici del umano vivere.
Abbiamo appreso da Valerio Massimo che Conso presiedeva alle palestre e quindi alle gare dei cavalli e dei carri, perciò non è da escludere anche alla ginnastica che esercita e addestra la gioventù a rendere il corpo forte, sano e saldo per compiere le sue funzioni, ma anche a far sì che la mente sia attiva. La radice indoeuropea GAM che origina il vocabolo ha il senso di muovere, attivizzare. La gymnasìa è l’esercizio, la pratica; l’aggettivo derivato γυμνός, nudo senza abiti, ci offre il preciso significato di quel che può intendersi per una ben praticata ginnastica, e cioè il denudarsi per attingere all’essenza originaria, al semen suae quisque naturae. Questo il motivo per cui i primi ludi solenni furono chiamati Consualia? A noi pare di sì. E poi ci fu una progressione con il voto e poi l’inaugurazione a Giove O. M. del Campidoglio e poi ancora del tempio alla Triade Capitolina; gli originari Ludi Romani divennero i Ludi Magni e furono “vincolati al culto di Giove sul Campidoglio”, recando con Tarquinio Prisco, come sostiene Dumézil “indubbiamente un’impronta Etrusca (equi pugilesque ex Etruria maxime acciti).” Noi ribadiamo: fino a una certa epoca questa impronta straniera fu ben controllata e contenuta dal sommo sacerdozio romano. Siamo perfettamente d’accordo con il Dumézil quando afferma: “Gli stessi romani vi riconobbero delle analogie con il trionfo, spiegate forse dalla comune origine, e attribuirono al sacerdote che guidava i giochi la veste del trionfatore.” Analogia, sì, perché a trionfare nei ludi Romani Magni era la Salus, Virtus una di tutti i Quiriti, nella pace festiva di luminosi giorni. Erano giorni ginnici in cui si manifestava la nobile natura di un popolo che aveva fatto della Salute Pubblica la sua legge suprema. Una festa corale, il tripudio, durante la quale un popolo unito batteva col piede la terra, “pede quatiebat terram”, danzava facendola vibrare, stans firmo in pede. Splendore di un corpo sano, il saldo corpus civitatis augurante, alle stirpi viventi e alle generazioni venture, salute perenne. In quei giorni fatidici l'intima concordia dei Cives Medicina exercebat Universa, costanti gli animi e le menti serene, in armonia con la Natura tutta e con la felice tutela delle evocate Entità divine. Una festa, il tripudio, che aveva le sue origini lontane e la sua palestra nei campi frumentari.


NEL SOLCO INARIDITO
S T I L L A N O V E L L A
Nell’arcana vicenda
Del mondo venne
Da lontana, l’eroica
Schiera, origine…
Giunse ed edificò
Sull’ampio grembo della Terra
L’alta dimora degli Uomini.
Furono i Padri Prischi!
E la Terra celebrarono,
Di stirpi venture nutrice,
Onde di lei preziosi figli
Ne coltivassero i doni vitali.
Nei lunghi, ciclici rivolgimenti
Apparvero ancora Genti gloriose
Che luminosi giorni inaugurarono
E archi trionfali…
Rivolgimenti felici!
Ma, oggi, tedioso insiste
L’emblema di Crono,
La fluente clessidra!
Infruttuosa scorre nel vitreo
Vasello la sabbia,
Dacché frivole usanze, illusorio progresso
E vane, mirabolanti speranze
Distrussero i puri trionfi
A vantaggio d'atroci scienze.
Di truci mortali arroganza
s'impone. S'invilisce
Il seme educato dai Padri,
Aureo, ferace dono dalle origini,
Nel farne commercio d’impure semine.
Preziosa la mano
Di chi le rugiade dei mattini
Raccoglie dal giovine manto
Della divina, fulgente Aurora
E desse irrora il cinabro
D’impavido cuore!
