UA-183009551-1

F O N T U S

Fonte Bandusia
Fonte Bandusia

                                  

 

 

F O N T U S

 

 

   Nella bellissima ode, Alle fonti del Clitumno, il Carducci narra di “Giano eterno e quando/amor lo vinse di Camesena.” E così conclude la sua ode: “Egli dal cielo, autoctona virago/ella: fu letto l’Appennin fumante: /velaro i nembi il grande amplesso, e nacque l’itala gente”. Nella pagina del sito che precede questa, nello scritto “Per un novello Cantamaggio”, annotavamo: – Camesene, fu anche antico nome del Gianicolo, monte ricco di fonti, abitato un tempo dal gigante Camese padre della Ninfa e simboleggiante la semplicità e spontaneità dei primordi nell’uomo terrestro. Ma il Gianicolo è anche la sede di Giano Bifronte la divinità degli inizi incorporei, quando tale era l’Uomo, e altresì degli inizi della Natura fisica e quindi dei cicli naturali di cui egli presiede tutti i passaggi. Si narra che il Dio sposò Camesene presso le fonti del fiume Clitumno. Dalla divina unione nacque Fontus…–

   F o n t u s, padre dell’itala gente e loro primo re. Bella e gentile questa leggenda! Mito, che fa discendere i nostri padri antichi dalle… ‘acque correnti’…

   Tutto è acqua, sosteneva il grande Talete. Ed a questo punto, con poco sforzo e cum grano salis, ci si può rappresentare un’analogia, e non meramente simbolica, tra l’acqua, il sangue e la luce. Molteplici sono gli stati della materia, dai più densi ai più sottili fino a quelli impercettibili dal senso del tatto; impalpabile è la luce, impalpabile il suono. Addirittura invisibile, oltre che impalpabile è il fluido cosmico che si diffonde ovunque nello spazio. Impalpabile, invisibile, impercettibile è di per sé il pensiero. Il sole è sanguigno, la luce è il suo sangue con il quale nutre la terra; abbiam visto come dal grappolo d’uva che viene dalla terrestre vite, sgorga quel succo che si trasformerà in vino. Quella luce calda, il sangue del sole è anch’esso uno stato dell’acqua, uno stato fluido al massimo, sublimato al più alto grado di purità della materia acqua. La corrente di un fiume, quella di un rivo, d’una cascata è il sangue del fiume, del rivo, della cascata, è il moto del sole, del suo sangue-luce; il suo calore scioglie i ghiacciai, tempera le acque, gli oceani; intermediario, complice il cielo, ammassa le nuvole o le disperde, le scioglie in pioggia; fornisce al lampo, al fulmine la sua luce. Tutto è acqua.

   Dove possiamo trovare l’acqua pura, di vita, quella che non si deve contaminare, se non cercandola in noi? Dove possiamo trovare lo zampillo vivo, scoprire la sorgente inesauribile, se non nelle profondità del nostro essere? Il nostro corpo, essere fisico, la nostra anima e il nostro spirito non sono essi la manifestazione di una imprescindibile originaria sostanza, di un’unica realtà? L’acqua circola dappertutto sulla terra, giù, nel grembo oscuro della terra e su, nel cielo; è il continuo, ciclico movimento della vita; dovunque c’è flora, dovunque c’è fauna, l’acqua, acqua di vita; è anche nel flusso del sangue e nella linfa dei vasi in tutti gli organismi viventi. Ma, l’uomo è imprudente e soprattutto l’uomo d’oggi che cerca solo agi e comodità e ignora abnegazione, rinuncia, generosità. Le acque possono essere travolgenti, insidiose, corrosive; nelle acque vorticose annegano rapidamente gli egoismi, l’ostinato viene consumato dalle acque corrosive, il litigioso travolto dalle onde incollerite, l’inerte, l’ozioso imputridiscono nelle acque stagnanti e così via.

 

   Acqua, sangue: misteri?  F o n t u s, il figlio dell’amore di Giano per la ninfa Camesena, è dunque anch’esso un mistero? O è solo un mito, una leggenda? E cosa sono i miti e le leggende se non misteri? Acqua, sangue, luce, pensiero, l’armonia delle sfere… Misteri?

   Quindi unico il mistero. A tal punto, bisogna scendere o salire(?) nel cuore desso. Occorre incontrarlo il misterioso… Incontrarlo nella nostra interiorità sconosciuta, scovarlo nell’antro recondito ove zampilla e scorre l’originaria fonte (nostra speme vuol non si dissecchi). Occorre scuotersi di dosso il madido torpore e aprirsi coraggiosamente il varco, onde incontrare Fontus. Occorre esercitare la volontà, quella originaria che fu dell’avo, volere di fonte, cioè necessita e urge farsi fonte, tornare alla scaturigine prima, là dove è possibile nel semplice (simplex) ritrovare sé stessi; ritrovare sé stessi gioiosamente separati dalla illusione caleidoscopica degli effimeri ‘io’, parassiti dissoluti, dilapidatori del reale tesoro. Se volete signoreggiare voi stessi, se desiderate padroneggiare il vostro presente e il vostro divenire, trasformate il presente, il qui e ora, in verità luminosa. Volete incontrarvi con F o n t u s? Ricordate! egli è il figlio di Giano, l’iniziatore, e della casta ninfa-linfa Camesena.

 

 

F O N T I N A L I A

 

 

   Fontanalia a Fonte, quod is dies feriae eius: ab eo tum et in fontes coronas iaciunt et puteos coronant. Fontinalia è da Fontus, di cui quel giorno è festa: onde allora gettano corone nelle fonti e inghirlandano i pozzi. (Varrone, L.L.VI,22)

 

 

ALLA  FONTE  BANDUSIA

 

Fonte Bandusia, cristallina e pura,

degna del vino e d’un fiorale serto,

ti sarà dimane, la fronte

turgida di corna, un capretto offerto

prossimo agli erotici scontri.

Invano, ché algenti fiumicelli

per te s’intigeran di sangue rubro,

o prole di fecondo gregge.

Non ti sfiora, o fonte, la Canicola

torrida; tu ai buoi defatigati

dal vomere un piacevol refrigerio

rechi, ne gode pur la greggia errante.

Ormai sarai celebre, o fonte,

già l’elce canto radicata

tra le rupestri balze, onde canore

scendono giù chiare linfe alla valle.

 

ORAZIO, Odi III,13

(ns traduzione)

  

     

 

   Tu, genitor, cape sacra manu patriosque penatis;

Me bello e tanto digressum et caede recenti

Attrectare nefas, donec me flumine vivo abluero.

 

  Tu, padre, prendi nelle tue mani gli arredi sacri e i patrii penati;

A me non è lecito toccarli, reduce da tanto eccidio

E da recenti stragi, finché nell’acqua sorgiva non mi sarò lavato.

 

                                                                        VIRGILIO, Eneide II

 

  

   His dea placanda est: haec tu conversus ad ortus

Dic quater et vivo perlue rore manus.

 

   Così si deve placare la dea: di’ quattro volte

Queste parole, a oriente rivolto, e in acqua corrente lava le mani.

 

                                                                           OVIDIO, Fasti IV

 

 

   Lavacro, purificazioni, da farsi in acqua sorgiva, in acqua corrente, come concordemente indicano i versi di Virgilio e di Ovidio. Perché nell’acqua che scorre? L’acqua come la psiche umana possiede la proprietà di assorbire; così come può assorbire sostanze benefiche, non nocive, anche sostanze impure, inquinanti, venefiche. È questo il motivo per cui i due poeti suggeriscono che le purificazioni vanno fatte nell’acqua che scorre e quindi trascina via le impurità. L’acqua che ristagna si intorbida e diviene nociva, gli stagni e le paludi emettono miasmi, nutrono insetti ematofagi che trasmettono febbri malariche. Nell’uomo il ristagno della psiche provoca uno stato patologico che va sotto il nome di melanconia, una volta chiamato ‘umor nero’. Le facoltà mentali e intellettuali vengono inficiate dal ristagno del pensiero, fissazione, che provoca il pessimismo, la sfiducia, l’abulia, l’ansia, la depressione ed altre patologie ossessive. Queste patologie sono oggi molto diffuse e provocate soprattutto dal deprimente programma totalitario materialista macchinato da un oscuro potere livellatore. Alterare, imbastardire le culture, annullare le differenze nei costumi, negli usi, depauperare la natura, fare scempio delle bellezze paesaggistiche, rendere le città, grandi e piccole, caotiche, prive di bellezza, urbanisticamente degradate, invivibili, fa parte dell’infame programma: far scomparire l’Uomo, asservirlo a un disanimato meccanicismo.

   Fresche, chiare, dolci acque ed aure pure… Acqua e psiche umana.

   Non tocchi gli arredi sacri, non maneggi i patrii destini chi è reduce dal malaffare, chi è responsabile dell’incuria in cui versano i destini della patria, i suoi costumi, chi è complice del sovvertimento di essi, chi irresponsabilmente dà il cattivo esempio e mal governa la gioventù, costringendola all’espatrio o a girellare senza scopo. Non maneggi i patrii destini chi dilapida la propria nazione e baratta il suo retaggio asservendosi agli interessi di potenze straniere che cinicamente esercitano la loro supremazia.

   Sappia che ogni fanatismo, in qualunque direzione vada, è solo idolatria. Sappia che se ha da rivolgersi ai Superi deve pronunciar parole sincere e nette; sappia che prima deve lavare le sue mani in acqua corrente o di sorgiva, deve esser privo di macchie.

Queste cose non ce le siamo inventate noi, le leggiamo nei nostri classici e abbiamo il dovere di ascoltare la loro parola e di apprendere da quegli esempi, disgustati dai vostri meschini comportamenti, dalla vostra volgare iattanza.

   Nell’anno 1866, addì 31 di gennaio, si compiva il Risorgimento, il direttore de La Nuova Antologia prof. Francesco Protonotari scriveva: “In Italia nulla è forse più funesto della volgarità, e nulla più profittevole de’ pensieri elevati, allontanando i quali ogni cosa rovina troppo facilmente nella bassezza delle cupidità materiali e del passionato egoismo”. L’Italia, o voi padr(onc)ini del vaporetto, da tempo già avete allontanato con le sue menti migliori  dai pensieri elevati, tutto precipitando nella funesta volgarità; ne avete fatto la palestra del vostro passionato egoismo e del sollazzo degli arrovesciati d’ogni risma, senza curarvi che ogni cosa rovina ormai – quale incredibile misfatto! – nella bassezza delle cupidità materiali.

   Nei versi virgiliani sopra riportati Enea affida al nobile padre Anchise, perché li prenda in custodia, i patrii Penati; lui ritiene di non poterli toccare, reduce da tanto eccidio e da recenti stragi, finché non si sarà lavato nell’acqua di sorgiva. Il pio eroe intende purificare sé stesso dai condizionamenti della fatalità, dalle conseguenze subite in dipendenza di avvenimenti fatali imprevedibili che han causato stragi e rovine, dal torbido, tumultuoso, inquietante psichismo che conturba chi si è trovato, coinvolto nell’evento bellico, ad affrontare eccidi e rovine. Ed Enea aveva combattuto per la propria patria con assoluta fedeltà, e della patria distrutta, aveva salvato gli arredi sacri ed i patrii Penati. Né i vostri nonni, né i vostri padri, né voi per essi avete mai compiuto tali atti. Restano torbide, impure, avvelenate le acque. Riflettete, se riusciste a farlo, sarebbe la salvezza della patria e di voi stessi! E i morti di tutte le fazioni riposerebbero in pace, nel momento in cui una Sacra Concordia si affermasse su queste nostre terre. Ma ciò pare lontano dal potersi realizzare, perché voi siete portati dal fanatismo; incondizionatamente voi credete alla vostra fede come fosse quella giusta e la sola, unica da seguire, siete intolleranti da sempre, fanatici ammiratori entusiasti del vostro ‘io’ servile; son millesettecento anni all’incirca! Non va bene, vi accontentate dei ristagni, anzi delle pozzanghere; sarete così sempre misere, inadeguate comparse pur negli eventi fatali. Il buon viandante, assetato, cerca la fonte d’acqua fresca e pura che gli porti via dall’animo la stanchezza e gli ristori le membra; il lestofante in fuga s’accontenta di sugger l’acqua al primo stagno.

   Abbiamo appurato che da  F o n t u s, la nostra originaria fonte, proveniamo, perciò di  F o n t u s, della nostra avita fonte, da buoni patrioti dobbiamo nutrirci, il nostro divenire deve pur sgorgare sempre da quella sorgiva e il futuro dei figli e delle generazioni venture dovrà pur godere di quell’acqua; a chi è  qui e ora  tocca farsi  F o n t u s  per trasformare questo presente in un tempo presago di sorti dignitose per la nostra Italia. Maturiamo nella nostra interiorità la sicura consapevolezza dell’italicità, nel nostro cuore e nella nostra mente rifiorisca l’idea di Roma e scaturisca fuori dall’animo per illuminarci la via. Non sia retorica, ma atto. Non superstizione, ma realizzazione. Realizziamo Roma, la fonte prima, dentro di noi.

   Purifichiamo la nostra psiche dalla tirannica modernità, modernità asiana, mediorientale, contro cui combatterono vittoriosamente per secoli i padri Romani; ancora quello spettro, nutrito dall’oste nemica, ci troviamo di fronte; nel nostro intimo si confermi l’augure romano, si respinga l’inganno aruspicino. Psiche pulita.

   I Fontinalia erano nell’antica Roma una festa pubblica e ce li ricorda l’ode di Orazio che abbiamo riportato. La festa era in ricordo di Fons o Fontus, figlio di Giano e Camesena, “divinizzato e onorato con un’ara sul Gianicolo” e tra i primi re del Lazio.

   Lavarsi le mani, gettar fiori nelle fonti, porre ghirlande sui pozzi e rimaner interiormente inerti, spuri, amorfi, impuri, non vale. Purificare le acque occorre. Psiche pulita, per raggiungere attraverso l’acqua lustrale, l’acqua di vita che zampilla nella interiorità profonda, affinché ne sgorghi l’elemento sublimante di natura spirituale, e in noi si espanda l’immagine trionfale del perpetuo rinnovamento della vita e del mondo nella Aeternitas Romae.

   Con questo intento rievocativo abbiamo voluto trattare la festa di  Fontus  per rapportarla ai nostri giorni. Qui non ci resta, in conclusione, che invocare il canto delle Casmene, le antiche ninfe italiche delle fonti, dal bel nome latino che viene appunto dal loro canto, la modulata voce delle fonti. Canere, latino antico CASN-ére; sanscrito ÇAN’S-a, preghiera, inno; poi latino CASMEN, canto, connesso al sanscrito ÇAS-MAN, canto; la radice indoeuropea è KAS/CAS, celebrare, da cui il latino Casmena/Camena, dea del canto e poi Carmenta per Casmenta, la dea dei vaticini. In seguito esse saranno anche le Muse per i Romani.

   Ed ora che sappiamo che son del tutto nostrane, ascoltiamone nel silenzio il canto ed il propizio per noi vaticinio.