IL DIO DEI VENTI

IL DIO DEI VENTI
VOLTURNALIA
Ventorumque regat pater
Obstrictis aliis praeter Iapyga,
navis…
Orazio (Odi L.I-3)
…. Ego quid sit ater
Hadriae novi sinus et quid albus
Peccet Iapyx.
Orazio (Odi L.III-27)
Incipit ex illo monti Apulia notos
Ostentare mihi, quos torret Atabulus…
Orazio (Sat.L.I-5)
Nei versi oraziani in epigrafe si accenna al vento Volturno o Iapigio o Atabulo come lo definivano i Romani, oggi ha il nome di Scirocco. Si accenna, nelle tre strofe, a tre peculiarità del Volturno: col governo di un buon nocchiero può essere propizio alla navigazione; può manifestarsi ingannevole, peccet Iapyx; brucia, torret Atabulus.
IL VENTO DEL SUD-EST
Il 27 agosto ricorreva a Roma la festa dei Volturnalia, l’ultima festa d’agosto e l’ultima prima dell’equinozio d’autunno. Il Dumézil ha definitivamente chiarito che il Volturno non ha nulla a che vedere con l’omonimo fiume campano, né v’è alcun collegamento tra esso e il Tevere, né col nome etrusco Velthurna. “L’etimologia del nome, infine, è incerta. Non si prende più in considerazione né la derivazione che parte dalla radice di volvere, né quella che parte dal nome dell’uccello avvoltoio.” Una onomatopea, una imitazione del rumore naturale del vento, tradotta in lettere? Oppure occorre rifarsi ad un intensivo del verbo volvere, cioè al verbo volutare, in italiano “voltare”, che accenna, più che ad un movimento circolare, ad un moto deciso di cambio di direzione o anche di passaggio da uno stato ad un altro, come quando si dice ‘le nuvole si convertono in pioggia’? Nel nostro caso, e sempre a nostro parere, le due ipotetiche esplicazioni potrebbero anche coincidere.
Aulo Gellio, nelle sue Notti Attiche, racconta che durante una cena, cui era presente l’eruditissimo filosofo Favorino, si leggeva un carme latino nel quale era citato il ‘vento Iapigio’. I commensali chiesero all’ospite di istruirli su qual vento fosse, da qual parte spirasse e quale l’etimologia del termine inusuale; gli chiesero anche i nomi e le posizioni degli altri venti.
Favorino descrisse il cielo ripartito in quattro regioni: exortum, occasum, meridiem, septentriones. Exortus et occasus mobilia et varia sunt, meridies septentrionesque statu perpetuo stant et manent. Oritur enim sol non indidem semper, per il volgere degli equinozi e dei solstizi. Item cadit sol non in eundem semper locum, perché anche l’occidente può essere equinoziale, solstiziale e brumale. Si dice Euro il vento equinoziale che spira dall’oriente in primavera (apheliotes in greco, di levante, perché soffia dall’aurora). Aquilone il vento che spira dalla regione in cui l’oriente si trova al solstizio estivo, Borea, chiamato così dai Greci perché soffia violento e rumoroso.
Tertius ventus, qui ab oriente hiberno spirat - ‘volturnum’ Romani vocant -, mentre i Greci con una parola composita, eurónotos, perché spira fra euro e noto. Vi sono dunque tre venti orientali: ‘aquilo’, ‘volturnus’, ‘eurus’, euro sta tra i due. A questi, opposti e contrari, sono i tre venti occidentali: ‘caurus’, che spira all’opposto dell’aquilone e contro il volturno; ‘favonius’, zefiro per i Greci, spira all’opposto e contro euro; il terzo ‘africus’, che per i Greci è λίψ (acqua, liquido; λίψ al maschile è il libeccio) spira all’opposto di volturno e contro l’aquilone. Queste due regioni del cielo, opposte fra di loro, oriente e occidente, comprendono così sei venti. Il mezzogiorno, avendo una posizione fissa ed invariabile, ha un solo vento meridionale, detto dai Latini ‘austro’ e dai Greci ‘noto’, perché porta nubi e umidità. Anche il settentrione ha un solo vento, chiamato ‘settentrionale’ dai Latini, e opposto direttamente all’austro, oggi ostro. Dunque, otto venti che soffiano secondo il corso del sole.
Del discorso di Favorino quel che a noi più interessa è il riferimento al terzo vento, quel vento che viene dal punto in cui il sole si alza al solstizio d’inverno, ed è appunto il nostro Volturnus.
Il culto di Volturnus ha la sua arcaicità. Leggiamo il nostro autore, Varrone: “Eundem Pompilium ait (Ennio) fecisse flamines, qui cum omnes sunt a singulis deis cognominati, in quibusdam apparent etyma, ut cur sit Martialis et Quirinalis; sunt in quibus flaminum cognominibus latent origines, ut in is qui sunt versibus plerique:
Volturnalem, Palatualem, Furinalem
Floralemque Falacrem et Pomonalem fecit
Hic idem,
quae obscura sunt; eorum origo Volturnus, diva
Palatua, Furrina, Flora, Falacer pater, Pomona.”
Questo tramanda Varrone sulla testimonianza del poeta Ennio. Due i riferimenti che orientano e su cui si concentra la nostra attenzione. La venuta del vento Volturnus dal punto in cui il sole si alza al solstizio d’inverno e la istituzione del flamine Volturnale da parte del re Numa Pompilio.
Il vento, che viene dal punto in cui il sole si alza al solstizio d’inverno, riceve un culto con l’attribuzione di un flamine, a cui viene, quindi, riconosciuta una natura divina, non è certo un vento solito, ma un vento che deve avere un particolare valore e non solo sul piano della meteorologia. D'altronde, a dire di Ennio, Volturno già da tempo era considerato un dio e certamente un tal culto non poteva che essere riservato ad una potenza numinosa e l’attribuzione di un flamine ne è la conferma. Ricordiamo che i Romani non erano degli idolatri e dei superstiziosi come lo sono viceversa la maggioranza degli uomini, i dotti e gli scienziati d’oggi.
Vi ricordate l’otre di Eolo, ove erano racchiusi tutti i venti? Ebbene, ciò significa che in quel otre dimorava, in effetti, un unico vento. Non fa una grinza. Voi ci chiederete adesso, allora come mai ci son tanti venti? Ne abbiamo conosciuti otto a dire di Favorino, il quale dice che vi sono anche coloro che ne inseriscono altri quattro, due verso mezzogiorno e due verso settentrione, e così arrivano a dodici; e poi altri nomi che possono esser ritenuti di venti speciali. Alla vostra domanda rispondiamo semplicemente che tutti questi venti soffiano secondo il corso del sole. Ciò significa che quell’unico si divide su varie direzioni, che sono appunto quelle fissate sulla ‘rosa dei venti’, in relazione ai punti cardinali. La vita sulla Terra richiede anche questo per il mantenimento dell’equilibrio nella sua manifestazione.
Nel primo frammento dell’ode di Orazio riportato in epigrafe, il Vate romano augura alla nave che porta Virgilio in Attica un buon viaggio di andata e incolume ritorno (reddas incolumem precor) sotto il governo dell’artefice dei venti, ventorum pater, con il propizio Iapyga, rinchiusi tutti gli altri venti, obstrictis aliis. Orazio nomina col nome Iapyx, uno dei nomi romani del Volturno, sia il vento della buona navigazione in andata, certamente il maestrale, vento di nord-ovest fresco e secco, ma anche il vento di ritorno, oggi scirocco, ai tempi di Orazio Volturno o Iapyx, vento da sud-est che si arricchisce di umido attraversando il mediterraneo; vento caldo che consente rapida navigazione; vento, il Volturno, che nel secondo frammento riportato in epigrafe Orazio definirà ‘ingannevole’, e nel terzo ‘torrido’. Il Volturno, vento misterioso! A tal punto rifacciamoci alla etimologia da noi supposta e derivata dal verbo latino volutare (intensivo di volvere); volutare include il senso di un moto deciso di cambio di direzione, di passaggio anche repentino da uno stato ad un altro, una inversione, una virata. Ecco perché Orazio non si preoccupa delle specificità di quel vento, ma si rivolge all’artefice dei venti, al nume del vento, che velatamente chiama Iapyga. E noi ormai sappiamo che quel nume corrisponde al re dei venti, per gli antichi Romani Volturnus.
La festa! La festa di Volturnus, i Volturnalia, apparentemente è la festa dello specifico, determinato vento detto Iapigio, il nostro scirocco, vento caldo, a volte torrido, a volte denso di umidità marina, sabbioso, sgradevole anche per la salute fisica. Columella, riportato da Dumézil, racconta: “M. Columella, mio zio paterno, uomo molto colto, agricoltore attentissimo della Betica, all’inizio della Canicola riparava le sue viti con stuoie di palma, poiché generalmente, durante questo periodo, alcune parti di quella regione sono talmente devastate da Euro, che gli abitanti chiamano Volturno, che se non fossero coperte, le viti verrebbero bruciate come da un alito di fuoco.” Questo racconta Columella e Dumézil aggiunge: “In ogni varietà del clima mediterraneo, raffiche quali quelle scatenate da Volturno sono fatali non solo all’uva, ma alla mela come alla pera, alla cotogna come alla melagrana. I Volturnalia avevano quindi il compito di prevenire il danneggiamento di tutti questi prodotti.” Questo vento, or ora descritto, più che un dio ci appare come un demone, infatti pare venisse anche rappresentato in tempi andati come un drago che distruggeva tutto nei campi con il suo alito rovente; volete che a questo demone il buon Numa affidasse un flamine? Volete che si affidasse a un tal soggetto l’Abbondanza, felicemente raccolta e tra l’altro già immagazzinata? Allora? Resta la protezione delle viti, ma abbiamo visto come la genuinità contadina dello zio di Columella operasse per proteggerle e senza superstizione alcuna. E allora? Se Volturnus, come abbiamo visto, è il re dei venti, un nume al cui servizio è consacrato un flamine e l’altro il Volturno devastatore è un demone dall’alito appestante, qui davvero ci troviamo di fronte a un grande enigma. Come risolverlo? Con romana austera semplicità. Abbiamo visto, esaminando la storia dei Volturnalia, come ci si era insinuata la malizia asiano-etrusca, con le sue ambigue etimologie, con le sue paurose immaginazioni, con le sue idolatrie affascinanti le anime volgari. Detto questo, veniamo ai nostri Volturnalia.
Il buon agricoltore, quando ci riferiamo agli agricoltori di quei tempi, intendiamo oltre che un coltivatore dei campi anche un coltivatore di sé stesso, era un Vir che sapeva provvedere con mezzi pratici alla salute e alla protezione dei suoi campi, senza trascurare la pietas giustamente dovuta alle entità divine che tutelavano le operazioni campestri. I Volturnalia certo erano indirizzati anche a questo, indirizzati a proteggere i frutti della stagione e quindi a proteggere l’aurea abbondanza di cui abbiamo già scritto. È la fine della Canicola, un ciclo si chiude. Interviene il dio dei venti, quello che governa la buona navigazione nel viaggio di andata e in quello di ritorno, con destra virata. È la chiusura, occorre apporre un sigillo sicuro. La somma di energia accumulata deve essere racchiusa nell’aureo scrigno. Occorre quel sigillo, il soffio puro, salutare, dell’artefice dei venti. Il sole sta per calare sempre più giù, la sua luce si allontana dalla Terra e così il suo calore, occorre proteggere la vite, trattenere quel calore quel fuoco, occorre che la vendemmia sia felice, favorita dal dio. E all’uomo cosa apporta Volturno? Il soffio dolce, purificante i fluidi sottili, dopo la torbida Canicola, dopo l’arido scirocco. E non è poco purificarsi dallo svigorimento con l’aiuto di un dio, sottrarsi al soffocamento, a un turpe exanimari; ed ecco giunge l’intervento del flamen Volturnalis che officia pro Salute Populi, per l’Urbe, per l’Orbe.
Si appressa l’autunno, gli dei tutti si risvegliano e più sveglio di tutti, qui sulla Terra, deve stare l’uomo. Rianimata dal divino soffio purificatore, liberata la mente dall’oppressione dei pensieri parassiti, affrancata l’anima dall’io volgare e meschino, ora il Civis deve adoperarsi nelle funzioni e negli offici richiesti dal Mos Maiorum, deve donare sé stesso alla Patria, sacrificare ogni egoistica ambizione e materiale pretesa affinché s’accresca la sua consapevolezza, il suo animus, la sua interiorità e, unitamente, la consapevolezza della Civitas intera.
E gli avvoltoi? I vultures? Sono gli uccelli di Volturnus, che da lui presero il nome? Certo, da lui han preso il nome. Ed ora che giunge anche da quelle grandi ali un soffio liberatore, profittate, lanciate in pasto a quei rostri voraci, amici e non, i vostri cupi pensieri, i vostri boriosi ‘io’, le vostre inutili ambizioni, le vostre passioni, la vostra collera, la magnificazione del voi stessi, e anche i vostri cuori, se in essi alligna la malevola arida discordia!
Così il SALUBRE SOFFIO, lo S P I R O possente del Re dei venti, libererà il cielo dalle torve nuvole, preparerà per le anime audaci
IL VOLO DELL’ A Q U I L A

XXVIII A U G U S T U S
dies Solis
Compiute le opere estive e i culti
Purificata l’aura dal divino Spiro
Il Civis Romanus può accedere all’area sacra
Può accostarsi all’Ara
E celebrare la Vittoria
