il Vinitor e la Dea Meditrina

IL V I N I T O R
E
LA D E A M E D I T R I N A
Nunc est bibendun, nunc pede libero
pulsanda tellus…
(Orazio, I, 37)
Euhoè! Ancor trepida la mia mente
di paura, ma ormai s’allieta,
Libero è nel mio petto, euhoè! Parce,
dio dal terribile tirso…
(Orazio,II, 19)
Questi versi di Orazio, latine letti (lontani quei tempi!), ci trasmettono il sentimento, o meglio lo stato d’animo o l’animi motus con cui i Romani si avvicinavano al “vino” e alla divinità di Libero, l’antico dio agreste patrono della viticultura. “È tempo di battere il suolo con piede sciolto…”, esorta il poeta gli amici, “Ora beviamo!” La mente piena di apprensione e d’inquietudine s’allieta – Euhoè! – nell’ istante che il dio, l’antico Loebesius entra nei petti preparati ad accoglierlo. Parce, parce, abbi tu cura, Liber! Lubentes, cioè ben disposti, volonterosi, vogliamo! Vogliamo liberarci dalle restrizioni che imponiamo a noi stessi, che ci vengono imposte da coloro, che profittando delle nostre debolezze, vogliono assoggettarci al loro dispotismo! Vogliamo ritrovare la nostra interiore libertà, vogliamo liberarci del tossico che ci costringono a tracannare! Vogliamo scansare la illiberale viziosità che quotidianamente ci propinano! Non siamo viziosi, non ci ubriachiamo nelle infami liquorerie del materialismo nichilista. Non ci lasciamo sorprendere dal Disgregatore, il deprecato! Libamus, libamus tibi, Liber ! “Libero che i nostri antenati venerarono con solennità e devozione accanto a Cerere e a Libera. È nostra consuetudine chiamare liberi i figli nati da noi.” Così si esprimeva Cicerone, nel suo De Natura Deorum. Ricordiamo anche che durante i Liberalia, il 17 marzo, veniva assegnata la toga virilis ai liberi divenuti adulti. Per essere liberi, sincere et graviter, occorre aver maturato il senno, esser pienamente consapevoli. Allora sì, liberi e graditi al Pater Liber.
Sacrima è l’offerta di primizie, precisamente del mosto, a Pater Liber, l’antico dio agreste della fecondità e della viticultura, spesso invocato con Cerere e Libera. Senza Libero e Libera, senza Cerere mancherebbero il pane e il vino; non si raccoglierebbero le messi, non si vendemmierebbe. Il grano, lo matura il Sole; i grappoli d’uva maturano nel Sole, entrambi dal grembo della Terra. Intermediario il Cielo con le vicende della sua azione, protagonista l’Uomo, ponte tra Cielo e Terra, cultore dei campi, agricola, vineae cultor.
Il mosto: fuoco, aria, acqua, dal cielo, matrice la terra; poi, il vino, soprattutto fuoco, liquido ardente. Il raggio solare che scaldò la terra. Bevanda vitale, se assunta sobriamente, parce. Ma non si scherza con il fuoco. In vino veritas, se pede libero pulsanda tellus…e cioè se sei sciolto e padrone del ritmo… altrimenti ti desertifichi, ti sgretoli…come dune di sabbia… la “grande bestia” arde.
Ma chi è saggio non teme e sa che il vino porta anche benessere, giovevole buonumore, e può stimolare il tuo demone a suggerirti buoni consigli; ma non devi mai abusarne se non vuoi far del tuo demone un burlone o addirittura uno sventato e di te uno sventurato. Qui non staremo ad elencare i diversi significati del vino; tutti sanno che il vino simboleggia il sangue e nel Graal il Sangue Reale; e qui ci fermiamo.
Octobri mense Meditrinalia dies, dictus a medendo, quod Flaccus flamen Martialis dicebat hoc die solitum vinum novum ut vetus libari et degustari medicamenti causa; quod facere solent etiam nunc multi, quom dicant: novum vetus vinum bibo, novo veteri vino morbo medeor. In ottobre ricorrono le Meditrinalia, dette così dal medicare; perché in questo giorno a dire di Flacco flamine Marziale, si usava libare ed assaggiare il vino nuovo, chiamandolo vecchio e considerandolo una medicina. Molti sogliono farlo anche adesso dicendo certe parole che suonano così: Vin nuovo vecchio bevo; curo con tale / Vin nuovo vecchio il male. In realtà in tal giorno dell’anno, 11 di ottobre, il vino nuovo non è pronto da bere, ma pronto è il mosto, cioè il succo ottenuto dalla pigiatura dell’uva che poi fermentando si trasformerà in vino. Anche del mosto non si può fare abuso, perché eccessivamente, troppo eccessivamente il suo abuso scioglie; esso va degustato, solamente assaggiato in dose minima, oggi diremmo omeopatica, per ottenerne beneficio e secondo la formula sopra trascritta.
Meditrina, una antica dea? Certamente un’antica dea dimenticata, un’antica dea della medicina o d’una virtù medicale, meglio, forse, una dea del rimedio, della guarigione. Ma trascriviamo qui quel che ne dice il Dumézil: “Meditrina, etimologicamente, è dunque ‘il luogo dove l’uomo applica al mosto il suo medicamen specifico’, dove in particolar modo il vecchio si fonda nel nuovo, esattamente dove il vetus vinum comunica la propria salute al novum vinum.” Tal felice mescolanza è quel medicamento che, assaggiato in minima dose, ha anche il potere di sanar l’organismo umano. Potere dato dall’irradiazione solare, Pater Liber; intermediario il Cielo, protagonista l’Uomo, ponte tra il Cielo e la matrice Terra, Libera; l’Uomo cultore dei campi, agricola, vineae cultor.
Mos erat latinis populis, quo die quis primum gustaret mustum, dicere ominis gratia: “Vetus novum vinum bibo, veteri novo morbo medeor”. A quibus verbis etiam Meditrinae deae nomen conceptum eiusque sacra Meditrinalia.
Magia della Natura, magia dell’Uomo nel tempo degli Dei.
