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mundus patet

                                       

 

 

M U N D U S   P A T E T

 

 

   Fossa fit ad solidum, fruges iaciuntur in ima

Et de vicino terra petita solo.

Fossa repletur humo, plenaeque imponitur ara,

et novus accenso fungitur igne focus.

                                                             OVIDIO

 

   È questa la descrizione della fossa scavata da Romolo al momento della fondazione della città, che riportiamo anche secondo narrato da Plutarco: “…venne scavata una fossa circolare intorno all’attuale Comizio, nella quale furono deposte offerte votive di tutto ciò che è buono dal punto di vista delle consuetudini e necessarie secondo natura. Infine ogni abitante portò una piccola porzione della propria terra d’origine e la gettò nella fossa, mescolandola, insieme con le altre. Chiamano questa fossa con lo stesso nome con cui indicano il cielo: mundus.” La detta fossa come accenna Ovidio fu chiusa per sempre e questo è anche il parere del Dumézil il quale aggiunge: “D’altro lato, una fossa (o varie fosse?) che dava accesso al mondo sotterraneo. La fossa principale, forse la sola, era – dice Festo – ciò che viene chiamato Cereris mundus.”  Era questo il mundus che si apriva solo tre volte all’anno e non era sul Palatino ma situato nel foro e rotondo. Festo, ancora citato dal Dumézil, così riporta: “Catone nei Commentari sul diritto civile spiega questo nome nel modo seguente: il mundus deve il suo nome al mundus (volta del cielo) che sta al di sopra di noi; infatti, come ho potuto sapere da coloro che vi sono entrati, esso ha una forma simile a quella dell’altro mundus. I nostri antenati decisero che la sua parte inferiore, consacrata per così dire agli dei Mani, dovesse restare sempre chiusa, tranne che nei giorni già indicati. Quei giorni furono considerati religiosi per la seguente ragione: i nostri antenati vollero che non si compisse alcun atto ufficiale nel momento in cui i segreti della religione degli dei Mani erano per così dire portati alla luce e rivelati. In quei giorni, dunque, essi non attaccavano battaglia con i nemici, non mobilitavano truppe, non tenevano comizi, non si dedicavano ad alcuna attività ufficiale, se non in caso di estrema necessità.” Il Dumézil sostiene che “La nozione di mundus è una delle più controverse della religione romana. Gli autori antichi sembrano infatti aver mescolato varie tradizioni, confuso vari riti e vari luoghi, e i moderni hanno aggravato l’oscurità con le loro scelte arbitrarie o le loro estrapolazioni.” Molti tutt’oggi, procedendo da superstizioni tuscaniche o derivanti dalla latria dominante, il che fa lo stesso, credono che da quel mundus aperto uscissero a spasso per la città le anime dei morti. Ma che non si trattasse di tal stravaganza lo dice il latino del testo or ora letto di Festo: quo tempore ea quae occultae et abditae (nascoste allo sguardo) religionis deorum Manium essent, ueluti in lucem quandam adducerentur et patefierent (erano portate alla luce e rivelate). C’è poi un frammento di Varrone conservato da Macrobio che non si differenzia nel senso: mundus cum patet, deorum tristium (inesorabili, da pregare con insistenza) et inferum quasi ianua patet. Anche questa frase, però, dice il Dumézil: “…neppur essa indica ciò che accada, si compia, o si mostri, dietro quella porta così esigua.” Le spiegazioni di Macrobio, poi, sono poste, sempre a parere del Dumézil, “in termini grecizzanti” e noi, pienamente concordando, non ne terremo conto. Continua il Dumézil: “Non è possibile ricostruire ciò che i nostri informatori non comprendevano più; essi ne parlarono, inoltre, ben poco. L’etimologia non soccorre: la parola mundus non è spiegata alla luce dell’indoeuropeo.” 

   Anche noi ne parleremo poco.

   Il vocabolo mundus come sostantivo ha il significato di volta celeste, universo, mondo, ornamento, corredo; come aggettivo qualifica tutto ciò che è netto, pulito, ma anche elegante, raffinato. Sugli sviluppi semantici e sulla varietà dei lessemi, come sulla stessa etimologia non c’è accordo tra i linguisti. Non ci impegoleremo in questi contrasti, solo alcune osservazioni necessarie. Varrone in un primo frammento spiega così: mundus muliebris dictus a mundizia (lindura), cioè quel che è oggetto di toiletta femminile (mundus) deriva da lindore, pulizia (mundizia). Qui noi aggiungiamo che riferendo al lindore e all’ornamento la femminilità è sottinteso il mondo naturale, la Natura. In un altro frammento Varrone così riporta: et a motu eorum qui toto caelo coniunctus, mundus, cioè dal moto di quei pianeti che è congiunto con tutto il cielo, denominarono il mondo. Da questa paraetimologia di Varrone, il teologo e studioso cristiano, santificato, Isidoro di Siviglia nelle sue Etymologiae, rifacendosi allo scrittore romano fa derivare mundus da movere e ancora grecizzando lo accosta a κόσμος, ornamento, presupponendo un calco semantico di κόσμος e universo. Certamente l’autore cristiano preferiva tale soluzione per l’avversità alla Natura della sua inclinazione religiosa. Noi siamo propensi a rifarci per mundus al tema mand (anche mind) con il senso di “ornare”, quindi “ordinare”, come si trova espresso in molte lingue indoeuropee compreso il sanscrito. Nel sanscrito lo si trova nel senso anche di cerchio, soprattutto nel vocabolo mandala. I mandala sono diagrammi simbolici composti di circoli e quadrati concentrici rappresentanti l’universo e sovente costituenti una rappresentazione grafica o pianta di templi: universo – tempio. Non è nemmeno da trascurare il sintagma latino locus mundus, luogo chiaro, luminoso, manifesto, ordinato, da cui mundus usato nel senso di cielo, universo, dal poeta arcaico latino Ennio ed altri. Se, infine, nel vocare è comparso prima il qualificativo e poi il sostantivo o viceversa di questo s’interessino i linguisti e lasciamo il caso ai loro pareri. A noi preme sgombrare il campo dalle oscurità, confusioni, imbrogli, sovrapposizioni, soperchierie dovute alle impurità etniche e nel caso specifico etnico – linguistiche. Vogliamo mundus, il nostro  m u n d u s . E ancora, con Ovidio, munda sed e medio consuetaque verba. Se scaviamo nel sottosuolo, per ricavarne un pozzo, una cisterna, una grotta, e toccherà poi a noi mettere a posto, pulire e riordinare, il luogo ci apparirà, se vi penetra la luce, nei suoi contorni, netto, pulito, certamente disabitato, silente, e se spengiamo la luce, nel caso l’avessimo accesa noi, una torcia, una candela o altro, ci ritroveremmo nel buio, nel buio “naturale” dei sottosuoli; nulla di extranormale, né spiritico. Abbiamo visitato grotte immerse nella puritia, anzi belle di colori, di favolose figure, di stalattiti, di stalagmiti. Ne abbiamo ascoltato il silenzio: della pietra, dei minerali, delle recondite vene, delle energie, delle potenze viventi laggiù; abbiamo ascoltato il silenzio di quella natura segreta, piena di riserbo, vigorosa, radicata nel suo dominio. Il mondo di sotto, infer, e, omnia supera infera, tutte le cose che stanno in alto stanno in basso; la differenza è nella densità, e di sotto v’è assenza di luce perché vi si addensa tamas (sanscrito tam-â, la notte), la tenebra.  Ma veniamo al nostro dunque.    

   Plinio il Vecchio dice dell’universo: quem κόσμον Graeci nomine ornamenti appelavere, nos eum a perfecta absolutaque elegantia mundum, precisando così semanticamente il pregio di una elevatezza universa perché compiuta. Di questa compiutezza, cioè ordine e perfezione, dobbiamo tener conto nel seguito del nostro esame dell’apertura del Mundus. Dal passo di Festo che cita Catone, sopra riportato, sappiamo che il mundus deve il suo nome al mundus (volta del cielo) che sta al di sopra di noi… esso ha una forma simile a quella dell’altro mundus                  

 Il disegno che vedete rappresenta l’Orbe. Orbis, is, m., in latino significa precisamente cerchio, giro, circolo, ruota e per estensione sfera, globo e in seguito anche mondo, terra, precisamente orbis terrarum; Plinio denomina così anche una specie di pesce. Orbita, ae, f., carreggiata, traccia di una ruota, il vocabolo deriva da orbis; per estensione, in astronomia, il cammino che fa un pianeta, orbita lunae; in anatomia, il vocabolo ereditato dal volgare italiano indica la cavità circolare nella quale è situato l’occhio.

   Ritorniamo al disegno; al centro, là dove è fissato il punto, l’umbilicus, passa l’ a x i s . Se immaginate che quel cerchio ruoti, l’asse però è sempre fisso. In quel punto potete ora figurarvi anche un operatore, l’Uomo Solare, Romolo, se volete, un Rex Pontifex, il Fundator Urbis, un quadrato nel vasto cerchio, l’Urbs Romae. Urbs, sonorità indoeuropea che evoca Vardh, Vordh, Vorbs, Uorbs, Urbs, ciò che si eleva verso l’alto e ha le fondamenta nel profondo, una aedificatio che può raggiungere l’Augustalitas.

   Al centro l’Urbs Sacra, l’Uomo Solare in relazione sia con ciò che sta sotto la terra che con ciò che sta sopra, il cielo, con la dimora degli dei superi e con la dimora degli dei inferi, in armonia con le potenze della natura, e una intera Civitas unita e in rapporto con il mondo divino tutto. L’Uomo, il Vir, conscio che ciò che è in alto si collega a ciò che è in basso e che di questo legame è pienamente consapevole, capace di sostenere sempre l’equilibrio tra mondo superiore e mondo inferiore, altrimenti l’incontro è con sciagure, disastri, sconfitte. Moderato, saggio, giusto, attivo sul piano degli spazi terrestri, egli ha cura dei suoi sentimenti profondi (visita interiora terrae, discesa nel mundus quando patet), onde da quelle profondità, purificate le linfe che dan vigore alle energie psichiche, salgano al cielo pensieri elevati e sia così l’opera gloriosa accetta ai Superi e agli Inferi, per l’armonia dell’Orbe intero.

 

 

Nota: Il 5 ottobre nella città di Roma si celebrava il rito iniziatico, praticato dai soli Cives, dell’apertura del Mundus; rito analogo a quello celebrato il 24 di agosto tra i Volcanalia e gli Opeconsivia, rito di pacificazione della Civitas e rivolto soprattutto all’equilibrio interiore dell’uomo, rito purificatorio in previsione del passaggio all’autunno, periodo di raccoglimento e di introspezione. Il rito si ripresentava poi l’8 di novembre.