FORTUNA MANENS

FORTUNA MANENS
ROMA E PRENESTE
Tempora labuntur, tacitisque senescimus annis
Et fugiunt freno non remorantes dies.
Quam cito venerunt Fortunae Fortis honores!
Post septem luces Iunius actus erit.
Ite, deam laeti Fortem celebrate, Quirites:
In Tiberis ripa munera grevis habet.
… … …
Plebs colit hanc, quia qui posuit de plebe fuisse
Fertur et ex humili sceptra tulisse loco.
Convenit et servis, serva quia Tullius ortus
Constituit dubiae templa propinqua deae.
Ovidio, Fasti VI
Si celebrava la festa di Fors Fortuna, dubia dea, cioè dea della incertezza, il 24 giugno, solstizio d’estate. Ovidio afferma la natura plebea, plebis colit hanc, e addirittura servile della festa. È la dea di quelli che sine aliqua arte vivunt, cioè di coloro che non coltivano sé stessi, che conducono quindi una vita asservita alla inerte grossolanità, che trascorrono la loro esistenza in una torpente indifferenza. La festa fu istituita dal sesto re di Roma Servio Tullio, che ne fondò anche il tempio suburbano. Ovidio tramanda che fosse un plebeo e che da umile condizione riuscì a portare lo scettro; nato da una schiava fu egli il fondatore del primo tempio in Roma alla dubia dea. Nella realtà storica il sesto re di Roma, il primo a dirlo fu l’imperatore Claudio esperto di storia di quel popolo, fu l’etrusco Macstarna che raggiunse il trono con l’aiuto di Tanaquil la moglie di Tarquinio Prisco, dopo l’assassinio di quest’ultimo da parte dei figli di Anco Marzio. In questa storia si ravvisa ancora una volta la prevaricazione dell’elemento etrusco, tellurico e asiatizzato, sulla spiritualità uranica romana. Forse più leggendaria che storica, la sua nascita da una serva sta ad indicare la ottusa materialità in cui ormai era decaduta la cultura etrusca, priva di volontà attiva e di spirituale luminosa forza, quindi predisposta ad abbandonarsi alla ignava casualità. Viene con Fors Fortuna introdotta in Roma una rappresentazione mistico-devozionale di un ente “pseudo-divino”, che evoca piuttosto la corporeità letargica del tipo orientale.
E qui dobbiamo introdurre ancora un’altra storia.
Nell’anno 363 a.U.c. addì 18 di luglio i Galli Senoni, guidati da Brenno, insieme ai Gesati, attaccarono Roma. Molto superiori di numero e a cagione della loro barbara condotta di guerra, urlata, irruenta, rumorosa oltre che per il loro aspetto, il torso nudo e tatuato e il viso dipinto, riuscirono a terrorizzare le truppe romane, che occupavano un fronte ampio per timore di accerchiamento, ma di scarso spessore; ciò provocò lo sbandamento dello schieramento romano che si dette alla fuga. Fu un giorno brutto per Roma, infatti solo tre giorni dopo i Galli entrarono in città, ponendo sotto assedio l’Arce Capitolina dove resistevano pochi difensori. Poi ci fu la resa per fame e tutta la città fu saccheggiata e incendiata. Ricordate l’episodio del “Vae Victis” di Brenno? Il teatro di quella infausta battaglia fu il terreno presso il fiume Allia. Il giorno di quel disastro bellico fu ricordato come dies Alliensis e tale rimase come giorno nefasto nel calendario romano: infaustum…Allia nomen, Virgilio nell’Eneide.
Sei anni dopo questa battaglia, gli etruschi di Preneste, scendendo in guerra contro Roma, sceglieranno come campo di battaglia il fiume Allia, nella supposizione che i Romani avessero per quel luogo lo stesso timore reverenziale che avevano per la citata data. Furono sonoramente sconfitti. Seguiamo, sintetizzando, il racconto dello storico Livio. “Informati che in Roma i patrizi e i plebei erano in aspra lotta gli uni contro gli altri, pensarono che l’occasione si presentava propizia a muover guerra. Mentre a Roma, a tale avviso, veniva disposto l’arruolamento e si nominava un dittatore nella persona T.Q.Cincinnato, i Prenestini si andavano ad accampare presso il fiume Allia, congetturando che quella fosse una posizione fatale alla città di Roma.” Qui dobbiamo pur ricordare che nella città di Preneste v’era il più antico e grande Santuario etrusco-italico dedicato alla divinità femminile della Fortuna Primigenia, madre e genitrice di dei; era raffigurata con Giove bambino tra le braccia nell’atto di allattarlo. In breve, a questo loro “ente divino” si affidarono nell’occasione i Prenestini. “Così ragionavano i Prenestini: i Romani ritengono giorno infausto il giorno della disfatta, dies Alliensis, quindi essi temono l’Allia stesso (nomine eius loci timeant Romani, quanto magis Alliensi die Alliam ipsam, monumentum tantae cladis). Superstiziosamente i Prenestini quindi riponevano ogni loro speranza nella Fortuna Loci, nella fortuna del luogo. I Romani invece avevano la certezza di battere quel nemico, già più volte vinto, con la sicurezza che quel luogo, legato al ricordo della loro grave disfatta, li avrebbe maggiormente stimolati a cancellar pure la memoria di quella vergogna: se si fossero ripresentati lì i Galli, i Romani avrebbero vinto. Lo stato d’animo delle due parti era questo quando si giunse all’Allia. Il dittatore romano, nel valutare le schiere nemiche, disse al Maestro della Cavalleria: “Vedi, Aulo Sempronio, si sono attestati lungo l’Allia riponendo ogni loro speranza nella fortuna del luogo! Gli dei però non concedano loro nessun altro più sicuro motivo, né un aiuto più valido di questo! Tu invece confida nelle armi e soprattutto nel valore.” Le file prenestine vennero sbaragliate al primo scontro e furono costrette alla fuga. Preneste e tutte le città da essa dipendenti furono conquistate a Roma.”
Audentes fortuna iuvat, son parole che si riportano dall’Eneide di Virgilio. Faber est suae unusquisque fortunae , da Sallustio.“...’l saggio e ’l forte/fabbro a sé stesso è di beata sorte.”, traduce il Tasso.
Audax, audace – da au-dere osare – da haveo, haves, havere (scritto anche senza la h)da cui l’ave, l’avete latino. Anche au-geo, rendo prospero, ingrandisco, innalzo. Au/av, indica un quid che è dentro e che rivolto all’esterno, verso l’altro, può esprimersi con un gesto di coraggio, di protezione, di amore, di augurio, di saluto. Audacia è coraggio; coraggio è virtù interna all’uomo che lo coltiva (’l saggio e ’l forte), tale è la Fortuna degli Audentes, impegno e volontà di prosperare; mai quindi atto sconsiderato, temerario, affidato al caso.
L’uomo romano tendeva ad essere sempre responsabile e quindi pienamente consapevole del suo agire, contrapponendosi così a ogni emozione e sentire fatalistico. Il Romano ha sempre teso a ridurre il fato alla sua volontà, non lo ha mai idealizzato. Per il Romano la fortuna deve assolutamente essere una regolatrice degli eventi; per questo l’azione dell’uomo deve essere sempre attenta e impeccabile affinché si manifesti la volontà umana come bona, fecunda fortuna, mai adversa; a ciò si ottemperava con l’osservanza del Mos Maiorum, delle leggi, dello scrupolo religioso e della pietas verso gli Dei. A differenza dei Greci tardi e degli orientali il Romano difficilmente cadeva nella hybris. Così anche la Fortuna ebbe la sua sistemazione in un contesto religioso e giuridico puramente romano. Il Romano aveva compreso che, poiché l’uomo era costretto a modificare continuamente i suoi comportamenti e quindi ad attuare una varietà di azioni, e ciò nell’arco dei giorni e del tempo e in concomitanza anche con i comportamenti e le azioni altrui, avrebbe potuto trovarsi di fronte all’imprevedibile. L’imprevedibile che può portar danno. Come affrontarlo? Sulla nuova pagina del nostro sito, “Disciplina: coerenza è armonia”, abbiamo discorso appunto di come il Romano si sottoponesse ad un giornaliero continuo governo di sé, al fine di dotarsi di quella virtù, che con la moderatio e con la constantia, forgia il carattere; si oserebbe dire lo arma al fine di conseguire una irriducibile firmitas animi. L’uomo opera non solo per sé, ma per la sua famiglia, la sua gente, i gruppi umani con cui entra in relazione, per la società in cui vive e soprattutto per la sua discendenza, affinché non si disperda il patrimonio di civiltà, di conoscenza e sapere costruito negli anni e nei secoli. Per questo l’uomo deve provvedere con una continua vigilanza a fortificarsi e a premunirsi contro ciò che gli si rappresenta come incerto e oscuro. La fortuna è questo per il Romano, il saper provvedere, il saper far fronte a qualunque minaccia lungo il corso della vita. Fortuna è costruire dentro di sé una Virtù, che è anche potenza e forza, in grado di far fronte al pericolo di un danno incombente o futuro, a quella che gli uomini definiscono la malasorte. Una volta affermata in sé questa potenza, che è soprattutto perfezionamento e realizzazione di sé, allora soltanto potrà invocare una divina Fortuna. Ma codesta entità non sarà mai dubia, ma certa e reale; non sarà la Fors Fortuna dell’etrusco Macstarna, la instabile dea, superstiziosamente venerata dal volgo. Soltanto, essa entità divinizzata, richiederà la moderatio, nel senso che non dovrà esserne fatto abuso; l’abuso prevaricante, scaturente da hybris, verrà infallibilmente castigato.
Molte furono a Roma le raffigurazione e gli appellativi della dea, Annonaria, Volubilis, Muliebris, Liberarum, Virginalis, Equestris, Virile, Averrunca, Comes, Respiciens, Privata ed altri ancora; tutti aspetti particolari correlati a sembianti o condizioni umane; ma a tener testa alla dubia dea, alla dea di coloro che sine aliqua arte vivunt, Fors Fortuna che plebs colit, sta la divina FORTUNA MANENS o Fortuna Perpetua, la Fortuna che resta ferma, persevera, che accompagna sempre e che nel Huiusce diei, nel presente, nel qui e ora, l’Uomo edifica dentro di sé e di cui lui, il Romano, sa armare sapientemente la sua gente fino ad estenderla all’intero popolo dell’Urbe, Fortuna Publica Populi Romani.
Ecce suburbana rediens male sobrius aede
Ad stellas aliquis talia verba iacit:
“Zona latet tua nunc, et cras fortasse latebit:
dehinc erit, Orion, aspicienda mihi.”
At si non esset potus, dixisset eadem
Venturum tempus solstitiale die.
Ovidio, Fasti VI
Ma chi è costui che tornando ubriaco dal suburbano tempio della dubia dea ha fatto bisboccia per tutta la notte? Un servo, un rozzo plebeo senza arte e regola di vita, un discendente del tuscio Macstarna? Libertà assoluta concessa ai devoti del Caso da chi sa sapientemente forgiare i destini, il Signore della Fortuna Manens.