IMMAGINE - εἲδωλον

εἲδωλον
Volete vivere sereni? Cercate in voi l’immagine idilliaca della Natura!
Se volete che un tal mattino, destandovi, un mondo nuovo e bello vi compaia davanti, dovete innanzitutto rappresentarvelo dentro; la sua immagine deve scaturire dalle vostre viscere. Ciò potrete ottenere sottraendovi all’intimidazione diffusa diuturnamente come un virus dai catastrofisti. Ve lo ripetiamo, non dovete soccombere al terrore. Generato dalla umana stupidità, lo stolido timore, ve lo stiamo rammentando da settimane, non ha senso. Sortisce effetto solo perché trova il terreno adatto nella fragilità psicologica di chi si lascia sorprendere dall’incorporeo virus, il quale però, quando deflagra, è più virulento della più perniciosa e contagiosa influenza.
Scenari catastrofici, spesso, vengono propagati. Psicopatici d’ogni latitudine si lanciano a vele spiegate in mirabolanti descrizioni di apocalissi scaturenti dalle loro esaltate latebre cerebrali, ma che non trovano riprova in ciò che ci circonda. È vero, molti fertili campi sono stati sottratti alla cura dell’agricoltore e alle coltivazioni, mentre in quei luoghi, un dì ameni, son sorte orrende città-mercato. Montagne ridenti di verde sono state sciaguratamente disboscate, e rischiano di franare; i corsi dei fiumi inquinati e addirittura gli stessi litorali marini. E che dire dell’aria, guasta nelle città? Detto eufemisticamente, un uomo poco savio (altro che homo sapiens!) produce tali devastazioni; trascinato da quale cupa dissennatezza le cagiona e al contempo rovina e degrada il suo habitat, non curandosi in tal modo di sé stesso, della sua salute? Purtroppo trattasi dello stesso uomo (l’uomo moderno!) che ormai progetta di alterare anche la stessa sua condizione biologica! Tutto questo è vero ed è da condannare. Ma noi biasimiamo anche i cervelli che delineano scenari apocalittici. Sulla terra ci sono deserti, essi fan parte della natura terrestre, ed è anche possibile che un giorno rifioriscano, così come un tempo sfiorirono. Invece, abominevole è la desertificazione che l’uomo in declino, abbrutito materialista, ha operato e opera dentro di sé e sul suo ambiente prossimo, disanimandolo, rifiutando la bellezza; sostituendo l’ameno con l’orrido.
E la Natura? La Natura si comporta, come da sempre. Una brutta città di cemento? È natura anch’essa; un treno, una spider, un aviogetto sono natura… Tutto l’uomo prende dalla Terra e tutto poi torna alla Terra, in brevi o in lunghi periodi di tempo. Il clima? L’uomo altera il clima… Certamente questo avviene, ma sempre limitatamente al suo ristretto ambiente. La Natura vivente è cosa più vasta; subisce offesa dall’ingrato, ma non potrà esserne segnata per sempre. Essa continuamente si rigenera; in lunghissimi cicli vitali produce miriadi di generazioni vegetali ed animali; vi trascorrono moltitudini e moltitudini umane. Dopo averlo generato, tutto riassorbe in sé per rigenerarlo. L’uomo, come tale e soltanto, è poca cosa. La sua superbia cosa vana. Tenta il cielo, tenta la conquista degli spazi? La Natura ha spazi illimitati, essa è irraggiungibile. Il fragile tristarello non potrà mai impadronirsene. A che si sforza? Una risposta forse ce l’abbiamo. Lo sventurato non ha trovato nulla dentro di sé, gli sfugge quindi la sua intima sostanziale natura. La specie umana, dunque, ha smarrito l’Uomo? Non sa più dove trovare ciò che possedeva dentro di sé? L’aureo seme, l’ignea divina scintilla? Ci auguriamo che non sia così.
E così, infatti, non deve essere. La Natura si dona all’uomo, essa non è matrigna; anzi tende a proteggere l’Uomo. In assenza dell’Uomo essa non avrebbe ragion d’essere. Uno solo è il nemico dell’Uomo e quindi della Natura. Questo nemico lo chiameremo il Disgregatore. È colui, l’alieno, che conta i centomila e centomila grani di sabbia sotto il soffio alido dei deserti alieni … E numerose turbe di disertori (da desertare) è riuscito ad arruolare alla sua “pazza conta”.
Già da alcuni mesi la nostra vecchiotta cagna (incrocio tra pastore tedesco e belga), nelle notti di luna e soprattutto nelle ore antelucane, manda prolungati e luciferini ululati; dalle selve, non lontane, le rispondono i lupi che vengono giù dai monti. Essa ritorna ai suoi primogenitori, ha recuperato l’istinto ancestrale. È un buon segno, la Natura si risveglia.
Nella tarda tarda sera dell’ultimo di Gennaio abbiamo udito il simpatico cuccumeggiare della civetta; dal terrazzo scorgiamo rilucenti occhioni di giada tra le fronde dell’ulivo. Stava immobile lassù, εἴδωλον arcano, a propiziare le Februali. Il giorno appresso, le calende di Febbraio, un presagio di primavera! La Natura, propiziata, torna a parlare a chi vuole intenderla.
εἲδωλον

FEBRUARIAE KALENDAE
Questo meriggio di febbraio,
traspira piena primavera!
Baldo sole, tra nubi leggere…
Giù, dal ciel che si smera,
cala vivo, caldo il raggio
sullo smeraldo del prato.
Tra le querce ed i pini s’ode
lo stridulo grido della ghiandaia
che già volge l’ala al nido.
1 Febbraio 2016
Dal nostro punto d’osservazione
Qualche giorno addietro, precisamente il 30 di gennaio, dallo stesso punto di osservazione quel paesaggio ci parlava così:
L’ A B B A G L I O
Il sole, sfiorando del monte
la brumosa pendice,
si riversa in luce spettrale
sul prato verde cupo,
che, scolorando, muta
l’onda rugiadosa dell’erba
in un velo bianco di lago...
Parvenze d’opalescenti acque!
Ingannato, l’uccello palustre
lancia il grido d’allarme.

εἲδωλον
Oggi, mercoledì, 10 di Febbraio, sempre dal nostro punto di osservazione.
Al mattino, il cielo coperto di livide nubi incombe sulla valle. Improvvisa la folgore squarcia i nembi guizzando da settentrione. Il tuono con voce possente rimbomba tra i monti. Subitanei scrosci di pioggia sui campi siccitosi, e insieme il vento. Ancora il tuono, a cui s’aggiunge l’urlo strepitoso di Eolo che, straripando dalle alture, empie tutta la valle. Di certo, il Re dei venti stesso è giunto quassù! Ha deciso di manifestare qui tutta la sua possanza. Un furente frastuono investe i poggi, i campi, i rivi. La vegetazione, i sempreverdi, i casolari, gli usci subiscono i colpi dei mazzafrusti e di implacabili sferze. Un urlio, un rumoreggiare continuo accompagna lo scatenamento degli elementali dell’acqua e dell’aria, generati dalla folgore del nord. La terra assetata respira. Gli alberi, scossi, perdono le deboli e rinsecchite fronde. Un volteggiare di luccicori, simile a fuochi fatui, appare qua e là tra i campi, e dispare. Si odono strani gemiti. Dai cespugli? Dai rovi? Implacabile il vento continua…urli, ululi, sibili! La tormenta non accenna a venir meno; gli alberi continuano ad agitarsi, presi da una folle ebbrezza; le fronde, mosse dal vento, figurano chiome anguicrinite di tempestose Furie. Una danza da tregenda! Essi tentano di riscattare la loro fissità al suolo; sembrano muoversi in file, in gruppi nella bufera… Lungo i campi, sui poggi il vento…il vento…
Quanto è durata la mattutina tregenda? Non sappiamo dirvelo. Ci ha portato fuori dal tempo, in uno spazio stregato, dove Crono non batte le ore. Nel pomeriggio, quel lividore compatto, che incombeva sulla valle, cede a nubi ancor piovose ma men grevi, ed il vento, che si è ormai placato, a tratti apre spiragli e lascia che il sole mandi giù un raggio a brillar l’erba dei campi e le fronde lustre di piova.
Il dì s’avvia al tramonto. L’orizzonte occiduo è completamente libero e il sole manda i suoi ultimi raggi alla valle pacificata, che respira appieno, d’un respiro cosmico. Giornata magnifica, lustrale! Solennità d'un singolare tramonto!
In alto, nel cielo, nitida appare una leggera falce di luna. Altissimo, il volo tranquillo di un uccello segue una misteriosa rotta.

L’alba è fresca e il cielo leggermente velato di nubi morbide e chiare; l’Oriente traspare di crocee tinte sul lato velame. S’intuisce lo sfarzo aurorale, là, oltre quelle nubi…
Già spiegava l’aurora il croceo velo
Sul volto della terra…(Iliade - c.VIII)
Come cantava il Vecchio di Chio; la traduzione è quella famosa del Monti.
Quest’alba ed il croceo segno dell’ascosa aurora ci presagiscono una godevole giornata. Ad ovest l’azzurro è limpido e luminoso, era già così ieri al tramonto. Non c’è bruma sui campi ed una leggera brezza passa tra le fronde dei cipressi e dei pini. S’odono canti sparsi di cardelli e il cinguettio dei passeri, non manca il grido della ghiandaia. Quando verrà fuori il sole, ci godremo il suo caldo raggio. S’ode improvviso un abbaiare di cani, lo scalpiccio e il belato della greggia giù in fondo alla valle. Ed ecco, la nostra vecchia cagnotta allunga il collo ed emette un lungo ululato … Ma è un singolare ululato! Acuto, sottile, come se provenisse da lontano e si raffinasse con l’attraversare l’aria mattutina. Poi, ancor più misterioso, attinge ad una sonorità flautata e in note sempre più sottili, fino a estinguersi … Infine la vecchia “lupa” prende a correre sull’erba rugiadosa …
Ci ha stupito stamane questo canto all’Aurora del nostro bravo cane! Ma non possiamo fare a meno di annotarlo, e non perché riteniamo che si tratti di un caso raro; riteniamo, anzi, che esso venga da lontano e sia il canto che i primogenitori della sua stirpe nei nevosi febbrai di millenni orsono mandavano dalle innevate valli nei cieli delle albe aurorali … Un arcano richiamo …
Ci terremo pronti, nelle prossime albe, ad unirci con i nostri petti e le nostre gole a questo richiamo … che è anche il richiamo dei nostri Mani …
εἲδωλον

Tertia post Idus nudos Aurora Lupercos
Aspicit et Fauni sacra bicornis eunt.
Ovidio
Il sonno ristora, sempre che non trascini nel gorgo melmoso delle nostalgie, dei rimpianti, dei pensieri e dei sentimenti soporiferi. Il sonno è ristoratore allorché non trasporta la mente in plaghe sterili e umbratili, inducendola a sogni dispotici, fluttuanti di passioni, ansie ed ambizioni. Il sonno è ristoro allorché la vita, il respiro dell’uomo, non è prevaricazione e mendacio. Quanto a te, mentitore, sappi che la menzogna ti peserà addosso come un macigno e mentendo ad uno dei tuoi simili, menti a tutti; così, discorde, ti escludi dall’universa armonia. Il sonno ristora la mente, il cuore ed il corpo, quando il raggio del sole (lealtà, veridico agire) posa sul tuo origliere, sia esso sasso, o d’erba o di piume, anche nelle ore della notte.
Nel sonno, che mero ristora, l’Uomo integro è come il fanciullo che dormiente stringe fra le dita, senza allentarle, i fiori del papavero; ma, subito ridesto, s’erge in piedi, astato.

La Mente desta, che non si rilassa (non scade) nel sonno letargico, è l’abbagliante Aurora che investe la terra coi suoi monti e i suoi mari. È la Mente vittoriosa che con temprato coraggio ha attraversato la tenebra ed affronta senza timore il dramma del giorno, né teme le inimicizie e gli agguati.
I dormienti non conoscono il sonno ristoratore e aprono al giorno occhi stanchi. Trascorrono la loro esistenza nelle fatiche e negli affari o sovente a bearsi d’accidia, senza aver mai avvertito l’aurorale risveglio. E sono i più, sciaguratamente i più! Quanto vediamo da svegli è morte; sogno, quanto vediamo dormendo. Così avverte il sapientissimo Eraclito. Occorre, quindi, impegnarsi, costringersi ad andare oltre il mondo illusorio in cui ci avvolgiamo, disciplinando, per unirli al fine di rigenerare, la mente ed il cuore. Al di fuori d’un concepire senza macchia, con il cuore oppresso dall’oblio, si è facile preda dell’illusorietà, dell’inganno, della menzogna. Nel più comune e innocuo dei casi si recita solo un vuoto melodramma.
Una mente pura in un corpo sano, lealtà, parola veridica, coraggio, avvicinano l’anima dell’uomo alla luminosità aurorale. E l’aurora, al suo sorgere, è sempre la primigenia Aurora.
* * *
Laggiù, ad Oriente, oltre il bigio velame delle nubi, sappiamo che è sorta l’Aurora. Già spiegava l’aurora il croceo velo… L’ululo del lupo giunge forse da l’Albula, dal lontano bosco faunesco... Nel fulgore aurorale... la gola tesa verso il cielo… lo raggiunge l’ululo fiero del Licantropo, sotto la pioggia, nel vento…
εἲδωλον
