LA FATA DEI CAMPI

LA FATA DEI CAMPI
1 Giugno. – La sera è fresca, spicca nei campi la verzura; è spiovuto e il tramonto occhieggia attraverso le nuvole; sono occhi di brace, ma le nuvole non se ne curano, proseguono il loro cammino. Rasentiamo un campo di favino, la vecia faba minor, la piccola fava nera e tondeggiante, usata nel rito dei Lemuria dal Pater familias quirite; questo campo di favino infatti è stato approntato per il sovescio, giacché tal pianta per azione della sua radice, il fittone, arricchisce il terreno di azoto e, irrobustendolo, in conseguenza si avrà più ricca germinazione e produzione di frumenti. Anche questo campo di favino, oggi, calende di giugno, è stato abbondantemente bagnato dalla pioggia.
Prima dies tibi, Carna, datur. Dea cardinis haec est:
numine clausa aperit, claudit aperta suo.
Scandisce Ovidio che il tempo ha oscurato la fama onde trasse tal potere Carna. Da tal considerazione ci viene da supporre che di codesta antica divinità indigena, al tempo del poeta, l’uomo avesse perso memoria del preciso rapporto da attuare con la stessa, cioè di come confrontarsi con tale entità. Le calende di giugno eran dette Kalendae fabariae, perché da quel giorno si raccoglievano le fave novelle e se ne faceva anche uso; alla Dea si offriva un pasticcio di fave con lardo e, inoltre, le si sacrificava un maialino, le cui viscere venivano esposte sull’altare; tal rito veniva chiamato reddere exta. Carna era quindi la dea che presiedeva alla sanità delle viscere, in particolare cuore e fegato, delle persone e soprattutto dei bambini, che proteggeva dalle strigi, cioè dai vampiri, raffigurazioni dei virus e dei batteri che sottraggono forze all’uomo per i fini a cui essi tendono. Era la dea Carna originariamente una ninfa molto pudica, ma il dio Giano riuscì ad impadronirsi della sua verginità ed in cambio di quel sacrificio la elevò a Dea, così narra Ovidio. In quei tempi remoti gli Uomini ben sapevano come le vergini forze della natura potessero essere apprese e, una volta entrate in relazione col divino, esse trasformarsi in forze luminose e salvifiche. Ben comprendiamo adesso perché il quirite lanciasse le fave nere del vecchio raccolto dietro di sé, alla propria ombra, nella notte dei Lemuria. Comprendiamo altresì perché le calende di giugno fossero Kalendae fabariae e perché dedicate alla dea Carna, la dea della salute a cui in tal giorno si affidava la cura e la custodia dell’infanzia e della gioventù quirite. Sappiamo ora infatti per qual virtù le piantagioni di fave nutrano e fortifichino il terreno. E da ciò possiamo anche comprendere il significato della fabata offerta a Carna. La fava nutrimento della terra, nutrimento e sostegno della vitalità corporale. E tanto basta, intelligenti pauca. L’antica ninfa, diventata sposa di Giano, il principio divino, padre di tutti gli Dei e degli Uomini, diviene anche la dea del cardine, il perno su cui girano i battenti delle porte. Le porte, che non sono solo gli usuali usci domestici, cui pure è dovuto riguardo, ma le soglie salvifiche che l’uomo deve varcare, una volta superata l’infanzia, sostenuto da una integra forza vitale, la sua Carna, onde avanzare sulla via della virilità, fino al grado di mutare la verginità della sua ninfa-linfa nel potere di aprire ciò che è chiuso e di chiudere ciò che è aperto: dea Cardinis haec est.
Adiacet antiquus Tiberino lucus Alerni:
Pontifices illuc nunc quoque sacra ferunt.
Inde sata est nymphe (Cranaёn dixere priores)
Nequiquam multis saepe petita procis.

Non curate solo la carne, in floridezza e salute; ma costruite anche il prezioso cardine,
sia esso il vostro fondamento. Siate Uomini, ritornate Quiriti!
Impegno certo faticoso, anche perché lei Crane, Carna Cardea, è la fata che spesso veniva chiesta invano da molti pretendenti… Nondimeno oggi ella configura ancora l’entità divina in grado di nutrire i nostri campi in abbandono, o peggio desertificati, di ridare tempra e vigore all’italica famiglia, protezione all’infanzia derelitta, nerbo energia coraggio alla gioventù indebolita sviata estraniata.
Impegno faticoso al quale, ne siamo certi, molti aspirano, perché prima o poi sarà inevitabile, necessario che i consapevoli e i coraggiosi si mettano all’opera. Di esempi da seguire se ne trovano molti nella nostra storia patria, anche se in quella recente davvero pochissimi. Riandare al nostro passato romano-italico, alla nostra tradizione classica, è fondamentale e invitiamo soprattutto i giovani a non trascurare questa indagine, ad approfondire questi studi. Noi predilegiamo questo lavoro e con grande reverenza ci accostiamo al nostro passato, quel passato che è tuttora il nostro presente, se lo vogliamo.
Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. (Niccolò Machiavelli)
Ed ora torniamo a Carna e ad Ovidio che, richiesto del perchè nelle Calende di giugno si mangi solo lardo mescolato con fave e con farro caldo, con questi versi la celebra:
Prisca Dea est aliturque cibis, quibus ante solebat,
Nec petit ascitas luxuriosa dapes.
Soggiunge il poeta che a quei tempi gli abitanti del Lazio erano molto parchi nel cibo, che solo il maiale era pregiato e le feste si celebravano con la sua carne e che il suolo offriva soltanto fave e il duro farro -terra fabas tantum duraque farra dabat. - Tale pietanza, nelle Calende di giugno, è in ricordo di quei tempi, e chi ne mangia non soffrirà il mal di visceri durante l’ardente estate. Abbiamo con Ovidio seguito il Pater familias quirite nelle cerimonie di purificazione che precedono appunto il passaggio stagionale. L’avvento dell’estate, aestus, ardore! La stagione ferace che porta abbondanti frutti; ma è anche il tempo del calore estenuante che provoca stanchezza fisica e psichica. La stagione in cui ci si dispone ad estivare. I mandriani conducono il loro bestiame all’alpeggio; anche gli uomini tendono a mutar soggiorno. Una particolare, singolare condizione climatica di ristagno che però desta una esuberanza coinvolgente tendente ad estendersi. Esplodono profumi intensi, i frumenti imbiondiscono, le paludi pullulano d’insetti; dai campi, ronzii, frinire di cicale sotto cieli di cobalto; nelle sere l’intenso coro dei grilli, mentre i firmamenti sfavillano di stelle… L’esuberanza della natura cattura, trascina, intorpidisce i sensi, ottunde la mente; si leva dal sottosuolo un afrore penetrante e s’effonde; Mefite si attiva… chi s’avvicina troppo, soccombe. L’uomo manca di concentrazione, fuoriesce da sé, vaga, si smemora, sbarella tra vita e morte.
E il dio dell'agguato, deposto il pilum, transita indifferente, nella pienezza altera della sua gioventù immortale.
È un passaggio stagionale a cui bisogna prepararsi, se si vuol cogliere il frutto e gustarlo, altrimenti si rischia di vederselo marcire tra le dita…
Si rischia addirittura di invigliacchirsi d’estate, conseguenza dell’infiacchimento del corpo e della mente. Si rischia d'esser travolti dalla congerie dei sogni; sogni ad occhi aperti o sogni ottusi, quando gli occhi si appannano per gravezza. La natura, come l’incantatrice Circe, tende a far dell’uomo il suo zimbello. Come una sirena, tende a farne un ossame. E c’è pure chi, ma forse son molti, moltissimi, si scopre apolide e prende a vagar come un gitano che si è scordato dei suoi piedi; a costui si contrappone la figura del sedentario, dello stanziale, anche lui dimentico dei suoi piedi sullo sdraio nel centro balneare o alla mensa dell’agriturismo. Che business, ragazzi e ragazzoni! Avete ragione voi, sottoponetevi alla gratificante burrificazione planetaria. E non vi trascurate, partecipate anche voi, fulgenti giovanette addestrate alle gimkane femministe, e voialtre ultraottantenni dame restaurate con il botulino.
E che grasse mangiate estive, che succulente rimpinzate al rezzo…
F O L L I E D’ E S T A T E
Noi andiamo a raccoglierci nella nostra grotta di roccia dura, risonante di caste voci antiche, con accanto la sorgente di quell'età favolosa...