NE ROBIGO OCCUPET SEGETES

... Ancora è pio
Dunque all’Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch’essendo questa o nessun’altra poi
L’ora da ripor mano alla virtude
Rugginosa dell’itala natura ...
G. Leopardi
NE ROBIGO OCCUPET SEGETES
La spiga di grano, affiorando nei campi a primavera, è l'emblema del risveglio della natura. Un campo verdeggiante di frumento, che ondeggia al sole nel vento, imprime nell'occhio il segno dell'abbondanza, d'una energia ricca che, vinta l'immobilità del gelo invernale, trionfa sulla morte. La spiga, che nell'estate inoltrata prende il color dell'oro, trasmette all'animo un moto di rigoglio che non è soltanto fisico, ma anche vigore d'una energia pura, sottile, che penetra la mente stessa: il grano, vita! Quel seme che nella rigidità invernale, nel buio cieco del solco celebrò la sua morte, ora, sotto il sole lucente aurea spiga, celebra la sua resurrezione. Potenza del seme, che morendo moltiplica se stesso e diviene fonte di vita che si perpetua!
E' comprensibile il motivo per cui l'aggressione fungina della ruggine del grano ai campi frumentari, che andavano così coprendosi di piaghe d'un rosso cupo simile appunto alla ruggine, venisse avvertita dagli antichi come un'avversità, una calamità:
Aspera Robigo, parcas Cerealibus herbis,
et tremat in summa leve cacumen humo.
Tu sata sideribus caeli nutrita secundi
crescere, dum fiant falcibus apta, sinas.
Vis tua non levis est: quae tu frumenta notasti,
maestus in amissis illa colonus habet.
Nec venti tantum Cereri nocuere nec imbres,
nec sic marmoreo pallet adusta gelu,
quantum, si culmos Titan incalfacit udos:
tunc locus est irae, diva timenda, tuae.
Parce, precor, scabrasque manus a messibus aufer
neve noce cultis: posse nocere sat est.
Ovidio, I Fasti, IV
Questa prece è significativa del timore che insorgeva nell'animo dei coltivatori all'apparire del morbo e del precipuo motivo dell'antico culto apotropaico dedicato a Robigus, acché il raccolto non venisse danneggiato. Plinio il Vecchio scriveva: "Tria namque tempora fructibus metuebant, propter quod instituerunt ferias diesque festos, Robigalia, Floralia, Vinalia...".
Padre Dante, il grandissimo figlio della nostra bella Toscana, discorrendo sulla nobiltà, dice che nella mente disposta a verità non deve esserci traccia rugginosa di false ragioni. Se rileggiamo poi i versi sopra riportati di Leopardi, pur se "ruggine" in entrambi i casi assume senso figurato, non siamo però lontani anche noi dal considerare un'avversità il suo apparire.
Il letterato romano Varrone, con lui Verrio Flacco e Festo, ha tramandato la presenza in Roma del culto al dio Robigus, un principio divino considerato Nume benefico e propizio: "quem putabant rubiginem avertere". Al dio era dedicato un luco sacro e le feste Robigali che venivano allietate da giochi e corse; vi presiedeva il Flamen Quirinale. Per i latini e affini tale era Robigus un dio buono, amichevole e affidabile che stornava l'avversa ruggine dal grano. Ovidio, di cui sopra abbiamo riportato i versi, al contrario, ci descrive una deità femminile, Diva Robigo, "aspera" e "timenda" in grado di offendere la celeste Cerere:
At tu ne viola Cererem, semperque colonus
absenti possit solvere vota tibi.
"Ma tu non offendere Cerere e possano i coltivatori sciogliere a te i loro voti, purché tu stia lontana". Una deità quindi da temere e da placare. Ovidio ci tramanda appunto la condizione devozionale, inferma, di un riemergente strato pre-ario, stranio alla Roma Prisca e alla spritualità latino-italica.
Noi, che ormai siamo al dunque, e sappiamo quanto non esercitato sia da molte stagioni il senno e il coraggio italico, quanta ruggine sia stata sparsa tra le genti della penisola, quanto astio, quanto rancore, quanta trascuratezza di costumi, di valori, di virtù, intendiamo e auspichiamo fermamente che si ponga fine a questa "aspera" Robigo. Pertanto evochiamo in noi Robus e, se anco si cura/Di noi qualche immortale, invochiamo il benefico ai Padri nostri Robigus Deus onde, a noi ancor Nume propizio, storni definitivamente e subito la ruggine dall’itala natura, perché giunta è l'ora di ripor mano alla Prisca Virtù.
