UA-183009551-1

PARUA PETUNT MANES

                         

 

εἲδωλον

 

 

 Parua petunt Manes: pietas pro divite grata est

Munere; non avidos Styx habet ima deos.

                                    Ovidio

 

   Oggi, 21 Febbraio, al mattino troviamo nel campo i mandorli fioriti mentre alcuni myosotis, nonché la pervinca, fanno già capolino fra i cespugli; spicca l’indaco della loro tinta sul verde rugiadoso. A tratti il raggio del sole cala sulla valle e vi diffonde un grato tepore. È annuncio di primavera. Infatti, quel raggio che fende le bigie nuvole vien salutato dal gorgheggio degli uccelletti che si preparano ai nidi. Immagini si stagliano lontane sull’orizzonte a tratti cupo, a tratti lampeggiante di misteriosi bagliori. Sono immagini dai contorni antichi e dai contrasti inesplicabili ma reali, così esse giungono alla vista della mente e si delineano, in un confronto spontaneo e leale dei nostri atti intimi con il linguaggio della vivente natura, sorprendentemente, nel risveglio mattinale, sobrio ma significante. Sono momenti in cui affiora il ricordo vivo d’un passato che è qui presente attraverso il nostro esserci. È, appunto, la presenza dei Mani. Ed essi ci scrutano, tramite quei misteriosi bagliori e ci chiedono di esser placati, cioè sottratti, seppur per un istante, al mondo delle ombre, alla dimenticanza; di esser ritrovati e rivisitati nel fondo del nostro essere; detersi dalle incrostazioni dei nostri egoismi storicizzati, per essere rivissuti in quel che furono le loro virtù, le loro sofferenze e sacrifici, i loro eroismi, la loro generosità.

   Parua petunt Manes. Più che ricchi doni, chiedono, dice il Poeta romano, la nostra pietas. Stamane la vista di questi mandorli fioriti, dei myosotis, di questo indaco della pervinca che annuncia i cieli primaverili, l’atto cioè con cui trasferiamo la visione della fioritura alla nostra interiorità, questa ghirlanda, deponiamola, atto di devozione, sul loro ricordo in noi ridesto, tegula porrectis satis est velata coronis/ et sparsae fruges… Riportiamo loro questo presagio di primavera. E sia in noi atto profondo d’amore, patria azione, in questo presagente mattino.

 

 Quest’oggi, 23 Febbraio, il cielo tutto coperto di nubi e il mattino piovoso! La pioggia cade misurata sui campi. Il verde dell’erba riluce teneramente e le ghirlande dei mandorli fioriti accolgono liete questa acquicella di febbraio, che tanto somiglia alla pioggia d’aprile. Tra le sagome dei monti non c’è più il broncio dell’inverno. l myosotis e la pervinca non temono questa pioggia e costellano il campo d’un fresco indaco. I Mani placati or sono vivi nel/del nostro passato. Il vivente è quel che fu, che è, e che sarà. La parola muta nel tempo, vola! Il pensiero tramonta, si disperde! L’energia si consuma, poi si rinnova, torna a consumarsi! Son cicli e cicli e cicli… Il vivente è sempre. È atto che si perpetua. È ciò che è nel qui e ora, perché fu e perché sarà. L’agire senza agire. Il motore immobile. Ma anche l’Amor che muove il sole e le altre stelle. In Principio era l’Azione. Il Principio è l’Atto stesso. Occorre ritrovare l’Atto per ritrovare il Principio (unitaria Visione). Solo così il vivente trasumana; la Vita è più che vita.  Trasumanar significar per verba/ non si poria… (ancora Dante). È solo possibile significarlo nell’atto, con l’atto. Il Romano arcaico per condere l’Urbe, instituere et regere l’Orbe, eradicò sé stesso, la sua individualità, dalla storicità terrestre, si realizzò in Atto puro, virile agire, e attuò sulla terra (effecit, non patì) la Storia, quella che è iscritta nei Cieli.

   Un raggio di sole è calato sulla valle a illuminare l’opra del Nume Pluvio. Brillano di feracità i campi!

 

 ...patris Genio sollemnia dona ferebat...

 

 

 εἲδωλον

 

 

 

¡Este jesto, aquel jesto!

…Pasa entre mis ideas,

como una férrea mano

por entre mariposas.

                                                               

                                                               J. R. Jiménez

 

   GESTO - deriva dal verbo latino Gerere (fare, operare). La bella strofa poetica del Jiménez indica la potenza dell’operare rispetto alla volatilità dei pensieri (ideas). Il gesto, l’azione, attraversa il turbinio dei pensieri come pugno di ferro il volo di uno stuolo di farfalle (mariposas). Nella generalità dei casi, ed oggi sempre più spesso per letale influsso dei mass media, l’uomo più che pensare attivamente, è pensato. Il pensiero, quando si attiva (ponderare), è pondus, peso; è un pugno di ferro. Ma esso può essere anche e solo elucubrazione astratta, cerebrale, di concetti nozioni sensazioni e, persino, vaneggiamento tra mezze verità e fandonie; perciò il pensiero va sempre disciplinato, educato, costretto al vaglio della riflessione, onde non trasbordi e nuoccia. Così un tempo si educava la gioventù con l’aiuto del Mentore, colui che conosceva le discipline atte a promuovere l’iniziativa ponderata ed aveva elevato la sua mente, purificandola da ogni macchia, onde indirizzare ad un giusto fine l’operare, concepito onesto e probo. Tutto ciò è stato sconvolto dal cerebralismo e dal degenerato moderno intellettualismo, ultra-celebrati demonismi, che han trascinato l’ordinato vivere nell’estrema confusione, palesamento di inettitudine spirituale. L’uomo vero dovrebbe essere dotato di sano e vigoroso intelletto, onde essere in grado di attivare dentro di sé, come un sole, la conoscenza ancestrale per proiettarne la perenne Virtus, attraverso la mente dignificata, e poterla comunicare all’esterno, nella società degli uomini, secondo ragione (Ratio), in operante consiglio. Questo presuppone l’Uomo attivo, non l’inetto; l'adetto, Uomo capace di coltivare nella più profonda interiorità l’Agire secondo il Principio, la effigies e la vis, la visione agente, la Imago, l’aurorale potenza dello splendore primigenio. Da questa trascendenza-immanenza derivava al Vir sul piano dell’ordine sociale e politico la facoltà di ponderare, quando richiesto, con equanimità, il carattere dell’animo costante, capace di render giustizia e ottenere giustizia. Il pensiero filosofico moderno ha male operato, proprio perché rappresenta uno sforzo di cerebrale presunzione che s’avvolge e attorce su sé stessa, senza luminosa meta, provocando null’altro che un tragico moto di involuzione. La bella Filosofia dei saggi d’un tempo, Eraclito, Parmenide, Empedocle, Platone, Plotino per nominarne solo alcuni, è lì in attesa… Operò bene l’ottimo Domiziano, quando assurto al Principato, espulse da Roma i filosofi “stoici”, in nome della Virtus romana.

   Il pensamento efficace (ben operante) è quel che nel lume dell’intelletto proporziona l’Azione, che è un tutto, alle situazioni particolari esterne. Il pensamento attivo è quindi esso stesso Azione nel momento che si commisura come giusto e provvido intervento nella storia. Dal pensiero sconsiderato, materialista, che s’affida solo agli sforzi del cervello, titanico astratto sforzo senza luce di trascendenza, non deriva altro che folleggiante nichilismo, dissoluzione, inettitudine. Esempi: - Il pensiero marxista ha concepito la follia bolscevica; e infine? moltitudini di derelitti, conseguenza di un abusivo, corrivo e capovolto “agire”  (agitazione demonica). D’altro canto il liberismo anglo-sassone e il pensiero calvinista, le informi masse consumiste (perversione demonica). L’artificioso mito demo-americanista, mera creazione cerebrale, foggiato nelle logge dai pensatori illuministi e puritani del settecento, ha prodotto le oscure e torbide masse statunitensi e, dall’ultimo dopoguerra in Europa, popolazioni spiritualmente demotivate che, appiattite dal democratismo e dagli anti, a quel falso mito sono assoggettate (demonismo oscurantista). Democratici... e odierni antidemocratici da parata gothic rock, stravaganti ideologi del facimm ammuina, jazzrockbluesheavymetal & doomdarkdeathfuneralmetal, facce di una stessa psichedelica medaglia coniata negli inferni dell’era atomica! -

 

Arcimboldo - L'Inverno
Arcimboldo - L'Inverno

 

 27-28 Febbraio. Il buon inverno, piovoso, ventoso, freddo e vigoroso, si è rifatto vivo, dopo gli annunci di primavera, e noi lo riceviamo con piacere stropicciandoci allegramente le mani, qui, presso il camino dove arde una splendida fiamma crepitante di resinoso pino.

   Nell’antica Roma si svolgevano le Equirrie, corse di cavalli in onore del Padre Marte, che si ripeteranno poi il 14 del successivo mese di Marzo, in prossimità dell’equinozio.

   Incede sempre più alto nel cielo il Carro del Sole…Nel solare splendore l’Uomo si predispone all’Azione, al cimento…

 

Al cimento si conosce il vero oro

 

   Questa frase uscì un bel mattino di fine febbraio dalle labbra di Leonardo da Vinci, mentre osservava il cielo piovoso squarciato da un raggio di sole…

 

 

 εἲδωλον

 

  

NOTERELLA DI POCO CONTO

 

Favete linguis animisque…

Auream aspicite spicam!

 

   Perché svalutare il termine “antidemocratico”? Una tale domanda ce l’aspettavamo, non ci prende di sorpresa. Animo, via! Perché esser tanto pigri? Perché mettere a disposizione dei sostenitori del democratismo il pilastro dell’anti?  Noi non siamo democratici, quindi non entriamo in competizione con tal sistema o ideologia; nessun antagonismo, né opposizione. Noi amiamo troppo l’Italia e il caro Popolo Italiano, soprattutto la minoranza Italica,  per acconsentire persino a una sfida da parte del democratismo urlatore. Proclamarsi anti…ecc. significa già entrare nel suo campo, accettare uno scontro meschino. Rimanerci, comunque, incastrati. L’avversativo anti non è di nostro uso. Lasciamo che s’incastrino loro e tra di loro. Fra i tanti possibili, facciamo un esempio. Prendiamo in esame il termine “antifascismo”. Ebbene, un vero democratico non dovrebbe essere e per nulla professare l’anti… Se il fascismo, come i democratici sostengono, fu “solo” violenza, intolleranza eccetera, cioè rifiuto o avversione nei confronti di idee diverse, dal momento in cui mette in pratica l’antifascismo, lo sprovveduto democratico (o non può far diversamente?) diventa a sua volta intollerante, e l’intolleranza è pur violenza; cioè è diventato, in tal caso, un “fascista”. È così?

   Noi non ci lasciamo trascinare passivamente da nessuno e tanto meno coinvolgere nei contrasti… Le nostre battaglie devono essere soltanto ed esclusivamente nostre; battaglie cioè radicali, che coinvolgono le nostre stesse radici perché,  e questo è il succo di tutto, noi abbiamo a schifo il conformismo. Il conformismo è proprio degli sradicati.

Una trappola è sempre tesa, micidiale! Ed è da decenni, ormai, che la realtà italiana è rappresentata da un sistema di melasso, che raccoglie il conformismo più indistinto e paralizzante. Un miscuglio, appunto indistinto, di retaggi ideologici e libreschi (a cui aggiungere il gothic rock ed ancora più recentemente un paganeggiare vaneggiante e crepuscolare, una sorta di post romanticheria sulla falsariga dei roussoiani preromantici Canti di Ossian) che vanno dalla seconda metà del ‘700 a tutto il cosiddetto  postfascismo e che continuano a sopravvivere innaturalmente.

   Animo, via! È necessario uno sforzo di rinnovamento. È tempo di scuotersi di dosso la passività, malattia dell’anima e della mente; di sbarazzarsi del conformismo, ormai una tirannia trasversale, omologante. E’ tempo di lottare contro questa dittatura ideologica (di una ideologia che uguaglia tutto) che aggrega a se tutti gli strascichi di bava del neghittoso nostalgismo e degli affatturati dal nebuloso, trasbordando travasando  miscelando inglobando.  Dittatura ideologica che s’è imposta in maniera così totale in Italia, per non parlare dell’Europa, e nel resto del mondo. Mai un regime fondato su una irriflessiva e innaturale dogmatica, informato a un sistema di violenza mentale e psicologica, non escluso il ricorso al terrore, ha saputo distruggere ogni libertà e iniziativa individuale. Un sistema camaleontico, che inchioda con il suo nome e i suoi molteplici “anti…” tutto ciò che tenta di opporvisi. E la battaglia è inesorabilmente persa se, pur con il fregio degli anti più pomposi, dietro i paludamenti c’è il vuoto e peggio ancora la cialtroneria. Da parte nostra prendiamo a ben volere coloro che fanno sul serio (agiscono con inesorabilità su di sé, innanzitutto per il recupero delle proprie radici), perciò non ci invitate a sfregiarci  con gli anti.

   Epperò, se essi vogliono la democrazia (ma cribbio, facciano almeno una salutare ripulita!... No?...) se la tengano! A patto che ci lascino vivere, e governare noi stessi, secondo

 

ARISTOKRATIA.

 

   Solo le virtù che da essa ne discendono possono  favorire un ordinato vivere e, quel che più conta, l’unione degli Uomini al Divino.

 

Per così alta impresa, sì, vale la pena lottare.

 

 

 *  

 

 

   E qui inseriamo, per chi vuole intendere ed è sinceramente disposto, questo brano tratto da Cittadella di Saint-Exupéry. 

 

   Alcuni negano la presenza di qualcosa che li trascenda. “Io”, dicono. E si percuotono il ventre come se esistesse qualcuno in loro, attraverso loro. Così come se le pietre del tempio dicessero: “Io, io, io…”

   Del pari, quelli che condannavo a estrarre i diamanti. Il sudore, la fatica, l’abbrutimento divenivano diamanti e luce. Gli uomini esistevano attraverso il diamante che dava loro un significato. Ma un giorno essi si ribellarono: “Io, io, io!”, dicevano. Ecco, rifiutavano di sottomettersi al diamante. Non volevano più divenire, ma sentirsi onorati per se stessi. Invece del diamante proponevano se stessi come modello. Essi erano brutti e immondi  perché gli uomini sono belli nel diamante. Perchè le pietre sono belle nel tempio. Perché l’albero è bello nel campo, perché il fiume è bello nell’impero della natura. Noi celebriamo il fiume: “Tu, che sostenti e disseti le nostre mandrie, sangue lento delle nostre praterie, conduttore dei nostri battelli…”.

   Ma quelli si ritenevano fine e scopo ultimo, e si interessavano solo di ciò che era al loro servizio, non di servire qualcosa più grande di loro. 

   Perciò essi massacrarono i principi, ridussero in polvere i diamanti per spartirseli tra loro, gettarono in prigione quei cercatori di verità che avrebbero potuto un giorno dominarli. Essi dicevano: “È ora che il tempio serva la pietra”. E tutti andavano via arricchiti  - così pensavano - con dei pezzi di tempio, privati però della loro parte divina e divenuti semplici macerie.