PER UN NOVELLO CANTAMAGGIO

PER UN NOVELLO CANTAMAGGIO
NEL SEGNO DI VENILIA-SALACIA
25 maggio
Hanc ubi dives aquis acceperit Amphitrite,
grata Iovi fulvae rostra videbis avis.
Or che Anfitrite questa odierna luce
Ospiterà nel vasto equoreo seno,
Nel cielo si vedrà fulgente il rostro
A Giove sacro dell’aquila fulva.
26 - 27 Maggio
Auferet ex oculis veniens aurora Booten,
continuaque die sidus Hyantis erit.
Già l’aurora nascente sottrae alla vista Boote,
Apparirà al dimane la siderea Iante.
Dal sorgere serale dell’Aquila al tramonto aurorale del Bovaro, poi, con la levata del mattino seguente, riappaiono le Iadi. Così conclude Ovidio il suo Maggio.
E sta per concludersi anche questo nostro Maggio! Un Maggio turbato quasi sempre dall’instabilità del tempo, con serate rigide, mattinate piovose, frequenti scrosci di grandine, pur se in alcune notti la luna si è affacciata ad illuminare magicamente la valle. Ma in questi giorni ovidiani il sole ha sorriso ai mattini e, ai tramonti, ha fatto brillar leggero il suo disco d’oro, grandioso sull’orizzonte, onde ci si potesse placidamente mirare. A mattino e a sera, come in un accordo, gli uccelletti hanno mandato intorno, su tutta la valle, allegri canti. Ed il cantamaggio è risuonato festoso. Hanno perso freschezza, sfioriscono le rose, ma sul ciliegio già rosseggia il frutto. E così, in un fluire e rifluire, pulsa la vita e si rinnova. La Natura si depura e si vivifica nella Natura. Alternanze, flussi e riflussi! Tutto questo i Padri antichi lo vivevano intensamente, perché sorretti da divine presenze e fortificati dalle forze luminose della vivente Natura che li circondava. Abbiamo ricordato il cantamaggio; un tempo nei borghi d’Italia lo intonavano in coro fanciulli, giovani e vecchi, festosamente come noi lo sentiamo in questi ultimi giorni di Maggio risuonare nel canto degli alati per tutta la valle. Ebbene, vogliamo spingerci in quei lontani dì che saranno anche i nuovi giorni del domani.
Ci chiediamo: perché Ovidio si affida ai greci e alla loro Anfitrite per evocare la deità del mare? Alla Ninfa sposa di Poseidone, deità della massa equorea? I suoi e nostri antenati, romano latino italici, avrebbero piuttosto richiamato Venilia-Salacia, l’onda che viene, fluisce verso la spiaggia, s’infrange contro gli scogli; l’onda, sempre l’onda, che rifluisce, si ritira e sal tellante (sal - saltus) e spumeggiante porta via con sé un pugno di materia terrosa, un altro e un altro ancora… L’istante che viene, Venilia, il presente; l’istante che fluisce via, che se ne va, Salacia. Se ne va, per poi tornare, nel grande mare salato dove pullula intensa la vita, dove nei profondi abissi c’è oscurità e non vi scorre il tempo. E’ così anche per il grande mare del tempo, che trascorre sulla superficie della terra e delle sue acque in continui flussi e riflussi. Il grande mare del tempo che dovrebbe trovare nell’uomo il suo sale. Nella sapienza dell’Uomo è il sale dei tempi! Ed ecco, ora capiamo, perché era difficile per Ovidio già all’ epoca sua rifarsi agli antenati. Era già il tempo di falsi e bugiardi dei. La sapienza dell’uomo, il sale del mondo, veniva a mancare. Cominciava l’uomo a smarrirsi nei grandi moti di massa, anche religiosi, e quindi a vivere e agire per astrazioni. Inclinava ormai a subire la storia, non più ad esserne l’artefice. Con il cerebralismo e l’automatismo si recludeva in un modo di vivere artificioso, si precludeva l’atto creativo. Nel caso esaminato si constata il venir meno ormai del giusto rapporto dell’uomo con la Natura vivente e con le Entità divine, qui Entità del fluire e rifluire; ciò perché egli aveva ormai perso il contatto e ogni possibilità di relazione con il principio sacro, il Padre degli Inizi, colui che è fuori del tempo ma ne regge lo scorrere, i transiti. Venilia e Salacia sono l’onda, rappresentano quindi la personalità del mare, i suoi caratteri: ne sono la superficie increspata o agitata, e sono anche le custodi delle oscure profondità marine. Salacia, che strappa la terra e la porta via, è la nutrice che alimenta la vita marina. L’una non può senza l’altra. Venilia e Salacia, le Nereidi, la forza che viene, corrode la materialità aduggiante e la sublima in alimento fine, sapido. Oh, la Sapienza degli Antichi Padri!
Venilia e Salacia, due aspetti dell’antichissima fatidica protettrice delle sorgenti, Camasena, l’autoctona virago, deità delle acque che fluiscono e rifluiscono, passato presente futuro; Venilia e Salacia, le sue due forme. Camesene, fu anche antico nome del Gianicolo, monte ricco di fonti, abitato un tempo dal gigante Camese padre della Ninfa e simboleggiante la semplicità e spontaneità dei primordi nell’uomo terrestro. Ma il Gianicolo è anche la sede di Giano Bifronte la divinità degli inizi incorporei, quando tale era l’Uomo, e altresì degli inizi della Natura fisica e quindi dei cicli naturali di cui Egli presiede tutti i passaggi. Si narra che il Dio sposò Camasena presso le fonti del fiume Clitumno. Dalla divina unione nacque Fontus…
Emergevan lunghe ne’ fluenti veli
Naiadi azzurre, e per la cheta sera
chiamavan alto le sorelle brune
dalle montagne,
e danze sotto l’imminente luna
guidavan, liete ricantando in coro
di Giano eterno e quando amor lo vinse
di Camesena.
Egli dal cielo, autoctona virago
ella: fu letto l’Appennin fumante:
velaro i nembi il grande amplesso, e nacque
l’itala gente.
G. Carducci, Alle fonti del Clitumno
Oggi alle stanche umane menti, dimentiche perché sepolte nella quotidiana agitazione e nella grossolana materialità, è difficile ristabilire un contatto vivo con le forze della Natura e ritrovare gli Dei viventi e agenti in essa e nell’uomo, è difficile, arduo ritrovare il grano di sale della sapienza,
nulla in tam magno corpore mica salis
diceva già ai suoi tempi Marziale e ancor più vale nell’epoca delle masse desolate. Ma noi vogliamo con le parole d’un altro sorprendente nostro Vate formulare per il momento un timido augurio:
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
umane menti riede
la bella età…
… … …
Vissero i fiori e l’erbe,
vissero i boschi un dì. Conscie le molli
aure, le nubi e la titania lampa
fur dell’umana gente…
Leopardi, Alla primavera, o delle favole antiche
