PLACIDI SUM NIMPHA NUMICI
… Placidi sum nympha Numici;
Amne perenne latens Anna Perenna vocor.
Ovidio
È l’inizio della primavera. E davvero oggi splende il sole e scalda! Sentiamo nell’aria il profumo denso di tante sostanze che esalano da tutta la valle, dai poggi, dai colli, dai monti boscosi e giungono qui nel campo dove sostiamo. Non distante sentiamo il fluire placido dell’Albula lungo i folti filari di pioppi, olmi, salici, lecci e roverelle. Il profumo si va sempre più addensando, man mano che il giorno si scalda. Il vento, una tramontana fresca ma leggera, passa tra gli alberi e zufola. Sono le idi di marzo. Nella ricorrenza, sulle rive del Tevere, il popolo romano si abbandonava un tempo ad un ozio festoso, con abbondanza di cibo e di vino; alla casta licenza d'una festa campagnola, rustica, baldanzosa e sfrenata, mai dissoluta. Forse nei tempi più tardi, vi si insinueranno licenziosità etruscheggianti e i poeti e gli scrittori ne riferiranno gli echi. Lo stesso Ovidio ne “I Fasti”, nei lunghi versi dedicati alla ricorrenza, riporterà le affabulazioni etrusche. Senza dubbio tutta la storia di Anna, sorella di Didone, è sullo stampo dei cantastorie etruschi, tendente a diffamare i Latini e ad esaltare la stirpe punica. Colonie puniche vivevano allora in molte città etrusche. Il romanzetto, infatti, pretende di denigrare Lavinia, la donna e la madre latina, rappresentata maliziosamente come un’isterica gelosa e propensa all’assassinio. Anche la storia grossolana della vecchia di Boville con Marte, osa render grottesco il dio italico e romano, pur se nel fondo nasconde una verità. Noi perciò vogliamo rifarci al significato vero di questa festività. Anna Perenna è una divinità antichissima. Nel Nepal centrale è situato un massiccio montuoso di nevi perenni sul quale svettano molte cime dal nome Annapurna. Nella lingua sanscrita il significato è Dea dell’Abbondanza, colei che è piena di cibo, colei che sazia; il suffisso di tal nome, infatti, ha il significato di "cibo". Su quelle vette, il ricordo perenne degli antichi Arya. Nell’antica Roma e nelle antiche città italiche l’annona era la raccolta agricola d’un anno e quindi l’approvvigionamento per un anno d’un Comune. I versi di Ovidio, che abbiamo citato sopra, criptano proprio questo significato: celata nella perennità del fluire il mio nome è Anna Perenna. Gli italici e i latini erano pastori e contadini e certo essi non potevano abbandonare il culto di una antica dea, la Dea dell’Abbondanza. Anna Perenna, la deità della semina e del raccolto! Il tempo scorre e viene il giorno della semina; il tempo scorre e viene il giorno del raccolto. Una cosa semplice e bella. Gli uomini si nutrono di ciò che offre loro la deità terrestre, fecondata dall’amnis perenne. Si nutrono gli uomini e dimenticano che ciò di cui si cibano è sostanza dell’astro Terra e quindi energia in continua trasformazione e che a quel cibo, frutto della Terra-astro, contribuiscono la Luna-astro e il Sole-astro. L’uomo dovrebbe avere la consapevolezza profonda di ciò, a sua volta dovrebbe stimarsi astro, stella. Celata nella corrente perenne, il perennare, vi è Anna Perenna; essa è il cibo che nutre il nostro corpo fisico; è questo profumo denso del quale noi, su questo prato oggi respirando a pieni polmoni, usufruiamo per nutrire il nostro corpo nervino; ed è soprattutto il cibo, che raccolto nel calice regale, nutre la Virtus, l’essenza fuoco, nutre il Vir. Ed è sempre lei, Anna Perenna, la nutrice che sfama il popolo, l’antichissima dea, la dea delle biade e del frumento, che sarà la Cerere italica e poi romana, anche protettrice della plebe purchè non avversa e rivoltosa. È dovere dei Re, dei Consoli, è dovere di chi pratica le virtù aristocratiche guidare e proteggere il proprio popolo ed amministrare la Giustizia. Solo chi esercita questa alta virtù potrà infine bagnarsi nel fiume Numicio, il fiume dei Numi, ov’è quell’alimento celeste che trasforma in Padre della Patria il Vir sapiente, giusto e valoroso. Enea fu per questo proclamato dai discendenti Dio Padre Indigete. Illic sanctus eris, cum te veneranda Numici unda/Deum coelo miserit Indigetem. Così Tibullo.
In tal maniera, liberata dalle impurità etrusche, possiamo anche comprendere la storiella di Anna Bovillis (Boville = tenuta dei buoi). Anna Perenna in tal caso rappresenta appunto quel cibo spirituale, la saggezza, l’avvedutezza che tempera nel Vir la furia bellicosa e sventata e lo rende idoneo all’azione guerriera, ne fa l’adetto dell’azione giusta e provvida. Di questo abbiamo già discusso in precedenza. Roma contemplava affianco al dio Marte anche la dea guerriera Minerva, e il Marte romano sposava questa possanza guerriera, retta da somma saggezza.
La storia di Roma, trascorso il periodo arcaico, è storia di lotte, combattimenti, vittorie e sconfitte, di atrocità e di solari trionfi. Noi oggi abbiamo voluto volger le spalle alla Storia perché è il primo giorno di primavera; è quindi un giorno fluido, un giorno in cui tutto muta e si trasforma sotto l’azione del sole nuovo, il suo carro avanza altissimo nel cielo. È il giorno in cui è bene nutrirsi del cibo che mai si esaurisce, del cibo amne perenne latens. Acuiamo la nostra vista! Con avvedutezza passiamo al crivello la storia romana, nutriamoci della sua farina e gli scarti diamoli in pasto ai buoi di Boville. Per fortuna nelle nostre terre, anche nelle regioni abitate dagli etruschi fenicizzati e dai greculi, c’erano italici e nobili personalità che, allorché Roma sorse e riportò la Luce iperborea nel mondo, uscirono dall’ombra e tornarono alla loro Patria.
Un grosso cespuglio, quasi arborescente, di rosmarino pienamente fiorito è avvolto da uno sciame numeroso di operose api. Intenso il profumo, aureo armonioso il ronzio.
Anche oggi, cari amici, augurando alla nostra Patria una nuova primavera, abbiamo insieme discorso della
Azione del Sole

Terra corpus est; at mentis ignis est...
Isteic de sole sumptus ignis, isque actus mentis est
Q. Ennio
La nascita o generazione solare viene testimoniata non dalla natura corporea, bensì da quella spirituale. È attraverso l’Azione che va a trasparire questa origine superiore, celeste, divina. Attraverso la grandezza delle loro gesta i figli di madri mortali si palesano quali potenze della luce, quali figli di padri celesti. È così che Eracle, Perseo, Teseo e gli Eacidi s’innalzarono fino al superiore, immortale principio luminoso, divenendo per l’intera umanità dei liberatori da quella materialità, in cui essa era prima decaduta, i fondatori di una esistenza spirituale, superiore a quella corporea, incorruttibile come il Sole stesso donde discesero: gli eroi di una civiltà contrassegnata da una calma e da una aspirazione superiore non solo, ma anche da un diritto affatto nuovo.
J.J. Bachofen

AD ATHENA - MINERVA
Comincio a cantare Pallade Atena,
glaucopide, dea gloriosa e colma di saggezza,
dal cuore inflessibile, vergine casta,
intrepida, augusta signora delle arci.
Zeus la generò da solo dal capo venerabile,
figlia sua propria, splendente
e rivestita d'armi dorate.
Gli immortali stupirono a vederla
e un profondo rispetto li prese.
Agitando un giavellotto acuminato
essa balzò davanti a Zeus portatore dell’egida.
Il vasto Olimpo tremò
sotto l’impeto della dea dalla glauca pupilla,
la terra risuonò cupamente,
il mare si agitò di flutti spumosi.
Poi d’improvviso le acque si placarono,
il luminoso figlio d’Iperione trattenne i cavalli,
fino a quando la vergine dea
ebbe deposto dagli omeri immortali
le armi divine: ne gioì il padre Zeus.
Così ti saluto, figlia dell’Egioco:
io mi ricorderò di te e d’un altro canto ancora.
Inno omerico

MINERVA ACCOGLIE GLI ESULI DARDANIDI
Iamque rubescebat stellis Aurora fugatis
cum procul obscuros collis humilemque videmus
Italiam. “Italiam!” primus conclamat Achates,
“Italiam!” laeto socii clamore salutant.
Tum pater Anchises magnum cratera corona
induit implevitque mero, divosque vocavit
stans celsa in puppi:
“Di maris et terrae tempestatumque potentes,
ferte viam vento facilem et spirate secundi”.
Crebrescunt optatae aurae portusque patescit
iam propior, templumque apparet in arce Minervae.
(…) Tum numina sancta precamur
Palladis armisonae, quae prima accepit ovantis…
Virgilio, Eneide, III

23 MARZO – TUBILUSTRIUM
Una dies media est et fiunt sacra Minervae
Nominaque a iunctis quinque diebus habent.
Sanguine prima vacat nec fas concurrere ferro,
causa, quod est illa nata Minerva die.
. . . . . . . . .
Summa dies e quinque tubas lustrare canoras
Admonet et forti sacrificare deae.
Nunc potes ad solem sublato dicere voltu:
“Hic here Phrixeae vellere pressit ovis”.
Ovidio
Il Vento, un’algida tramontana, soffia forte sui campi; nuvoloso è il cielo. Traversiamo la distesa erbosa su un sentiero indurito dalle raffiche, rasentando vecchi noci e querce aduste dal gelo. Raggiungiamo la riva del fiume in un punto ove si assiepano verdi ligustri già fioriti di bianco; il fiume s'adagia tra due anse, a nord e a sud. Di fronte, sull’altra sponda, i canneti s’agitano sotto la fredda folata e gemono. Qui, sulla nostra, il Vento ci fa giungere il suo fiato continuo robusto sonoro, ma blando. Sostiamo su una sporgenza ricurva e sabbiosa amalgamata con grosse radici e tronchi germoglianti, qui trasportati dalla corrente. In questa ansa il fiume manifesta in pieno la sua individualità, quasi corpo e figura umana. Ormai un sortilegio! ma non ci sorprende. È il momento di lustrare le nostre trombe e la nostra zampogna, quelle che hanno dato voce al nostro Canto Patrio. Le canne intonano le giuste note e il sole d'un tratto ci soccorre col suo caldo raggio. Queste note le affidiamo alla corrente del Tebro e ai venti della nuova primavera, ché nel loro fluire le portino alle mura sacre della Città Eterna e un brivido d’amor patrio raggiunga ogni angolo d’Italia.
Un’ardea cinerea volteggia sul fiume; ci viene incontro, poi indirizza alto il volo verso il nord. Al ritorno, tra i profumi del rosmarino e dei susini fioriti, sui poggi a nord-est, l’arcobaleno. Ascoltiamo i nostri fiati, sonori nel Vento...


Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto il buono Augusto
nel tempo degli dei falsi e bugiardi.
DANTE, Commedia, Inf. I
Grande è la confusione su questo pianeta! Certo, ingenera tristezza. Ma, in questo caldo e soleggiato pomeriggio del 26 marzo, mirando il cielo quasi sgombro di nubi, il suo volto gioviale ci rasserena. È il volto sincero e buono del Padre Antico.
La nostra prece quotidianamente rivolta al Cielo, al nostro, è una prece umile: la mente e il cuore degli uomini tornino a coltivare l'avita Virtus. Intendiamo, con Virtus, l’operare sincero, candido, magnanimo. L’operare con valentìa, l'operare schietto, retto, l’actio simplex. L’azione, non contaminata da ambiguità, non malevolmente intesa ad alterare, falsificare la reale rappresentazione del mondo; cioè non la fallace azione dell’uomo bramoso di superare i limiti del volere divino, scatenata da arroganza o da sola curiosità intellettuale e destinata al fallimento. Valga sempre per noi l’actio efficax, l’actio valens; il rectus agere! Gli eccentrici, gli inquieti, gli ossessi, sono coloro che tendono ad esaltare il piccolo Io contingente; pusillus homo, che vuol sopraffare, apparire sommo, onniscienza incarnata. Dotta ignoranza, hybris, superbia, sovversivismo! Il rischio è grosso per il mondo umano, soprattutto italico, che ci appartiene e per il quale ci battiamo. Invochiamo il gentil coraggio! E chi vuol procedere oltre tali vane sembianze, sul sentiero che porta agli Dei, coltivi il divino dentro di sé, si eserciti nella proporzione; egli deve accordarsi! Come un diapason, la sua voce intima deve passare l’intera serie delle note. Solo quando si sarà giunti (nessuno si esalti) ad un esatto riscontro, infallibile verifica, solo allora potrà esserci reale comunicazione, divina intesa; diversamente si cede alla idolatria, si cade nell’adorazione vana di falsi e bugiardi dei. Fate attenzione, umani, a non invischiarvi in simile improba latria. Oggi più che mai questo pericolo incombe. Dante fa dire a Virgilio che già nei tempi del buon Augusto ciò avveniva. Nel dire “dei falsi e bugiardi” Dante non si riferiva alle somme divinità di Roma. Già quell’età cominciava a precipitare nello smarrimento e da tempo l’uomo andava perdendo il giusto approccio al divino, l'originaria Virtus. Ritornare all'Origine è impresa magnifica. Essa, però, richiede somma fatica, abnegazione, disciplina e non anarchismo, come spesso oggidì accade. Il faustismo, in qualsiasi modo si manifesti, come l’impresa di Icaro, ha ali di cera.
Assistiamo all’incauto, sovente vuoto, richiamo di numi, geni, demoni; spesso anche ad un imprudente rifarsi a entità non italiche, ma addirittura celtiche, druidiche, norrene, etcetera. Ebbene evochiamone una, nostrana e salutifera, che al momento urge ed è opportuno invocare, perché venga posto riparo al disordine e vinto ed incatenato il barbaro interno, che s’agita e purtroppo impune intriga, ed è così cagione di fraintendimenti, di rancori, polemiche e di patria rovina; colui che mente e millanta e a cui si aggrega con faciloneria il gonzo di turno. Troppo spesso la menzogna e la millanteria vantano fondamenti a cui mai hanno attinto, poggiando esse solo sulla megalomania o sulla mera ostentazione. Ma il fine precipuo è provocare subdolamente la discordia. Ricordatevi sempre, amici gentili, del camaleontico caparbio onnipresente Disgregatore! Ebbene, invochiamo con la dovuta pietas
l’ AUGUSTA DEA CONCORDIA
Per quel che attiene a culti stranei, o addirittura imbarbariti, vi invitiamo alla seguente lettura.
Lucus erat longo numquam violatus ab aevo
obscurum cingens conexis aera ramis
et gelidas alte summotis solibus umbras.
Hunc non ruricolae Panes nemorumque potentes
Silvani Nymphaeque tenent, sed barbara ritu
sacra deum; structae diris altaribus arae
omnisque humanis lustrata cruoribus arbor.
Siqua fidem meruit superos mirata vetustas,
illis et volucres metuunt insistere ramis
et lustris recubare ferae; nec ventus in illas
incubuit silvas excussaque nubibus atris
fulgura: non ulli frondem praebentibus aurae
arboribus suus horror inest. Tum plurima nigris
fontibus unda cadit, simulacraque maesta deorum
arte carent caesisque extant informia truncis.
Ipse situs putrique facit iam robore pallor
attonitos; non vulgatis sacrata figuris
numina sic metuunt: tantum terroribus addit,
quos timeant, non nosse, deos. Iam fama ferebat
saepe cavas motu terrae mugire cavernas
et procumbentis iterum consurgere taxos,
et non ardentis fulgere incendia silvae,
roboraque amplexos circum fluxisse dracones.
Non illum cultu populi propiore frequentant
sed cessere deis. Medio cum Phoebus in axe est
aut caelum nox atra tenet, pavet ipse sacerdos
accessus dominumque timet deprendere luci.
Hanc iubet inmisso silvam procumbere ferro;
nam vicina operi belloque intacta priore
inter nudatos stabat densissima montis.
Sed fortes tremuere manus, motique verenda
maiestate loci, si robora sacra ferirent,
in sua credebant redituras membra securis.
Inplicitas magno Caesar torpore cohortes
ut vidit, primus raptam vibrare bipennem
ausus et aeriam ferro proscindere quercum
effatur merso violata in robora ferro:
“Iam ne quis vestrum dubitet subvertere silvam,
credite me fecisse nefas”. Tunc paruit omnis
imperiis non sublato secura pavore
turba, sed expensa superorum et Caesaris ira.
Procumbunt orni, nodosa inpellitur ilex,
silvaque Dodones et fluctibus aptior alnus
et non plebeios luctus testata cupressus.
Tunc primum posuere comas et fronde carentes
admisere diem, propulsaque robore denso
sustinuit se silva cadens. Gemuere videntes
Gallorum populi; muris sed clausa iuventus
exsultat…
LUCANO, Farsaglia, III

30 - 31 MARZO
Ieri mane il ciliegio nel nostro campo era già tutto fiorito; dimane quella bianca fioritura la troveremo ai piedi dell’albero, al suolo! Avrà svolto il suo compito nel ciclo vitale. Miriamo in alto, lassù! Il cielo ha il volto soave della primavera. Noi lieti accogliamo la sua ineffabile, celestiale soavità nei nostri occhi, perché arricchisca i nostri cuori.
Inde quater pastor saturos ubi clauserit haedos,
canuerint herbae rore recente quater,
Ianus adorandus cumque hoc Concordia mitis
et Romana Salus araque Pacis erit.
Luna regit menses: huius quoque tempora mensis
finit Aventino Luna colenda iugo.
Ovidio, Fasti, III

εἲδωλον
A P R I L E
Aprilem memorant ab aperto tempore dictum,
quem Venus iniecta vindicat alma manu.
Illa quidem totum dignissima temperat orbem;
illa tenet nullo regna minora deo,
iuraque dat caelo, terrae, natalibus undis,
perque suos initus continet omne genus.
Illa deos omnes (longum est numerare) creavit;
illa satis causas arboribusque dedit,
illa rudes animos hominum contraxit in unum
et docuit iungi cum pare quemque sua.
Quid genus omne creat volucrum, nisi blanda voluptas?
Nec coeant pecudes, si levis absit amor.
Cum mare trux aries cornu decertat; at idem
frontem dilectae laedere parcit ovis.
Deposita sequitur taurus feritate iuvencam,
quem toti saltus, quem nemus omne tremit;
vis eadem, lato quodcumque sub aequore vivit
servat, et innumeris piscibus implet aquas.
[ … … … ]
Nec Veneri tempus, quam ver, erat aptius ullum:
vere nitent terrae, vere remissus ager,
nunc herbae rupta tellure cacumina tollunt,
nunc tumido gemmas cortice palmes agit.
Et formosa Venus formoso tempore digna est,
utque solet, Marti continuata suo est.
Vere monet curvas materna per aequora puppes
ire nec hibernas iam timuisse minas.
OVIDIO, Fasti, IV