SALUS

S A L U S
Molti tetri prodigi si videro quell’anno a Roma e ne furono annunciati anche da fuori. Sull’area di Vulcano e della Concordia ci fu una pioggia di sangue; i pontefici annunciarono che le aste si erano mosse da sé; i Lanuvini che la statua di Giunone Salvatrice aveva lacrimato. Nelle campagne, nei centri di mercato e di riunione, e anche a Roma, era scoppiata una pestilenza così grave che i Libitinarii a mala pena bastavano al bisogno. I senatori, preoccupati per questi prodigi e per queste calamità, deliberarono che i consoli dovevano sacrificare con vittime maggiori a quali Dei credessero opportuno, e i decemviri consultare i libri sibillini. Per decisione dei decemviri fu indetta a Roma una supplicazione per un giorno in tutti i templi. Sempre su loro proposta, il senato decise e i consoli pubblicarono un’ordinanza, che per tutta Italia ci fossero tre giorni di supplicazione e di ferie. La violenza dell’epidemia era tale che, quando per la ribellione dei Corsi e la guerra provocata in Sardegna dagli Iliensi si vollero arruolare ottomila fanti dagli alleati latini e trecento cavalieri perché il pretore M. Pinario li conducesse con sé in Sardegna, risultarono morti tanti uomini, e i consoli denunziarono ovunque tanti casi di malattie, da non poter completare i quadri. Il contingente in meno, il pretore ebbe ordine di riceverlo dal proconsole Cn. Bebio che svernava a Pisa e di là trasportarlo in Sardegna. Al pretore L. Duronio, cui era toccata la provincia d’Apulia, fu aggiunta la procedura contro i Baccanali, di cui alcuni strascichi già l’anno precedente si erano manifestati come nuovi germi della mala pianta di prima; ma dinanzi al pretore L. Pupio i processi erano stati piuttosto avviati che condotti a una conclusione. I senatori dettero istruzioni al nuovo pretore di stroncare il male alla radice perché non avesse a insinuarsi di nuovo e più estesamente. I consoli su autorizzazione del senato proposero al popolo anche una legge contro il broglio elettorale.
Nello scorcio storico di Livio (XL, 19) vi è la narrazione di oscuri fatti che turbarono Roma e l’Italia portando desolazione nel corso di un anno tremendo. Un male aveva colpito le popolazioni e tentava di paralizzare l’operosità dell’Urbe intera. Oscure energie si erano riversate negli animi; un invasamento attraversava i quartieri della città e molti paesi d’Italia con fenomeni di panico popolare, non controllabili, che le autorità tentavano di contenere attivando funzioni religiose. L’epidemia mieteva vittime, focolai di guerra minacciavano la sicurezza della Res Publica. Tutto ciò era stato provocato dall’emersione di caotici substrati etnici che tentarono con insidia una rivincita sull’ordine romano. Ancora dal racconto di Livio (XXXIX, 8):
La cosa partì da un Greco sconosciuto che venne in Etruria non già recando qualcuna di quelle arti che quel popolo maestro fra tutti diffuse fra noi a conforto dello spirito e del corpo; era un praticante di riti e un indovino, e non già uno che insinuasse l’errore nelle menti con pubblici riti professando apertamente una sua arte a scopo di lucro, ma un praticante di riti segreti e notturni. Misteri quelli, a cui pochi in origine furono istruiti e che poi cominciarono a diffondersi senza distinzione fra uomini e donne. Al rito oscuro si aggiunsero le delizie del vino e dei banchetti, perché fossero di più le menti attratte nell’errore. Quando il vino incendiava gli animi, la notte e il trovarsi confusi maschi e femmine, fanciulli e adulti ebbero cancellato ogni limite posto dal pudore, cominciarono a commettersi depravazioni di ogni genere, poiché ognuno vi trovava pronto soddisfacimento per quello a cui erano più portate dall’istinto le sue voglie. E non ci si limitò a un solo genere di malefici come violenze indiscriminate su uomini liberi e su donne, ma anche false testimonianze, falsificazione di suggelli nei testamenti e delazioni uscivano da una stessa fucina, e sempre di là azioni di magia e delitti familiari, al punto che a volte non restavano neppure i corpi da seppellire. Molto si osava con l’insidia, ma di più con la violenza. A nascondere la violenza valeva il fatto che per le grida e il fragore dei timpani e dei cembali non si poteva udire la voce di quelli che gridavano aiuto fra gli stupri e le uccisioni. Questo flagello dall’Etruria si propagò a Roma come in un’epidemia.
Huius mali labes ex Etruria Romam veluti contagione morbi penetravit. Uno stato di malattia paralizzò l’Urbe, ne menomò le forze. La società tutta, l’ambiente circostante, piombarono in uno stato di sofferenza; il contagio tentò di turbarne la vitalità, di trascinarla al dissolvimento.
L’autorità consolare reagì:
Spediti i magistrati a queste mansioni, i consoli salirono sui rostri e, indetta un'adunata, con una formula sacramentale di preghiera, che sono soliti premettere i magistrati quando devono parlare al popolo, così incominciò. “Mai in nessuna assemblea, Quiriti, questa rituale invocazione agli Dei patri fu non solo così indicata, ma anche indispensabile, per ricordarvi che gli Dei sono questi, quelli che i vostri avi ci hanno insegnato a riconoscere, a pregare e venerare, non quelli che spingono le menti, sedotte da religioni perverse e straniere come da un invasamento demonico, verso qualunque delitto e qualunque voglia. Io stesso non so che cosa tacere né quanto dire. Se resterete all'oscuro di qualche cosa, temo di favorire l’indifferenza; se rivelo tutto, temo di spargere troppo terrore fra di voi. Qualunque cosa io dirò, sappiate che sarà sempre poco per la atrocità e la vastità della cosa: che poi vi basti per stare in guardia, a questo provvederemo noi. Che i Baccanali siano diffusi da tempo in tutta Italia e che ora siano praticati da più parti anche per Roma, voi, ne son certo, non solo l'avete sentito per fama, ma anche per gli strepiti e per gli ululati notturni che risuonano per tutta l'Urbe; ma di che cosa precisamente si tratti non lo sapete: c'è chi crede si tratti di qualche culto religioso: altri pensano a feste lecite di esuberante allegria, ma, qualsiasi cosa sia, limitata a poche persone. Quanto concerne al numero di questa gente, se vi dirò che sono molte migliaia, è naturale che subito vi spaventiate, se non aggiungerò chi e di che risma sono. In primo luogo dunque le donne sono in maggior numero, e da qui è scaturito simile flagello; poi maschi somigliantissimi a femmine, stuprati e stupratori in massa, forsennati, sconvolti dalle veglie, dal vino, dalle grida, dagli strepiti notturni. La congiura non ha ancora forze, ma ha in sé grandi possibilità di sviluppo, perché costoro diventano ogni giorno più numerosi. I vostri antenati neppure a voi permisero di tenere riunioni casuali, senza che l'esercito fosse uscito per i comizi issando un vessillo sul Gianicolo o senza che i tribuni avessero indetto il concilio della plebe, o senza che uno dei magistrati vi avesse convocati; e, ovunque fosse un assembramento, giudicavano che ci volesse anche un presidente legalmente costituito. Che idea vi fate voi di ammassamenti di gente nelle ore notturne, e poi anche miste di uomini e di donne? Se sapeste a che età sono ammessi i maschi, non ne avreste solo pietà, ma vergogna. E voi pensate, o Quiriti, di fare soldati giovani avviati con un giuramento come questo? Di affidare le armi a questa gente uscita da un sacrario osceno? Costoro, infangati dallo stupro proprio e dall'altrui, difenderanno con le armi l'onore delle vostre mogli e dei vostri figli.
Sarebbe tuttavia meno grave, se fossero effeminati soltanto nelle loro perversioni – ché su loro stessi cadrebbe soprattutto il disonore – se cioè la loro mano si fosse astenuta dal delitto e l’intelletto dalla frode. Ma la verità è che la Repubblica non ha mai conosciuta una piaga di tale entità, né estesa a tante persone. Qualsiasi atto di libidine, qualsiasi frode. Qualsiasi crimine è stato commesso in questi anni, sappiate che è nato da quel luogo di cerimonie turpi. Né ancora costoro hanno partorito tutti i crimini che figurano nel loro segreto giuramento. Fino ad oggi i danni dell’empia congiura si sono limitati all’ambito privato, non avendo ancora abbastanza forze per sopraffare lo Stato. Il male cresce e serpeggia ogni giorno di più. E già troppo grande perché possa essere contenuto nella sola sfera privata; già mira a colpire il cuore dello Stato. [ . . . ]
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Vi trovate in un prato ameno, fiorito, sotto un cielo limpido, l’aria dolce; non lontano un pastore e il suo gregge riposano; s’odono canti d’uccelli, ronzio d’api sui fiori; uno scoiattolo sgattaiola dalle fronde d’un folto arbusto e s’allontana tranquillo. Una sorgente attrae la vostra attenzione, sorseggiate la sua acqua; sentite in voi la gioventù del mondo. Questa è Salus! È presente in voi, negli esseri che vi circondano, nel paesaggio tutto.
Attraversate la piazza d’un paese, c’è una fiera; gradevoli grida, risate, aria di festa. Vi sentite in armonia col tutto; quel gaio assembramento sprigiona benessere. Questa è Salus! È lì, presente.
S’appressa il tramonto, siete su una spiaggia marina. V’avvolge una brezza leggera; l’occidente divampa in tinte purpuree, poi in sfumature tra il rosa e il viola; la pineta emana un intenso profumo che si confonde con il respiro del mare; anche il vostro respiro è profondo, s’unisce al respiro delle cose tutte. È Salus! È dappertutto, sulla terra, tra le onde del mare, nel vostro respiro.
Notte! La quiete del cielo pieno di stelle ha coinvolto la terra. S’ode il riposo delle piante che accolgono il sonno degli alati; tutta la valle dorme e il suono dei grilli ne ritma il respiro. Anche la vostra mente prende ristoro, il sonno vi raggiungerà leggero, senza affanno. È Salus, che affida al riposo gli uomini, gli animali, ogni cosa vivente!
Hai sofferto un malanno; e, un bel mattino, sei saltato giù dal letto; hai sentito il tuo respiro vibrar pieno nel petto tornato sano, la mente sveglia, il passo sicuro. Il male è andato via. Salus stamane è in quel tuo respiro, nella tua mente rigenerata.
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Se consultate un manuale di mitologia troverete scritto che Salus, nel mondo Italico antico, era la personificazione dello star bene, della salute nell’individuo, della prosperità nella Res Publica, che i Romani l’avevano derivata da Igea, antica divinità greca.
Salus non è una personificazione. La sentiamo espandersi dappertutto, nel cielo, sulla terra, sul mare; sulle pendici e sulle vette dei monti, sui prati, nei campi, nei boschi; nelle sagre paesane allegre e festose; nelle calde giornate di sole, nei venti fecondatori, nelle benefiche piogge. La sentiamo lievitare nel nostro essere biologico, l’avvertiamo nel nostro essere profondo quando tutto in noi è armonia, nei nostri pensieri, quando si elevano al cielo distaccandosi dalle ansie e dagli affanni. La sentiamo sopravvivere nei poemi e nei canti dei poeti che furono ispirati dalle divine Muse; nella musica, quando Euterpe si leva in note sublimi. Salus è nel giudizio del saggio, nella riflessione del sapiente, nell’azione sicura della guida illuminata.
Salus è connaturata all’Essere, è in esso, vi è congenita. È l’essenza stessa della vita, il caposaldo della super-vita. L’Essere primordiale non può andar soggetto a patologie, a sofferenze, non può danneggiare, ridurre sé stesso. A sofferenza, a malattia invece può andar soggetto l’organismo individuale o più individui. L’individuo può subire danni dalla malattia, può uscirne diminuito, menomato. Ci soffermeremo a considerare in particolare gli effetti della malattia sull’individuo umano. Le religioni di origine mediorientale, tra esse la latria dominante nelle nostre terre, fanno della sofferenza, del morbo, una condizione ordinaria dell’uomo; condizione a cui lo ha assoggettato una ipotetica ‘onnipotente’ entità cui ebbe a disobbedire. L’uomo da tal superstiziosa credenza vien considerato una misera creatura, estremamente limitata; assoggettato da una ineluttabile necessità alla sofferenza e alla morte, gli è negata quella libertà indispensabile per poter sviluppare sé stesso sulla via dell’evoluzione spirituale. Si tenta di impedire così, con un perfido dogma, alla persona umana di conoscersi, d’avviarsi sulla via della piena consapevolezza di sé. Il VIR scomparirà dalla luminosità del Giorno, invano sorgerà l’allegorica realtà della veridica Aurora. L’uomo dissociato ormai ignorerà la sublimità del simbolo; si oscurerà la sua vista; il suo intelletto ottenebrato non vedrà nella Natura altro che male o materialità da sfruttare cinicamente per i suoi bisogni. Una notturna coscienza trangugerà la misera creatura, il “verme uomo”. Lo trascinerà alla deriva, sulle desertiche dune del nichilismo. Diversa era la prospettiva religiosa dei Romani e degli antichi Sapienti. L’uomo deve tendere con tutte le sue forze verso l’Uno, alla nascita divina, la società umana (Res Publica) all’unità: un Cosmo, un Ordine. L’uomo deve serbarsi integro; nella Natura vivente troverà sufficienti energie, la possibilità di superare ogni morbo, di non ridursi all’inazione; impedito dal male non è in grado di agire; colui che non reagisce subisce la paralisi del suo divenire: ristagno nel divenire sociale, nel divenire spirituale. Lo stato di Salute ne realizza invece la condizione normale: mens sana in corpore sano. L’uomo ha il dovere di curare sé stesso, d’aver cura della società in cui vive, dell’ambiente, della natura che lo circonda. Deve, quale Civis, persistere nello stato di Salute affinché tutta la Res Publica vi perduri; deve evitare, con fermezza spirituale e costanza, di divenire una minaccia per la società in cui vive. Deve rigettare la scienza nefasta, che trascina a distruzioni inevitabili; deve ripudiare la superstitio che precipita gli animi alla rovina; deve evitare l’ambizione, la corruzione, le passioni, l’invidia, l’avarizia, tutto ciò che si cronicizza in morbosità e porta al disfacimento. La Salute dell’uno è la Salute di tutti. Salus è l’Essere che vigila sé stesso e che ha il potere di superare ogni stato morboso. Il divenire spirituale dell’uomo, il suo divenire culturale, civile e sociale sono assicurati da Salus. La malattia, colpisce l’uomo indebolito, corrotto in cui s’è radicata la disperazione di ritrovar salute; la corruzione, il contagio colpiscono allora una intera società; nell’un caso e nell’altro ciò significa paralisi del movimento, irrigidimento (rigor mortis), cioè rinuncia alla vita, all’azione, allo splendore della vera Conoscenza, all’ Universa Armonia. A Roma fu eretta una statua a Salus nel tempio della divina Concordia a rappresentare ciò che testé abbiamo espresso. Infatti la discordia è morbo: dissociazione nell’uomo, corruzione, caos nelle società, disgregazione del Cosmo.
Salus quindi non era solo una personificazione dello star bene per il singolo e del prosperare per la società, ma era vittoria sull’egoismo individuale, sull’egoismo di parte, era Concordia, era Amor. Essa non era quindi da rapportare all’Igea greca, più prossima forse a Valetudo, divinità della salute personale. Igea, divinità della salute e dell’igiene, quindi divinità dell’arte (tèchne) medica, quella che salvaguarda la vita vegetabile e animale, la gagliardia fisica, e da cui derivano tanti vocaboli del nostro linguaggio moderno e utilitarista, come igienico, igienista, etc.
Nella sua concione al popolo dell’Urbe il Console Spurio Postumio ammonisce: “Mai in nessuna assemblea, Quiriti, questa rituale invocazione agli Dei patri fu non solo così indicata, ma anche indispensabile, per ricordarvi che gli Dei sono questi, quelli che i vostri avi ci hanno insegnato a riconoscere, a pregare e venerare, non quelli che spingono le coscienze, sedotte da religioni perverse e straniere come da un invasamento demonico, verso qualunque delitto e qualunque voglia”. Postumio accusa apertamente coloro che celebrano con ululati e lascivie i Baccanali, culto oscuro e stranio: “In primo luogo dunque c’è una gran parte di donne, e da qui è scaturito simile flagello; poi maschi somigliantissimi a femmine, stuprati e stupratori, forsennati, sconvolti dalle veglie, dal vino, dalle grida, dagli strepiti notturni. La congiura non ha ancora forze, ma ha in sé grandi possibilità di sviluppo, perché costoro diventano ogni giorno più numerosi”. Aggiunge ancora: “Che idea vi fate voi di ammassamenti di gente nelle ore notturne, e poi anche misti di uomini e di donne? Se sapeste a che età sono ammessi i maschi, non ne avreste solo pietà, ma vergogna. E voi pensate, o Quiriti, di fare soldati giovani avviati con un giuramento come questo? Di affidare le armi a questa gente uscita da un sacrario osceno? Costoro, infangati dallo stupro proprio e dall'altrui, difenderanno con le armi l'onore delle vostre mogli e dei vostri figli? ”.
Dal discorso del Console, come riportato da Livio, si evince che l’oscura straniera insidia, causa dei mali che sconvolse l’Urbe, aveva precisamente attentato al cuore della romanità, alla Romana Virtù virile, principiando con il depravare la gioventù quirite, con la complicità di donne corrotte. Il Console la definì senza mezzi termini congiura. Intrigo che Livio afferma provenire dalla corrotta Etruria per indurre le menti in errore. A riportare Salus nell’Urbe oltraggiata e a sottrarre le menti all’errore si dispiegò rapida e salutare l’azione virile dei Consoli, di quei Magistrati e Sacerdoti che alla Virtù quiritaria dei Patres si attennero con scrupolo. I Viri sventarono il grave pericolo, l’infame oscura congiura; non mancò l’aiuto di oneste onorate Matrone.
Ogni anno, il 5 di agosto, si effettuava sul colle Quirinale un solenne rito in onore di Salus, la
SALUS PUBLICA POPULI ROMANI
