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SPEME NOSTRA FIDANZA

 

                          

 

 

SPEME NOSTRA FIDANZA

 

Chi fido l’insperabil spera

Vedrà scorrer sul filo della spada

Il vibrante coraggio

 

   In un ode alla Fortuna Orazio pone accanto alla Spes la Fides: “Te Spes et albo rara Fides colit/velata panno”. Per i Romani, fosse la sorte favorevole, prospera, fosse avversa, ne era sempre artefice l’uomo. Il Console romano Aulo Attilio Calatino, che aveva comandato con valore le legioni romane nei combattimenti in Sicilia durante la prima guerra punica, eresse un tempio alla Spes nel foro Olitorio e uno sul Campidoglio alla Fides. Troviamo ancora unite Spes e Fides nella pratica religiosa di questo autorevole Romano di cui Cicerone nel suo Cato major de senectute ricorda un famoso epitaffio: “La maggior parte degli uomini concorda che quest’uomo fu il primo del suo popolo” e ne elogia la grande autorevolezza.

   Nella concezione mediorientale e nelle religioni che ne sono derivate, “fede” e “speranza” rappresentano l’adesione incondizionata e irragionevole alla volontà e ai capricci di una entità tirannica, aliena all’uomo, il quale, purché credente e sottomesso a tale entità, ne dovrebbe ricevere i benefici.

   Nei versi di Orazio la Spes e la preziosa Fides velata d’un candido panno onorano la Fortuna; erige templi in Roma a Spes e a Fides il Dittatore e Generale romano le cui sorti belliche erano risultate vittoriose. Nel titolo di queste note, “Speme nostra Fidanza”, noi ugualmente abbiamo abbinato Speme e Fidanza. Precisamente, sosteniamo che la Spes non è che una confermativa Virtus divinamente connaturata alla Fides nell’Uomo agente sua sponte, in concordia e universa armonia. Azioni, atti, fatti che si realizzano traendo impulso dalla volontà dell’Uomo e non da causa esterna. Sarà sempre la virtù e l’autorità dell’Uomo, quando nelle lodi di lui è concorde l’opinione di tutti, come Cicerone scrisse di Calatino, a determinare l’esito favorevole ottenuto da una volontà capace di superare ogni ostacolo; una volontà assurta a modelli divini e secondo concorde opinione.

   Fu Spes la trasformazione in persona divina di una astrazione? No! L’astrazione non può realizzarsi in atti e in fatti, resta astrazione. L’uomo quando prende iniziative agisce sempre sulla realtà naturale, e al fine di non sconvolgerla deve attenersi alla Virtù della moderatio, che gli impone di non alterare con hybris gli equilibri delle energie agenti nel cosmo. La violazione di quei modelli (oggi al massimo grado!) determinava uno sconvolgimento e quindi una sorte avversa. Cattiva sorte che colui, che ne veniva colpito, di certo non viveva in astratto, ma realmente sulla sua pelle o sui suoi beni. Colui invece che aveva adempiuto a un divino destino e aveva dentro di sé superato l’insperabile, vedeva giustamente la sua opera coronata dal successo. All’Entità evocata ed invocata veniva dato il suo culto perché, secondo quanto scrisse Cicerone nel Cato major, “Pietà e culto maggiormente si radicano negli animi, quando ci dedichiamo alle cose divine” e ricorda il detto di Talete: “Gli uomini hanno la convinzione che tutto quanto vedono debba essere pieno di dei ”. “E poiché, aggiunge Cicerone, l'animo si conforta nell'attesa dei beni, giustamente fu consacrata da Calatino anche un tempio alla Speranza”. Allora sì, vivevano gli dei!

   Perciò giustamente i Sapienti, come Talete e gli Uomini che sanno, debbono portare conforto agli animi e procacciar con giuste e mirate azioni la salute e la fortuna delle genti; cosa oggi disistimata dai potenti.

   Speranza, per il Romano era tendere verso una meta ben determinata e non lo stare passivamente in aspettazione. Speranza non era attesa nel tempo di una concessione da parte di una superiore onnipotenza; attesa di un bene futuro. Piuttosto era un dilatare ed espandere l’impulso volitivo per raccoglier le energie sufficienti e farle convergere alla meta desiderata; e ciò nello spazio del qui e ora. Quindi una Spes certa: realtà concreta, realizzazione umana nell’afflato dell’armonia divina.

   Fidesei, f., fiducia, fede, fedeltà, lealtà, buona fama.

   Fidesis, f., corda di strumento musicale, al plurale cetra, lira, poesia.

   Fides, dea.

  Fides è la Virtù della lealtà che accredita le persone, e le parole se convalidate dai fatti. È la Virtù quindi che impone di adempiere i propri obblighi, ma anche di non trascurare le promesse. La Fede per il Romano non era riporre un’acritica fiducia in un dogma o in un libro contenente parole consacrate da un’autorità ecclesiale. La Fede è la parola che si realizza e attraverso la realizzazione giunge all’essenza del voluto. Come l’armonia musicale nasce e si espande dalla corda della lira. Non è uno stato passivo, cioè un rimettersi alla volontà d’un presunto onnipotente e un affidarsi al giudizio di costui. La Fede è, deve essere, attiva. La lealtà non può restare nascosta, deve manifestarsi, attivarsi, altrimenti è ipocrisia. La simulazione, la frode, l’inganno, il contrario della Fides, rendono passivo l’animo. Il simulatore, il fraudolento, soccombe alla Necessità; facendo della simulazione e della frode il suo sistema di vita, riporta sé stesso ad una condizione primitiva, assoggettata a bassi istinti di sopravvivenza.

   I Romani si trovarono a fare i conti con tali decadenti e oscure manifestazioni della condizione umana. Dovettero imporsi come esemplari modelli nella pratica di questa virtù, nella pratica della prisca Fides ; tal pratica doveva garantire e garantirà fama perenne al nome romano. Lottarono duramente, i Patres, per sconfiggere il simulatore e il fraudolento. Vi impiegarono suprema consapevolezza e rette energie. Nelle azioni, negli atti concreti sempre giusta misura, diligenza, scrupolosa cura. Perché la vera Fede è, e si manifesta, nella luce dei fatti. Nell’opera De Natura Deorum, Cicerone sostiene: “I nostri antenati ritenevano che tutto ciò che apporta un grande vantaggio al genere umano non avvenga senza l’intervento della divina bonitate verso gli uomini. Così chiamavano, nuncupabant, col nome del dio stesso illud quod erat a deo natum. […] A volte invece una entità dotata di particolare forza, sic appellatur ut ea ipsa vis nominetur deus, ut Fides… ante autem ab Atilio Calatino erat Fides consecrata”.

   Oggi dobbiamo tornare a evocare in noi Speme, nostra Fidanza, e ad invocare la Romana Fides, consacrata dal romano duce vittorioso sui tenebrosi inganni bellici del nemico cartaginese, contro le tenebre della imperversante ipocrisia, simulazione e frode.

   Non parodiate, ci rivolgiamo alle giovanili intemperanze sviate da ingannevoli modelli, la romanità! Ricordate! La vera Fede è, e si manifesta nei fatti certi, nella luce del indubitabile.

   Flatus vocis le parole, i nomi, se non si manifestano in tal luce, se non si è vinta la finzione, il voler apparire ciò che non si è. Se non si è coltivata in sé la divina Fides con la pervicacia che, intesa a superare ogni ostacolo, porta alla Vittoria, luce che soggioga la simulazione, sbaraglia le ombre.

  Solo la Romana Disciplina, la virile Virtus, la divina Concordia, potranno procurare

 

V I T T O R I A   E   F O R T U N A

 

   onorate da Spes e da Fides. E, parafrasando lievemente Orazio,

 

Vos Spes et albo rara Fides colunt

velata panno…