UA-183009551-1

IL MALE DEL DEMOCRATISMO

                           

Canzon mia, cerca l’italo giardino

Chiuso da’ monti e dal suo proprio mare…

 

                                                                 

 

IL MALE DEL DEMOCRATISMO

 

  

 

   O pellegrina Italia,

Che è che sì t’ammalia…?

Ben è peggio che morto

Colui che non s’è accorto – di tal male.

 

 

   I versi riprodotti a chiosa del titolo di questo scritto sono del poeta fiorentino Fazio degli Uberti vissuto tra   il 1305 e il 1368 e appartenente alla stessa nobile famiglia ghibellina del fiero Farinata degli Uberti, morto nel 1264 e ben diciannove anni dopo disseppellito con la moglie Adaleta per esser ambedue condannati (in ossame!) come eretici dall’Inquisizione mentre il patrimonio familiare fu confiscato agli eredi.

   Abbiamo intenzionalmente preso i poetici versi da quel tempo di odio spietato e violenti rancori e per il fatto che furon scritti da persona che di quegli odi era stato testimone e ne aveva anche subite le conseguenze. Riferendosi, infatti, alla superbia dei tempi, che è sempre la superbia degli uomini, Fazio così verseggia: “Io so’ la mala pianta di superbia, /Che generò di ciascun vizio il seme…/Col sommo bene sempre vivo in guerra…”.  Ma ci s’avvede, a riguardare appieno, che il poeta non è soltanto il censore che s’accinge a biasimare grosso modo quel vizio e indicativamente a esprimerne la pura e semplice condanna morale; egli è e vuole essere il testimone di un certo che di fosco, errore, deviazione, viltà, affiorò nel suo tempo e scosse il mondo: una malevola partigianeria? una diffusa, puntigliosa faziosità che ha lasciato nella realtà del tempo ferite persino durature? Per la qual cosa egli elude l’enunciato strettamente moralistico, e si ferma alquanto invece nei dettagli realistici, considera circostanze e particolari:

 

Io son mal grata, arrogante ed acerba,

Per cui il mondo tutto piange e geme;

Io so’ nelle gran case e nell’estreme

Colei che compagnia rompe e disnerba:

Io so’ un monte tra ‘l cielo e la terra

Che chiudo gli occhi vostri a quella luce

Che il sol della giustizia in voi conduce.

 

   “Col sommo bene sempre vivo in guerra…”  Oggi come ieri! L’uman volgo non muta. Negli eventi storici uno stereotipo. La sete del potere, poi… il successo, la popolarità, il godersi il favore del pubblico e…  Ambitio! ... Vale a dire ‘andare intorno’ per ottener voti, incarichi, raccomandazioni e così via. L’uman volgo non muta, un perenne replicante, che via via massificato e disanimato, alla fine individuo desertico, oggi è pressappoco un cyborg. L’individuo tendente ad emanciparsi dalla massa, ad uscir dalla folla per affermare una propria distinta consapevolezza è sempre più raro, quasi scomparso; l’uomo-massa, gli occhi chiusi a quella luce che fa l’uomo vero, giusto, ha partorito il cyborg. Tentativo di tornare alla individualità? Ma il cyborg è figlio dell’uomo-massa, in nulla si diversifica dal padre-madre se non per la condizione, l’esser stato predisposto a render ancor più rigida l’unicità del pensiero e quindi l’univocità del discorso: un oscurante appiattimento delle menti e delle coscienze che, smarrita la guida del sol della giustizia, si trovano interrotta l’astrale corrispondenza, l’affinità con le virtù del cielo. Plurisecolare è questa tendenza al primitivo, al rudimentale dell’uman volgo, ma la spinta s’è accresciuta nei tempi ultimi; si vuole che il pensiero unico soggioghi il pianeta intero, volto a privar gli umani d’ogni aspirazione ideale, d’ogni qualità spirituale. Cicerone si permetteva di dire ai suoi tempi: sapientis iudicium a iudicio vulgi discrepat, il pensiero del saggio non s’accorda con quello del volgo. Cicerone, questo antidemocratico! Invero nella lingua latina la parola democrazia non c’era, ma in sostituzione, e ben calzante, riportiamo qui quel che scriveva il fiorentino Matteo De’ Corsini nel 1373 in un suo Trattato morale discutendo appunto della “Ambitio”, quella brama sfrenata di potere che turba i sonni del disumano (questo qualificativo più si adatta) volgo: Locus regiminis desiderantibus est negandus, fugientibus offerendusDice che la grandezza del reggimento, cioè che gli uffici non si deono dare a chi gli desidera, ma a chi non vuole; però che non suole venire da buono luogo cotale desiderio.  Esemplo abbiamo de’ buoni Romani, che mai non volsono officio per proprio utile, ma per utile dei loro subditi. E Scipione Affricano conquistò molte terre notevole per gli Romani: infine non volse mai nessuno salario; se non, dove si chiamava Scipione, fugli aggiunto Affricano, perché aveva conquistato tutta l’Affrica.” 

   Per volgo di solito s’intende la parte più spregevole d’un’etnia, d’un popolo, quella turba che immersa nella vita contingente, vilmente legata al transitorio, coltiva solo interessi materiali ed è indifferente verso le aspirazioni spirituali o, peggio, di queste e della divinità ha solo un vago oscuro timore superstizioso. Quella turba che non ha un fondato amor di patria, che non ha una patria cultura e quindi volutamente ignora le proprie radici, che non sa che la lingua del proprio paese, la lingua degli antenati, è un tesoro da custodire e non da alterare e corrompere; una turba che dileggia la storia patria e ne odia i simboli; una turba che ignora il patrio Genio ed è asservita ai moloc stranieri, pur se barbarici e malefici. Una turba ignorante e incompetente, che non ha cura del proprio popolo, che non coltiva la gioventù, anzi l’abbandona ad una totale disfatta. Una turba infida di vendifrottole, che simulando alte virtù filantropiche e cosmopolite abbandona alla degradazione, per incompetenza e disamore, la società di cui dovrebbe aver massima cura. La turba ipocrita! Essa è la grande simulatrice, fa apparir quello che in realtà non c’è, non c’è mai stato e mai ci sarà. La sua “promessa di grido”, ch’ è risuonata in tutto il mondo!  La incendiaria promessa che spalancava, e ancor ne mena vanto, ai popoli panorami immensi… di sconfinati paradisi… La celebrata promessa, rimasta ad oggi senza attuazione. Tuttavia non riesce a frenare la spregevole ambizione; la superbia la spinge a pretendere che il sistema di pensiero ch’essa oggi va agitando, i suoi propositi di costumanza e di vita s’affermino anche nei secoli avvenire. Presume tal superbiosa turba d’esser la coscienza inverata del mondo per tutto il secolo presente e per i secoli venturi. Per il momento però sua briga costante è mercare, mercare e profittevolmente trafficar sconfinando, e ancor sconfinando e prevaricando in tutto… via! Via oltre ogni limite! Materialismo, volgare utilitarismo e edonismo nella pratica ordinaria, nella vita di tutti i giorni, e un tal fondamento posticcio assicuri anche un avveniristico domani da essa turba progettato per l’intera umanità. Una mescolanza di materialismo mercantesco e astrattezze cosmopolite. Turba infeconda, che le uniche vere realtà trascura: l’UOMO consapevole, con la sua religio e la sua pietas; la PATRIA con il patriae studium; la FAMILIA, la domus con il pater e la mater familias; la CIVITAS, cioè un POPOLO che non sia folla, moltitudine, plebe, ma NAZIONE organicamente e scientemente ordinata, prospera e concorde.  Queste sono le realtà umane e naturali di ieri, di oggi e di domani cui occorre dedicare massima cura; prescinderne per attuare modelli di vita e mode innaturali, per ipotizzare futuri possibili in cui proiettare arrogantemente e per dispetto, cioè con faziosità, la propria mal vissuta passione. Questo trascurare il presente per soddisfare l’ambizione, questo volere ignorare il passato e la storia e la cultura patria, questa aspirazione a volere impossessarsi del futuro senza porre nel presente solide basi lo troviamo ben stigmatizzato in un passo dell’opera già sopra citata del De’ Corsini: Si prudens est animus tuus, tribus dispensetur temporibus: praesentia ordina, futura provide et praeterita recordare. Dice: Se l’animo tuo è savio, conviene che tu facci del tempo tuo tre parti; cioè tre scudi che ti difendino da tre battaglie: cioè el presente, e quello che debbe venire, e il passato. Dice testè Seneca: Nel presente fa quello che tu debbi senza negligenzia, e fallo prestamente; nel venire pensa tutti i contrarii che ci possono concorrere; nel passato ricordati di tutti gli ammaestramenti de’ nostri antichi, perché molte cose che debbono venire, se possono comprendere per le passate.

   Come ci dobbiamo provedere per l’avenire: Va, ignorante, piglia lo esemplo della formica, che di state quando è l’abundanzia del grano, fa la riposta per lo verno. Questo dice non solo per la ricchezza, ma per lo tempo; el quale, mentre che l’abbiamo, il dobbiamo spendere in virtù. Ancora, chi ha questa provedenza, guarda non solamente el fine ma el principio d’ogni cosa; però che il piccolo principio lascia gran fine. Onde dice Seneca: Nil tibi subitum sit, sed totum ante prospicias. Dice: Non far mai nulla in tanta fuga, che tu non vegga el principio, e poi el fine; però che questo è atto di cauto uomo, cioè di dubitare negli fatti che ha a fare.”  

   Va, turba ignorante e presuntuosa, va e istruisciti sul manualetto trecentesco del De’ Corsini prima di accingerti malauguratamente a provedere per l’avenire; tu, turba insolente, che caldeggi l’idea balorda che le Itale Genti riceveranno beneficio dall’apporto culturale e dal sostegno morale e materiale dei popoli dell’intera Africa per migliorarsi e poter sopravvivere e progredire. E, nel così disporre riguardo al futuro della patria, neanche ti preoccupi, onde prevenir sciagure, di valutare tutti i contrarii. L’imprudenza, la sventatezza sono mende del presuntuoso che non predilige l’autenticità, la naturalità, la consistenza del genuino, ma nel suo sentire ipocrita inclina alla doppiezza, alla contraffazione, a corrompere. Il vero, il giusto politico deve essere un lungimirante, e il previdente, il preveggente è invero il savio, colui che sa e quindi può inoltrarsi nell’avvenire.  Certo non Voialtri, o turba, turbidae satelles exterae turbae. O turba dei Voialtri, che disprezzi il tesoro del patrio passato, della storia patria et praeterita recordare disdegni, o forse non puoi, perché hai venduto la tua anima all’ extraneus, “e-strano”, ti sei volontariamente exstirpata, sradicata, smarrendo il prezioso ricordo; infatti è nell’animo il ricordo del passato, animus meminit praeteritorum, questa la convinzione di Cicerone e degli antenati romano-italici. La poesia risorgimentale, cantando nella persona di Luigi Mercantini, “l’antica signora che torna a regnar”, l’Italia, ricordava a tutti gli italiani che non crescono al giogo le stirpi di Roma e che il corso degli eventi li richiamava a quell’antica realtà, con i diritti e i doveri che quella realtà esigeva per esserne degni eredi e quindi continuatori di civiltà.

   O pellegrina Italia, estraniata dai tuoi figli!

    ANSA.it – 12 DIC. 2017 – Napoli. Bullismo in Campania, accertati 616 casi, per l’anno scolastico 2016/17, picchi in province Napoli e Caserta. Etc.

     Bullo s.m. – giovane arrogante e violento: bravaccio, giovinastro, teppista. – Stando alle definizioni del vocabolario Treccani il bullismo è propriamente il comportamento da bullo, non improntato certo di riguardo, rispetto, obbedienza, educazione, assennatezza, equilibrio, ma al contrario è ostentazione di arroganza, impertinenza, insolenza, irriverenza, maleducazione, prevaricazione, sfrontatezza, strafottenza, violenza.

   Violenza è la forza impiegata a dismisura; per vincere, necessaria in guerra; dannosa e anche devastante in una società ricondotta in pace. Se però una società è in stato di agitazione continua e cova passioni e rancori in essa prima o poi insorge conflittualità. E una società malmessa, una società inferma, purtroppo rischia di dare origine a violenze, d’ingenerare reazioni impulsive e incontrollate. Tale è il caso della polemica stolta e molesta, ma sottilmente astiosa, perciò conflittuale, tra fascismo e antifascismo qui in Italia.

   Nello scritto precedente abbiamo sostenuto l’assunto che oggi fascismo/antifascismo è una falsa antitesi accreditatasi segnatamente nel dopoguerra con la scomparsa del fascismo storico e il sopravanzare di culture e costumanze d’oltreatlantico (contribuendo molto la filmografia hollywoodiana, televisione e stampa) che son riuscite a influenzare sempre più intimamente nei decenni la gioventù italiana, compenetrando alla fine gran parte dell’attuale società. La classe politica e le classi dirigenti che si sono poi susseguite, completamente asservite al potente di turno e tutte prese nell’attrazione per le egemonie straniere, han perso completamente il ricordo dei patri spiriti e tralasciato i patri doveri.  In sovrappiù, negli ultimi tempi la stolta e molesta polemica si è andata intensificando, con spunti di comicità, per fortuna. Prenderemo in esame i fatti ultimissimi di Como alquanto indicativi di una vuota diatriba che si trascina troppo a lungo e che, misurato il calibro dei contendenti, si può ben prevedere che tutt’al più finirà in tenzone sulle scene del teatro dei pupi.

   ANSA it. – 30 NOV. 2017 – MILANO. Skinheads a Como, 8 identificati.  Sono saliti a otto gli esponenti di Veneto Fronte Skinheads che hanno partecipato all’irruzione di martedì sera mentre era in corso una riunione della rete “Como senza frontiere”. Etc.  

   A questo annuncio parte il grido: “Il mondo neonazista e neofascista si sta rafforzando”. E immediata la chiamata: “Al via raduno antifascista a Como – Centro Sinistra sfila unito a Como – Giorno bellissimo, essere a Como è un dovere, siamo oltre diecimila”. E via così.

   Ci siamo voluti documentare sugli skinheads o skin che pare si traduca ‘testa rasata’, anche per capire perché tanto allarme sul ritorno del fascismo nell’insignificante accaduto di Como che ha visto per protagonisti gli skin e per superprotagonisti gli antifascisti, in diecimila spaventati da una decina di pelati, armati d’un foglietto volante. Il lettore si dirà dove sono in questa sceneggiata i truci fascisti? Per capirlo, caro lettore, dobbiamo prima conoscere gli skinheads. Troviamo che convenzionalmente si indica l’anno 1969 come inizio di questo movimento; un movimento sorto in Gran Bretagna e privo del tutto di una base politica. Infatti sorse tra i giovani della classe lavoratrice britannica e la sua base sociale sono il proletariato e il sottoproletariato; questi giovani dicono di rifarsi allo spirit of ‛69che per la verità non riusciamo a capire cosa sia, a meno che il rude boy e la rude girl, questi ragazzi di strada, non intendessero per spirit i venti delle mode giamaicane e caraibiche, nel qual caso non ci pare si tratti nemmeno di un folklore nostalgico nostrano, ma d’ispirazione esotica, d’oltre oceano, anglicizzato. I gruppi skin, testa rasata, vengono definiti ‘membri di una subcultura che spesso usano differenziarsi dal resto della società con uno stile di vita o un modo di vestire simbolici e alternativi a quelli dominanti. Una subcultura caratterizzata da una opposizione sistematica alla cultura dominante’. Il che è tipico di tutte le subculture. ‘Il termine sottocultura nell’uso comune, peraltro, è per lo più usato con una connotazione riduttiva, per indicare una condizione culturale di minore sviluppo rispetto ad altre con cui è confrontata’. Questa definizione l’abbiamo presa dal vocabolario Treccani. Altrove abbiamo trovato precisato così: ‘Il termine sottocultura si riferisce a un gruppo di persone o ad un determinato segmento sociale che si differenzia da una più larga cultura di cui fa parte’. Pare che gli skinheads siano sempre rimasti su rozze basi sociali e mai abbiano assunto una precisa ideologia politica; ma a partire dagli anni 80 alcuni gruppi iniziarono ad essere etichettati come razzisti, neofascisti e neonazisti e in contrapposizione si formarono anche fazioni di skin antirazzisti, comunisti, anarco-comunisti, maoisti, semplicemente anarchici legati al movimento no-global. Si comprende che più che abbracciare una ideologia, questi gruppi skin utilizzano o si appigliano a simbologie or di ‘destra’ or di ‘sinistra’ secondo come vengono condizionati i loro orientamenti aspiranti ad una alternativa al sistema dominante. È chiaro che in tal modo questi ragazzotti ritengono di differenziarsi, come sopra detto, dal resto della società, assumendo quei particolari simboli e costumi di vita in alternativa, secondo una propria tendenza non obbligatoriamente ideologica o, e confusamente tale, con parvenza meramente nostalgica. Quando su questo farnetico, poi, piomba l’antifascismo o cose simili, si determina un groppo d’ombre, spettri, chimere, fantasie, allucinazioni, infatuazioni, che cagiona, ingigantendo le passioni, un nocivo invasamento e grande sconcerto.  

   Stando così le cose ci si evidenzia con stringente logica che gli skinheads, qui anche in Italia come dappertutto, nascono nel seno della cultura dominante e nel tempo di tale cultura di cui vanno a rappresentare una sottocultura alternativa, o forse semplicemente s’illudono di conquistare uno spazio alternativo. A nostro modo di vedere una illusoria scelta di contrapposizione. Gli skin restano i figli della società nel cui seno è emersa la loro specifica sottocultura. Difficile è per queste sottoculture rendersi indipendenti ed esse mai riescono nel tentativo di differenziarsi. Il fascismo storico non ha nulla a che vedere con tal fenomeno, che se fosse insorto, improbabile a quei tempi, sarebbe andato incontro alla repressione o all’assorbimento in quella che si era costituita allora come Gioventù del Littorio.

   Piuttosto quel che insidia attualmente la nostra cultura classica, purtroppo già profondamente snaturata, è il democratismo, di cui l’antifascismo ultimo, totalmente americanizzato e dedito all’affarismo, è un peculiare aspetto.

   DEMOCRATISMO (o DEMOCRATICISMO) – ostentazione o falsa affermazione di principî democratici e di attaccamento alla democrazia. Così leggiamo nel vocabolario. Queste classi dirigenti, cosiddette antifasciste, che mai han conosciuto il fascismo ma ne hanno ereditato la violenza delle ‘purghe’, purghe di sangue alla fine, simulando le virtù democratiche, manifestano un comportamento ipocrita. Non possono promuovere e strutturare una buona democrazia perché mantengono il popolo allo sbando, costringendolo a subire passivamente gli eventi. Eventi dettati da potenze, lobby e culture straniere.

   “Potestas in populo, auctoritas in senatu sit”, sosteneva Cicerone nel De Legibus ritenendo il senato, il consiglio degli ottimati, arbitro delle pubbliche decisioni; quindi per un giusto equilibrio dei diritti e per mantenere lo Stato in condizioni normali e di concordia era stato appunto stabilito risiedere il potere nel popolo e l’autorità nel senato, osservandosi sempre con legge che “Questo ordine sia esente da difetti e di esempio agli altri”.

   Le classi politiche dirigenti espresse dal democratismo, ispirate dalle lobby atlantiste, sono servili, piene di difetti e certamente non esemplari, pertanto provocano solo miseria, disagio e disordine. Il popolo dissestato non ha potere alcuno e mancano i galantuomini, cioè un consiglio fide dignus la cui auctoritas confermi il potere del popolo. Quando un popolo non vive più nell’alveo delle patrie tradizioni ed è culturalmente asservito perde irrimediabilmente le sue virtù e nel turbamento che lo coglie inutilmente cerca di trovare esempi ed insegnamenti che possano essergli di guida, infatti solo dalla cattedra della perfezione possono discendere i giusti insegnamenti ed esempi di virtù. La stessa giustizia s’inclina, inizia la sofferenza sociale; la gioventù moralmente smobilitata devia. Eppure l’uomo fin dalla giovinezza ha sete di giustizia“Iustitia est divina lex, et vinculum societatis humanae”.  Così scriveva Seneca e commentava il De’ Corsini: “Dice che la giustizia è una legge divina, e uno sustanziale sussidio degli uomini che si vogliono ben vivere. Per la giustizia sempre diventò maggiore Roma: poi che non si servò, fu messa al fondo. Però è di bisogno alle terre i savi et i giusti signori: altrimenti, fa a modo della nave ch’è menata da uno che non sappia l’arte, che anniega se et altrui. Guai alla città che ha per signore il giovane et ignorante, perché non sa mantenere la diritta giustizia”.

 

 

 

 

I U S T I T I A  

 

          le tue bilance con la spada nuda

         sono del mondo perfette colonne.

      O desolata terra, o posta a guai,

       che tua bellezza mirando rifiuda!

       Sua trista piaga non sanerà mai.

                                                        CECCO D’ASCOLI