AHI SERVA ITALIA…
ahi serva Italia…
ANSA.it – 17 Nov. 2017 – Capi famiglia under 34 sempre più poveri, tassi di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa, ascensore sociale bloccato e record di Neet. In Italia la povertà tende a crescere al diminuire dell’età: i nipoti stanno peggio dei nonni. […] Ancora più allarmante risulta poi la situazione dei minori con 1milione 292mila in povertà assoluta (il 12,5% del totale) etc.
Questo dispaccio dell’ANSA, che il lettore volendo può ricercare e leggere per intero, impensierisce ancor più di quelli dello scorso ottobre che abbiam preposto all’antecedente scritto. Al rilevante decremento demografico, alla provocata emigrazione giovanile, s’aggiunge la povertà assoluta d’una gran massa di minori. Sempre più l’anti-patria minaccia i destini d’Italia, vuole impedire il sorgere e il levarsi di nuove generazioni nostrane. Sarà stranissimo, e non usiamo a caso il termine, ma l’attenzione di questi falsatori e falsatrici, tutte le loro cure, son rivolte alle migrazioni giovanili; soprattutto quelle provenienti dal vastissimo continente africano, e promettono mirabilie da questo travaso immigratorio. La denatalità non li preoccupa affatto, gli immigrati, dicono, saranno la nostra risorsa, la forza di lavoro del domani e non solo, sostiene qualche sinistra beghina, poiché essi ci arricchiranno della loro cultura e noi ci gioveremo delle loro costumanze, cambieranno il nostro modo di vivere; la globalizzazione, urla l’isterica invasata, fa circolare le merci, le cucine sono sempre più esoticamente elaborate, tutto migliorerà, noi stessi saremo migliori, e arrota l’aria con la tozza mano esagitata. Ohi, quanti beghini e quante beghine che vivono ormai nella convinzione d’essere i battistrada dell’estremo perfezionamento dell’uomo attraverso i trambusti migratori! Con tutto ciò basterebbe urlargli in testa che son dei crassi ignorantoni, estranei alla patria cultura se non addirittura avversi. Certamente una accolita, una genia che non ha amor di patria, che amor non ha per il popolo tra cui vive e pretende di rappresentare, che lo vuole senescente e messo nell’impossibilità di ringiovanirsi e di trasmettere le sue peculiari e antichissime tradizioni; non più faro di civiltà e di cultura, ma rimanenza da ridurre a gente primitiva, tra cui l’accolita possa trovarsi a suo agio. E dovunque, lungo la penisola, una società sempre più sconcia, indecente, con la gioventù in disfacimento, già guasta dall’adolescenza, abbandonata ai più grossi rischi, aggredita dalla diseducazione e quindi facilmente corruttibile. E i tristi casi di cronaca si susseguono a scadenza quasi giornaliera, bullismo, cyberbullismo, uso d’alcole, droga. Ecco altri recenti dispacci dell’Ansa:
ANSA.it – 19 Nov. 2017– Spari dopo lite tra ragazzi in quartiere movida a Napoli, quattro i feriti. Coinvolto un gruppo di giovani tra i 14 e i 19 anni. Etc.
ANSA.it – 19 Nov. 2017– Baby gang in azione a Roma, sei arresti. Pomeriggio di terrore ieri per una comitiva di ragazzi, perlopiù minorenni, che si era incontrata alla terrazza del Pincio. Il gruppo si è trovato nel mirino di una baby gang di una ventina di coetanei, di origine nordafricana, che hanno prima derubato un ragazzo di 14 anni di una cassa acustica bluetooth prendendolo a schiaffi, poi, hanno intimato a una sua amica 13enne di avere con alcuni di loro un rapporto sessuale in cambio della restituzione della cassa. Al rifiuto della ragazzina è nato un parapiglia in cui l’hanno anche strattonata violentemente. Etc.
ANSA.it—22 Nov. 2017—Accoltella la rivale in amore, denunciata 14enne. Ferita nel torinese una 15enne, l’aggressione a fermata bus. Le indagini della polizia hanno portato alla luce una presunta rivalità per un fidanzato conteso. Etc.
ANSA.it – Milano, 22 Nov. 2017—Rapinava coetanei, sgominata baby gang. Sospettati di oltre 30 colpi, 3 arresti e 4 denunciati. Servivano a comperare abiti e cappellini firmati e smart-phone all’ultimo grido i soldi che una baby gang di Milano “guadagnava” con furti e rapine ai danni dei ragazzini del quartiere. Etc.
Fatti ormai consueti cui il pubblico s’è del tutto assuefatto; da una simile situazione sociale possono prodursi fenomeni adattivi che vanno a coinvolgere gruppi di individui e gruppi familiari sempre più numerosi in una labilità psicologica inclinante a una deleteria tolleranza, con l’inavvertita conseguenza di un allontanamento da ogni responsabilità educativa. In tal caso, mancando quell’insostituibile punto d’appoggio e con gli asini in cattedra, mentre sempre più dilaga il cattivo esempio e la corruzione e con facilità ci si sente poi liberi di non dover render conto e quindi affrancati dall’obbligo di giustificarsi, i più fragili, o presi dal vizio o attratti dalla trasgressione, si consegneranno con voluttà alla malasorte. E cosa c’è di peggio della malasorte?
E se la malasorte coinvolge un paese intero? Quel paese va a picco, si rovina il suo popolo e innanzitutto la parte più esposta, la sua gioventù. Accade quando un nodo psichico di discordanza non facilmente risolubile, che tra quel popolo s’acquatta, cerca di nascondersi, cagiona una profonda disarmonia con la immancabile perdita di coesione del secolare tessuto patrio, ledendone la sostanza spirituale, culturale, morale, non tralasciando di vilipenderne con malevolenza la storia, emarginandone la miglior parte. E frattanto il rannicchiato dalla sua nicchia buia non manca di suscitare odi e repulsioni, dei quali egli mai si sazia fin quando non avverte il soffio del vento alido che porta con sé aria greve e disfacimento. E dappertutto sconsolante sterilità. E che c’è di più sconsolante di queste parole prive di sensibilità patria pronunciate da un tal Ministro Pd al Governo del Paese nel dicembre dello scorso anno 2016: “Centomila giovani se ne sono andati dall’Italia? Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più tra i piedi”.
Non lasciate inalidire, o cuori italici, i ricchi campi della Patria e le sue segrete selve; invocate, ambite alla floridezza d’un tempo, vivamente desiderate un nuovo rigoglio di giovinezza, lo spirito dei padri vi assisterà, ai volenti trasmetterà l’antica virtù. Fatica improba, dura? È il vate romano, Virgilio, il duca di Dante e cantore degl’itali campi fecondi che ancora vi sprona: LABOR OMNIA VINCIT IMPROBUS! Certo per affrontarla, questa dura e fiera fatica, occorre respingere la calca profanatrice, e con sdegno tenerla lontana, come esorta il vate ch’era in confidenza con l’almo Sol della Città eterna, l’augusteo Orazio:
Odi profanum volgus et arceo:
favete linguis; carmina non prius
audita Musarum sacerdos
virginibus puerisque canto.
Il Vate, quale sacerdote delle Muse allontana dal luogo sacro, dal Tempio, i profani, gli empi, gli ignoranti, il volgus; nel silenzio si celebra il rito; il vate-sacerdote canterà per le fanciulle e i fanciulli romani carmina non prius audita. Al di sopra dei popoli e dei loro temuti reggitori è il principio divino che muove l’intero mondo, principio luminoso contro cui nulla può l’oscura hybris degli uomini insuperbiti. Gli uomini s’adoperano in base a diversi intenti e ambizioni, secondo le scelte di vita determinano il loro destino. L’empio non avrà bene, fuggirà da lui persino il sonno, che non fugge gli uomini dei campi né i più miseri tuguri. Nulla ha invece da temere l’uomo che aspira al giusto, né lo si udrà incolpare mai gli eventi contrari della natura, sempre timori e pericoli seguono l’uomo, chi pratica la rettitudine ne è consapevole; perché allora lasciarsi prendere da sfrenate ambizioni o inseguire smodate ricchezze? Egli, il buon vate, si contenterà del modesto fondo sabino che mai scambierà con divitias operosiores, ricchezze che procurano grossi fastidi. Così, senza vanto, egli propone il buon esempio. Attraverso la lettura di questa ode oraziana, la prima del libro terzo indirizzata virginibus puerisque, apprendiamo come i romani curassero la gioventù fin dai più teneri anni e di quali menti educatrici la gioventù romana disponesse. Nell’ ode seguente indirizzata ai giovani il tono, sempre elevato, è ancor più grave e ammonitore: “ Angustam amice pauperiem pati/robustus acri militia puer/… vitamque sub divo et trepidis agat/ in rebus./… E ricalcando il poeta spartano Tirteo:
Dulce et decorum est pro patria mori:
Mors et fugacem persequitur virum
nec parcit imbellis iuventae
poplitibus timidore tergo.
Virtus repulsae nescia sordidae
intaminatis fulget honoribus
nec sumit aut ponit securis
arbitrio popularis aurae.
Il poeta romano invita la forte gioventù a sostenere nei giorni dell’ardua milizia anche le angustie della povertà e a farne utile esperienza; a trascorrere il tempo all’aperto, con audacia fra i pericoli. Afferma decisamente, sul metro spartiate di Tirteo, che morire per la Patria è bello e dignitoso. La Morte insegue senza tregua pur l’uomo che cerca di evitarla, né risparmia le terga dei giovani imbelli. La virtus, sempre ignara di sordide ripulse, rifulge di onori incontaminati, non prende o depone le scuri ad arbitrio del popolo, in specie se si abbandona a sé stesso, ai venti che lo agitano, aurae, senza riconoscer guida; non più popolo ma volgo.
ITALICE EDUCARE NECESSE EST, UT NON ALIENO MORE VIVAMUS
“Sumere aut ponere secures”, l’espressione, che testé abbiam letto in Orazio, significava l’atto di assumere o deporre la funzione magistratuale con la relativa determinata autorità e il riferimento era alle scure dei fasci, simboli appunto di autorità, comando. Nei laconici versi del poeta è fissata la solennità di quei momenti e risalta la forza, l’alto valore, la profonda significanza del simbolo. Leggiamo ora alcune righe di Livio altrettanto pregnanti:
“Rebus divinis rite perpetratis vocataque ad concilium multitudine quae coalescere in populi unius corpus nulla re praeterquam legibus poterat, iura dedit; quae ita sancta generi hominum agresti fore ratus, si se ipse venerabilem insignibus imperii fecisset, cum cetero habitu se augustiorem, tum maxime lictoribus duodecim sumptis fecit. Alii ab numero auium quae augurio regnum portenderant eum secutum numerum putant.”
Il momento è solenne. L’urbs Romana è già stata fondata, ora è necessaria la costituzione di una società, occorre un ordinamento. Romolo ha celebrato nel modo dovuto le cerimonie che riguardano la divinità. È presente il fondatore, dodici littori, dodici VIRI, quanti gli uccelli che con il loro augurio gli avevano presagito il regno, ed una multitudo, una quantità di gente stipata in folla, una massa. Romolo ha convocato in assemblea quella gente per coalescere (fondersi, unirsi) in populi unius corpus, per farne un organismo unico; non potendo ottener ciò se non con le leggi, dà loro un sistema di norme giuridiche. Ma quella gente è rustica e incolta, non pia ma superstiziosa, piegata alla vita materiale, al contingente ove tutto è accidentale e violabile. Spetta al fondatore e legislatore richiamare da quella moltitudo la stirpe latente, antica, quella che un tempo era stata e deve tornare ad essere. Da quel popolo latino-italico, inselvatichito o guasto da estranei costumi, inconciliabili con il divino modello tradito dagli avi, fa d’uopo estrarre la potenza d’un destino che adempia compiti non limitati alle quotidiane, ordinarie necessità materiali, ma mirante alla edificazione di una luminosa civiltà dello spirito. Una civiltà non particolaristica, poggiante su egoismi, individualismi o regionalismi, ma accetta ai sommi numi; opera altamente umana e pari a divina, di portata universale. È indispensabile che un popolo si formi, una gente forte non asservita al temporaneo, al provvisorio, al fortuito, premuta da una salute precaria, facilmente corruttibile, labile in tutto, ma sia presente come un’unità volitiva e concorde, libera, e nel contempo fiera di sottostare a norme inviolabili. Un popolo che accetti quel principio di inviolabilità, sanctitas, che congiunge la terra al cielo, che fa dell’opera e dello spirito costruttivo dell’uomo un ponte al cielo. Un popolo che accetta tale principio diviene un popolo di incontaminati, non assoggettabile con la violenza, non passibile di offesa, inviolabile. Per ottenere ciò l’iniziatore dovette esprimersi con simboli. In primo luogo raffigurando sé stesso in tal guisa da render palese la sua maiestas e, con questa chiara manifestazione simbolica d’un portamento degno del comando, si rese meritevole di venerazione e ancor di più circondandosi dei dodici littori, dodici quanti gli uccelli che gli avevano presagito il regno. Il vultur, l’abile volatore simbolo dell’eterno divenire, del rinnovamento. Romolo svelandosi al popolo, esponendo agli occhi di tutti la sua integra grandezza e la sua dignità, irradiò su quella moltitudine la romana maiestas e gli trasferì piena grandezza e dignità di popolo; alla sua morte quella gente si sarebbe rivelata il valoroso e vittorioso popolo dei Romani Quiriti, la cui tradizione avita era, al momento della ricostituzione romulea, rappresentata dai dodici littori, portatori del simbolo più perfetto mai espresso dalla civiltà umana, l’antico, atavico fascio littorio.
“In Roma antica, f. littorio, insegna e simbolo del potere degli alti magistrati, consistente in un fascio di verghe di olmo e di betulla tenute insieme da corregge rosse, nelle quali era inserita, lateralmente o sopra, una scure; era portato dai littori, che variavano di numero a seconda del grado del magistrato. In età moderna, la figura del fascio romano, in forma più o meno modificata, è stata assunta come simbolo durante la rivoluzione francese, e, successivamente, come insegna del Partito Nazionale Fascista. Nella terminologia politica, il termine (per estensione del suo significato di “gruppo compatto”) è stato usato dal sec. XIX per indicare organizzazioni di base e raggruppamenti a carattere rivoluzionario, spec. socialisti, sindacalisti e repubblicani (per es., i Fasci dei lavoratori, associazioni socialiste di operai e braccianti, sorte in Sicilia nel 1891 e sciolte dal governo Crispi nel 1894 dopo un periodo di violenti disordini. Etc.” (Vocabolario TRECCANI)


Fasci ed aquile comparvero sulle monete e sui simboli (1849) della Repubblica Romana di mazziniana memoria. Anche gli Stati Uniti d’America hanno diffusamente adottato, ed ancor oggi, come simbolo il fascio littorio; sulle pareti della Sala dei Congressi nel Campidoglio americano ci sono due grossi fasci littori, così alla Camera del Senato; si trovano fasci su statue di George Washington e di Lincoln rappresentati quasi a modo di littori, e poi su palazzi di giustizia, su monete, su stemmi; è nel simbolo del Colorado. E ancor oggi nel simbolo della Repubblica Francese c’è il fascio littorio (le faisceau de licteur), come nel Cantone di San Gallo in Svizzera. Lo stato africano del Camerun ha nel suo simbolo due fasci littori; l’Ecuador lo ha nel suo simbolo e altre località potrebbero citarsi, come San Pietroburgo dove sulle cancellate dei giardini estivi spiccano fasci littori che nemmeno i bolscevichi si permisero mai di svellere.


A parte la connotazione ambiguamente repubblicana e oscuramente imperialista dei fasci statunitensi e quella libertaria e biecamente eversiva assunta nel corso della rivoluzione francese, vi si abbinava infatti il berretto frigio, la notevole diffusione del simbolo antico ne afferma la vitalità a tutt’oggi, nonostante gli scalpellini antifascisti, o forse anche per il loro darsi briga, qui, sul suolo italiano. Adesso il discorso si fa complesso e richiede cura per evitare incresciosi malintesi e fraintendimenti.

Premettiamo, nell’antica Roma i fasci del littore si denominavano semplicemente fasces, ium, m. plurale; fu il fascismo a designare il simbolo col nome di fascio littorio e a diffonderne largamente un’immagine pressappoco stereotipa. Or dunque un simbolo, chicchefosse ad adottarlo, serba incorrotto il suo significato e del tutto integra la sua validità e la sua forza. Qualsisia l’impiego del simbolo, la sua ideale o mondana e temporale utilizzazione, il simbolo autentico, accolto e riconosciuto veritiero, cioè effettivo e valido, per secoli e millenni, salvaguarda da sé la propria autorevolezza. Son questi, simboli ancestrali che hanno radici profonde nell’anima dei popoli, che non affiorano a caso nel corso della loro storia e nel contempo non ne vengono travolti. Anzi, poiché i simboli non si portano impunemente, se quell’evocazione o richiamo non trova reale equivalenza nell’evento storico, o meglio leale intima adesione in chi vi agisce, cioè capi e popoli che ne sono protagonisti, il simbolo, ripreso ma non ritrovato e scientemente riconquistato nella realtà vivente, non s’attiva, non opera, o addirittura può influire (direttamente avverso?) rovesciando i piani dell’improvvido profanatore.
Abbiam letto in Livio dei dodici VIRI che muniti dei fasces, tali erano essi stessi, nel concilio del popolo circondavano Romolo; il fascismo usò il fascio ‘littorio’ al più come segno distintivo, come contrassegno di parte, né mai istituì un corpo di pubblici ufficiali designandoli littori. Immaginate voi qual fatica sarebbe costata nel XX secolo formare una dozzina di littori? Stampar distintivi e distribuirli a centinaia di migliaia, una bazzecola! Ma, i Littoriali? Semplici gare dell’arte, della cultura, dello sport; i vincitori meritavano semplicemente il titolo di littori e littrici. Eventi andati! Lo stesso secolo XX con le sue fugaci glorie e le sue immani tragedie ormai s’allontana a gran passi; dobbiamo quella storia considerarla perduta come vogliono alcuni? La coscienza intemerata di una mente saggia ci dice che non è possibile; la distanza, operando un indispensabile distacco, preparerà gli storici venturi che con un robusto setaccio, compito oneroso, separeranno la farina dalla crusca. Oggi però non è consono alla rettitudine riaprire ferite, riesumare passioni, odi e rancori, e non è nemmeno educativo per le giovani generazioni. Soprattutto non è di giovamento a questa società vacillante, che reclama salute. Voialtri, poi, che volete far credere d’aver nelle vostre tasche verità indiscutibili ed ambite per esse ad accaparrarvi il futuro, illudendovi di conquistare alle vostre concezioni e dottrine, oltre a quest’oggi, ancora il domani qualunque sia, meditate bene, saggezza lo vuole, la posterità potrebbe non accoglierli questi vostri modelli di pensiero e di condotta, se non addirittura condannarli e cambiarli radicalmente. Accade ineluttabilmente nella storia, che c’insegna la caducità del pensiero e delle dottrine nel corso degli eventi umani. Mettete da parte quest’oggi la diffidenza reciproca, vi pare che una società possa sostenersi vivendo nel sospetto? Evitate la prepotenza, l’arroganza, uccidono la grazia, la gentilezza, cagionano sopraffazione e ingiustizia, spalancano le porte al potere sempre più dispotico del Disgregatore e dei suoi accompagnatori. Risaniamo questo nobile paese, è un dovere imprescindibile.
Per un risveglio e una vera rinascenza occorre ritrovare lo spirito del retto agire che non manca di venir soccorso anche dal pensiero; pensiero espurgato però d’ogni dottrinarismo causante rigidità, indi inanità e sterilità. Spirito del retto agire che primariamente trova validità, forza e fermezza nella SPES che è la nostra FIDES; fidanza nella vita intesa non solamente come vitalità biologica e bisognevole nonché rappresentazione storica dell’io agente, ma quale spiritualità operante, atto lucente e rivendicante il proposito d’un orientamento oltre i limiti materiali, per avviarsi a una superiore consapevolezza e coscienza olimpiaca volta anche a determinare superiori destini e ad innalzare su questa terra una civiltà solare, mirata al divino e costituita da uomini giusti e concordi. È necessario destare la prisca fides, quella che fu degli spartiati, dei quiriti, ad ispirar negli animi fiducia e in uno ad esser pii e fidenti nel patrio retaggio, che feliciter trae origine dalla romana hereditas. Una fede di ferro, perché come ebbe a scrivere il giovane Novalis: “Anche il successo della conoscenza si fonda sulla forza della fede. In ogni conoscenza c’è fede.” L’uomo valente deve andare oltre l’accidente e le minute cose, deve tendere all’assoluto. Ma oggi: gente minuta i … ‹legislatori› …
In mezzo al decadimento sociale e dei valori culturali d’un popolo, del disfacimento dei suoi costumi, del suo collasso spirituale occorre saper riconoscere ciò che ancora vale e vi perdura e chi ancora resta in piedi fiero di un sincero patriottismo, fermo nei suoi principi, libero da dogmatismi, pregiudizi e rancori. L'unione di questi cuori franchi e menti generose che iniziano con salda fede a lavorare su quel che ancor di valido resiste e che il bieco antipatriottismo non riesce a scalfire, nel costume, nella cultura e nell’animo della parte sana del paese, può indubbiamente portar frutto e salute. Il solo propiziarlo è un bene, il promuoverlo un merito.
Il mese scorso un nostro conoscente, persona molto cordiale, con il quale c’intratteniamo spesso a conversare, nel tempo libero si dedica alla lettura della storia antica della quale è intelligentemente curioso, ci confidò il suo disappunto per avere appreso che nella sua città la municipalità aveva ordinato la recente rimozione di alcuni fasci littori dalla facciata d’un pubblico edificio. Il nostro interlocutore è un liberale sincero ed equivalentemente austero, senza mezzi termini critica la dittatura fascista e il regime in guerra, ma trova sconsolante questi atti distruttivi di simboli legati alla nostra memoria storica. In età antica la sua città era pur stata un Municipium romano e i suoi abitanti avevano in seno allo stato romano i doveri e i diritti della cittadinanza romana, quei fasces rappresentavano pur quest’orgoglioso ricordo.
Ci vien da riflettere amaramente che questi comportamenti derivano dalla miseria del comune prevalente pensiero e da una diffusa indolenza, ormai di costume e di cultura. Questi sono i tempi del progresso tecnologico e degli uomini che vantano le loro scienze materialiste, desertificanti, sinistramente inclini alla distruzione del pianeta, ma son pure i tempi dell’ignoranza del vero sapere, sono i tempi del non conoscere e del non conoscersi ed è soprattutto questa oscurità che i padri van trasmettendo ai figli. Ben dice Cecco d’Ascoli:
Uomo disposto dal superno lume
Leggeramente allo ben si conduce
Se non l’offende il paternal costume,
Ché la villana natura paterna
Che passa nel figliuol naturalmente
Ripugna all’influenzïa superna.
Se, come abbiam letto tra le righe del racconto liviano su riportato, i fasces significano l’uomo che ha legato a sé ed in sé le virtù del cielo onde farsi sulla terra manifestazione di quella superna giustizia, è ancora il d’Ascoli:
E come il Sole illuma l’orizzonte,
Così fa questa con lo giusto zelo,
Illuma il mondo dando a ciascun merto,
E pena vendicando sopra l’onte.
Per lei sta il mondo che non è deserto.
Se è così, ed è così, ci riallacciamo al periodo sopra lasciato apposta sospeso, rimuovere ed infrangere i fasces è un atto blasfemo, rappresentando essi in terra il più perfetto e universale simbolo della Giustizia:
Giustizia non è altro, a mio vedere,
Che a ciascun tribuendo sua ragione
Con il fermo e perpetuo volere.
Giusto è quegli che vive onestamente,
E non offende altrui né fa lesione,
A ciascun dà suo merto puramente.
E questi porta del trionfo olive
E nell’eterna pace sempre vive.
È anche un’azione antipatriottica infrangerli, infatti non tien conto che il simbolo dei fasces è nato sul suolo italiano e tra la gente latino-italica in tempi ormai remoti accompagnando tutta la storia di Roma, e non è mai caduto né cadrà mai in oblio; e dalla nostra penisola s’è diffuso nel mondo ove ancor perdura come abbiamo testé sopra illustrato. Simbolo perenne e universale della spirituale idea civilizzatrice di Roma, cui risale la nostra civile cultura e dell’Europa intera. Come tale sta in noi latini e dalla nascita a rassicurarci nella sua qualità di immagine ancestrale, rappresentazione secolare, terrena, dell’oltremondana virtù della giustizia; severo, sacrale significante che ispira debita osservanza e un profondo rispetto, tranne che nell’individuo imbarbarito, tendente al primitivo. L’uomo decaduto, ridotto rozzo e ignorante, non solo mancante di cultura ma anche della vera conoscenza, è un individuo completamente privo di discernimento, quindi di giudizio. In qualunque vocabolario della lingua italiana troverete che il termine discernimento ha il senso di capacità di discernere con la mente, indicandosi così l’assennatezza e l’oculatezza nelle valutazioni; in breve, la facoltà stessa del ben giudicare; s’intendono i versi del d’Ascoli sopra riportati: “E questi porta del trionfo olive/e nell’eterna pace sempre vive.” Sempre sereno è colui che giudica con mente non macchiata da iniquità. Giudicare è saper rettamente distinguere. Nel simbolo dei fasces c’è anche questo, la scure che col taglio acuto separa, scinde, recide: simbolo dell’autorità che sa scientemente distinguere, padrona dell’acuto, accorto discernimento. Se il sentire ancestrale con i contenuti che vi si celano, con la coscienza della persona e la sua patria cultura coincidono e s’accostano ad una determinata raffigurazione simbolica e questa a sua volta agisce nella realtà del profondo della persona che del simbolo fattivamente s’avvale, e nel popolo che devoto l’assume, il simbolo manifesta la sua efficacia con la potenza dell’idea e dei valori di cui esso porta significazione. La sorte, se favorevole o avversa, dipende da chi quel simbolo adopera, dalla sua lealtà e correttezza nella condotta realizzatrice. Se quel simbolo rappresenta un’Idea che si ha il compito di attuare e di offrire al mondo, non si può barattare quell’idea o concordare alcunché con l’avversario che quell’idea ripudia.
Da Marte viene la fortezza umana
Quando si mostra sua benigna luce
Che di sotto l’Arïete s’intana.
… … …
Fortezza non è altro definita
Che alma costante nuda di paura
In ogni avversa cosa della vita.
… … …
Ma la fortezza tegno virtuosa
Cui per tre modi l’uomo s’abbandona,
Che fan nel mondo la vita famosa:
Prima, per non ricever disonore
Nelle sue cose, poi nella persona,
E per sua terra conservando onore.
Sono ormai parecchi decenni che le incomprensibili establishment ‘italiane’ hanno rinunciato alla cura della gioventù e alle primavere Italiche, alla benigna luce. Queste pavide ‘classi dirigenti’, alme incostanti, spregiatrici della fortezza, sono gli eredi, i relitti di un naufragio: una sconfitta disonorevole. Il popolo italiano non seppe prepararsi alla guerra, parare se ad proelium; nonostante il sacrificio di molti generosi, alme costanti nude di paura, non fu in grado di conservare l’onore della Patria. Son passati tanti decenni e la gente di questo paese vive ancora sotto il peso di quel disonore con le parti politiche tutte asservite ai vincitori. Il fascismo cadde combattendo sotto la scure dei fasci statunitensi, l’antifascismo resta, e perennemente, asservito a quei fasci d’oltre oceano. Fasci usurpati da un imperialismo (demolitore di civiltà) che non potrà mai ottenere la convalida dell’universalità, perché non aperto al mondo dello spirito, ma rudimentale, informe, confinato nel prepotere di una espansione commerciale e materialista. Un odierna Cartagine planetaria.
Un artificioso conflitto, fascismo-antifascismo, intenzionalmente suscitato soprattutto in Italia, espone subdolamente il nostro paese al ridicolo con gran soddisfazione di chi ne trama il completo disfacimento, cioè la distruzione d’una cultura millenaria, per sostituirla con un abbietto multiculturalismo, la sinistra perdita d’ogni orientamento spirituale, politico morale, sociale e culturale; per approdare dove? Nel buio porto dello smarrimento dissolutivo della civiltà che fu romana, italica, europea.
Questo trinomio – Roma, Italia, Europa – è a parer d’ogni vero patriota inscindibile, la nostra grande Patria, il ritorno dell’Idea Romana, Perenne Idea di Civiltà. A gran voce oggi il Cielo, la Terra e il Mondo reclamano il Civilizzatore.
Avete orecchie e non sentite, avete occhi e non vedete; le vostre lingue sono bifide, perché avete perso il linguaggio della verità e vi combattete l’un l’altro con la menzogna, affilando lo stiletto dell’ipocrisia.
E più l’uomo non è quanto si mostra,
E più desïa la pomposa lode
E forte sprezza questa vita nostra.
Questa sì è l’alma dell’ipocrisia
Che della vana glorïa si gode
Voltando l’intelletto a fantasia.
La falsa nominanza poco dura
A chi ben parla e malamente vive
E a chi coprir si vuol di sua natura.
Ben è scoperto chiunque vuol celare
Agli occhi umani le opere cattive
E il perso per lo bianco dimostrare.
Prestate attenzione ai versi dell’Ascolano e non voltate l’intelletto a fantasia per soddisfare la vostra vanagloria, così non fate che promuovere rovine, altro che avanzamento! Vi aspettate la pomposa lode dei posteri? Sarà un giudizio duro e sprezzante, una condanna inesorabile della vostra malefatta, se non una maledizione. Non sprezzate questa vita nostra, il nostro spirito di costruttori di civiltà, i nostri costumi atavici, la nostra cultura e le nostre colture che hanno abbellito e allietato il mondo. Per millenni i popoli hanno vissuto e goduto della propria spiritualità e cultura, han celebrato i loro antenati e iniziatori, han custodito le loro leggende e i loro costumi e Voialtri volete imporre un innaturale multiculturalismo, una ibridazione globale, per promuovere la vostra mercatistica e un turpe affarismo senza frontiere? Con la vostra sbilenca, sciagurata nave spingerete questa vostra merce avariata nel porto del nulla. Vi presentate in veste di filantropi, mentre dentro nutrite l’ostinazione dei despoti, ribelli all’ordine divino, sovvertitori dell’armonia e della concordia sociale, soppressori della bellezza. Ipocriti, riprende l’Ascolano, sappiate che le opere cattive non possono esser celate agli occhi umani, una volta o l’altra l’occultatore viene scoperto! Sarà presto scoperta tanto spudorata menzogna.
Si leva di nuovo alto il trambusto, “sta tornando il fascismo”, gli antifascisti cercano di allarmare il popolo. In verità non accade proprio nulla, si tratta ancora di quel voltare a fantasia. Fascismo/Antifascismo, infatti, è una falsa antitesi che ha acquistato credito soprattutto nel secondo dopoguerra quando le armi degli alleati con la preponderanza di quelle yankee e a duci i fasci statunitensi abbatterono il fascismo di Mussolini. Per quanto riguarda il neofascismo, poi, non s’è capito mai bene cosa sia; infatti, nonostante le leggi repressive è stato sempre presente anche in parlamento. I gruppetti di giovani, che a intervalli protestano contro il potere democratico per il disagio in cui si trovano, non sono affatto distintamente ideologizzati, sembrano più spesso smarriti e confusi e utilizzano simbologie fasciste solo perché non sanno a che appigliarsi, e infine ci son gruppuscoli dell’estrema sinistra anche più sfrontati e temibili.
Quando una rilevante fazione politica o un grosso aggregamento sociale, religioso o altro viene eliminato in seno ad un popolo sul di cui immaginario ha inciso compatto per una serie d’anni, specie se rovesciato con la violenza, il soppressore accoglie in sé, inconsapevolmente introiettandolo, buona parte del retaggio dell’avversario sanguinosamente eliminato. Generalmente ne eredita il peggio. È un fatto inquietante e serio, e preoccupante, perché trattasi d’un retaggio larvale, che può esser anche trasmesso. Il fantasma dell’assassinato Banco al banchetto di Macbeth e i tormenti di Lady Macbeth nel famoso dramma di Shakespeare. È una triste eredità, il subentrante potrà essere ossessionato dal ritorno dello sconfitto, nutrirà odio e rancore per tutto ciò che glielo ricorda, anche anaglifi, scritti, discorsi e persone; manifesterà intolleranza, prepotenza verbale e persino poliziesca fino ad assumere sfacciatamente atteggiamenti dispotici; eguagliare la follia della caccia alle streghe. Del resto il fanatico democratico non è men pericoloso del fanatico fascista o pseudo tale, del fanatico comunista o para tale, del settario religioso e così via. Per questo insistiamo nel dire che a tutt’ oggi Fascismo/Antifascismo non è altro che una falsa antitesi. Da questa sospetta contrapposizione non bisogna lasciarsi irretire; le due ambigue posizioni si equivalgono.
È tempo di spazzar via le larve, odi, rancori, è tempo d’ invocare i patri propositi; è tempo di lavorare per il reale risorgimento della Patria. I patrioti sinceri sono dalla parte della ragionevolezza e possono rivendicare a testa alta il diritto di difendere la terra e la cultura dei loro avi dal barbaro interno ed esterno, difenderle con intelligenza e coraggio, perché si tratta di far rifiorire una civiltà dello spirito e di sottrarre le giovani generazioni alle miserie del materialismo, conservando intatto l’onore della nostra e loro terra. Si riuniscano le patrie forze: novelle mura spartiate, virtuose giovinezze quiriti, affinché il barbaro arretri e venga smascherata la mendacia e l’inganno delle prave fazioni antipatriottiche.
Occidente ed oriente, Roma allo zenit.
Arduo impegno, severo dovere! Urge l’impiego di tutte le proprie forze, molto amore e fede costante ed onore, cioè la dignitas necessaria per porre in limiti precisi la lotta rivendicante i patri giusti principi, onde suscitare un’aspettazione fiduciosa, quella speme che concorda con una effettiva fidanza; speme e fidanza che si concretizzano in azione realizzatrice sostanziante la mercede, il merito, ovvero il riconoscimento della intrapresa e voluta realizzazione. Il bene della Patria, alto adempimento dell’intelletto umano cui tocca appunto in sorte come mercede. Tant’ha di bene l’uomo, quanta consapevolezza e conoscenza ha con intelletto maturata; conoscenza che per dritti sentieri lo conduce alla spirituale realizzazione e uno dei dritti tramiti è la Patria avita, la tradizione dei Padri, il vivere more maiorum, il ciceroniano sanctissime se gerere.
Tant’ha di ben ciascun, quanto ha d’amore,
Tant’ha di ben ciascun, quanto ha di fede,
Tant’ha di ben ciascun, quanto ha d’onore,
Tant’ha di ben ciascun, quanto ha di spene,
Tant’ha di ben ciascun, quanto ha mercede,
Quanto ha intelletto l’uom, tant’ha di bene;
Però che conoscenza d’intelletto
Conduce l’uomo per li dritti trami
Onde consegue il glorioso effetto.
Cecco d’Ascoli
CONCLUSIONE quantunque DEMOCRATICA
ANSA.it – 30 Nov. 2017 – BRESCIA. Cocaina nel sangue di due bimbe abbandonate in auto, potrebbero averla ingerita. Il padre era andato a giocare alle slot-machine mentre la madre si prostituiva. Il procuratore dei minorenni di Brescia: “Siamo davanti ad un caso molto grave. I valori della cocaina sono ancora più inquietanti dell’abbandono”.