IL CONFLITTO
I L C O N F L I T T O
Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi, gli altri liberi. (Eraclito)

Sostiene Eraclito che il mondo fenomenico e quindi il mondo dell’esperienza umana è dominato dal Conflitto, Polemos, padre e re di tutte le cose. Gli uomini che si sono elevati al divino, intendendo e penetrando il Conflitto ed esercitando la virtù che provoca il distacco dalle vicissitudini e dalle prove del mondo sensibile, sono i liberi, coloro che hanno raggiunto l’armonia, «accordo consonanza», coloro che sono tornati in unità. E l’ineccepibile sapiente, l’inattaccabile distante aristocratico, ascosa inviolabile fortezza, che i contemporanei, volgo ch’egli spregiava, chiamarono l’Oscuro, rimarcò pertanto in faccia all’uman genere che “indole all’uomo demone”: ἦθος ἀνθρώπῳ δαίμων. L’indole: innata possa agente nel profondo dell’uomo, segreto potere che può inclinare alla rettitudine, alla virtù o, all’inverso, cedere al mal uso.
Spetta dunque unicamente all’uomo, viene dalla sua disposizione ad evolversi spiritualmente e a conoscere in profondità sé stesso, l’orientamento del suo personale destino.
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Il conflitto è componente integrante della vita umana, si trova dentro di noi e intorno a noi.
Al modo che conosci te stesso devi conoscere il nemico. Così operando, pur se costretto ad affrontare numerose battaglie, mai incorrerai in gravi pericoli.
Se si conosce l’altro e si conosce se stessi, sicuro sarà il successo; non si corrono rischi, anche in molteplici combattimenti. Ugualmente se si ha di fronte il nemico, la vittoria è sicura se di lui si mostra conoscenza come di sé stessi. Conoscendo sé stessi, ma non conoscendo l’altro si hanno uguali probabilità di vittoria o di disfatta. Se nello scontro non si conosce l’altro e non si è giunti alla conoscenza di sé stessi si rischia di soccombere sempre. (Sun Tzu)
Eraclito nacque ad Efeso nel 535 a.e.v. e vi morì nel 475, Sun Tzu ebbe i natali nella Cina settentrionale nel 544 a.e.v. e lasciò questo mondo nell’anno 496; vissero i due nello stesso tempo, quasi coetanei, ma senza che l’uno, per quel che ci è noto, sapesse dell’altro. Si tramanda che Sun Tzu fosse un generale, un uomo d’armi versato negli studi filosofici e che scrisse un trattato di strategia, L’arte della guerra. L’intuito filosofico che sottostà alla stesura del manuale è però di alto livello e individua non un mero pensatore, ma un praticante della vera filosofia, una pratica aristocratica alla maniera eraclitea. Probabile che il manuale strategico sia di pugno d’un discepolo di Sun Tzu dedito al mestiere delle armi, un discepolo che aveva appreso appieno l’insegnamento del maestro. Al maestro spirituale, dall’animo aristocratico e virilmente guerriero, a Sun Tzu non pare piacessero le macellerie e le stragi, ecco un suo profondo suggerimento: “Il grande condottiero è colui che vince senza combattere”. Una precisa, chiara raccomandazione. Colui, infatti, che conosce sé stesso e ugualmente conosce chi ha di fronte ha risolto in sé il conflitto ed è vittorioso, perciò fuori d’ogni mischia.
Come Eraclito anche Sun Tzu sostiene che il conflitto è dovunque intorno all’uomo, per cui anche dentro l’uomo; entrambi insegnano che la necessaria conoscenza di sé stessi porta alla conoscenza del nemico e quindi fa dell’uomo spiritualmente evoluto un vittorioso; lo stato d’ignoranza precipita il privo di coscienza nella mischia, nel conflitto, ove costui rischia di soccombervi e per sempre. Tremenda responsabilità, un oltremodo con il quale deve necessariamente confrontarsi, perché l’uomo ha in sé il suo destino; ed avrà il virtuoso potere di dirigerlo, se virilmente e con distacco afferma e mai disdice.
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IL CONFLITTO OGGI
Oggi non ci sono saggi e sapienti che placide et manifesto vanno in giro per il mondo a dar buoni consigli, se richiesti da avveduti e prudenti governanti; le democrazie, magno apparatu, han fucinato a miriadi homines negotiosi et in re publica improbe ac versutissime exercitati da poter fare a meno dell’impaccio di onesti, giudiziosi e ragionevoli ministri, e più che di strateghi, duces, poi, esse abbisognano di trafficanti d’armi e di stragisti altamente specializzati. Se, infine, tra tutta questa gente foste voi intenzionati a cercare un uomo dabbene, interrogate il cane di Diogene, scuoterà il muso per farvi intendere che ad oggi non gli è capitato di fiutarne alcuno. Se anche voleste rivolgervi per eccesso di zelo a sua sovranità il popolo, ebbene interrogando gli individui uno per uno l’esito sarà una monotona stanca lamentela; consultando l’intera corona non ne cavereste un ragno dal buco. I Superiori sconosciuti, cioè il Potentato Suprême e i suoi mezzani, gli improbi versuti homines negotiosi (recte:pupuli), se ne infischiano del popolo; uno schernevole gioco del Potentato consiste nel cimentare nelle piazze, a prevenir gli sfoghi, questi suoi servili demagoghi e, al solo scopo di farsene schermo, nell’esporre alle lamentele populiste questi scapati burattini in mentite spoglie di legislatori e governanti, e poi soma e randello… arri là, somarello!
E l’accolta dei ciuchi si fa sempre più numerosa… Vanno coi musi chini, i grandi occhi vacui e smarriti, dilatate le pupille, torpide e confuse; pupille visionarie, avvezze alle maratone televisive, ossessionate da allucinatorie apparizioni di marabut ad ogni angolo di strada. Le stesse pupille che si rasserenano allorquando sul teleschermo compare il primo Ministro britannico a minacciare i russi; una signora linguacciuta dal caschetto color cenere e dal piglio duro della posseduta, che stranamente riesce a rassicurare i telespettatori lasciando immaginare loro d’aver or ora sculacciato sonoramente quel birbante d’ un Putin. Una tardona che avanza sullo schermo con il passo d’un gendarme sassone, affiancata da un ministro, grassoccio e biondastro, che buffamente pretende di far credere al mondo intero d’aver catturato nel suo pugno, lui abitator di parva scogliera, l’immenso corpaccione euro-asiatico della Grande Madre Russia. Quali ilarodie accuratamente imbastite! E qual cinico, perverso burattinaio! Che broccoli, e che marpione d’un regista quel Potentato nascosto! Mortaretti e tric trac, nella scena finale? Probabile, molto probabile. E, infatti, l’accolta dei ciuchi, continua a pascolare indifferente per le strade e le piazze d’Europa. Davvero crede cotanta ciucheria che questi prepotenti signori di Bretagna, di Francia, di Spagna e gli altri di qua e di là dell’Atlantico, siano tutti così provveduti e sicuri, perché se la passeggiano notte e dì armati fino ai denti di atomiche bombe dissuasive? E che rimugina nella sua mente nefaria il Potentato, cosa gli suggerisce il Disgregatore, suo demone criminogeno, del quale lui e i suoi compari rappresentano l’organismo bionico su questo globo terraqueo? E se, nella scena finale comparissero enormi fungaie atomiche? O solo… un deserto di ceneri… nihil…
Davvero, sì! Dopo Hiroshima e Nagasaki, si son tutti convinti che la bomba atomica sia la salvezza del mondo, ovvero li hanno convinti; mentre i loro sogni diurni e notturni son da qualche decennio turbati da truci marabut armati di scimitarra, fuor dall’inconscio onirico di… kalashnikov!
E le centinaia e centinaia di guerre combattute in questi ultimi settant’anni e le rivolte e le stragi e i milioni di morti? Non ci impegneremo in enumerazioni e computi, richiederebbero le pagine di molti grossi volumi. Diremo semplicemente che una così diffusa narcotizzazione dei popoli nei confronti di una inesauribile, estesa belligeranza che provoca immani stragi e rovine, è il risultato soprattutto dell’uso aggressivo della televisione, fomentante contrasto e incessante disputa; infernale fabbrica di menzogne, il più perverso strumento mai apparso sulla scena del mondo. Pernicioso quinto potere, ma che corrisponde del tutto, da una parte, alle pretese di dominio d’una mente iniqua, strumento di potere subdolo, adattabile a qualsiasi piano di sopraffazione, a qualsiasi criminale intento, dall’altra, confacente a manovrare le masse e all’occorrenza i moti popolari.
“Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, sarebbe cambiata l’intera faccia della terra”. È il famoso aforisma di Pascal. Ebbene, il 5 febbraio 2003 al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il Segretario di Stato degli USA, Colin Powell, tenne un minaccioso discorso contro l’Irak di Saddam Hussein, prodromo di guerra per quel malcapitato Paese. Gli USA e i loro alleati sostenevano che l’Irak producesse armi batteriologiche. Nel bel mezzo del discorso Powell sollevò in alto tra le dita della mano destra una fiala contenente polvere bianca, a suo dire antrace; la prova che quello 'Stato canaglia' ormai rappresentava un pericolo incombente su tutto il genere umano. Quel gesto non era improvvisato o spontaneo, ma ben studiato da esperti di guerra psicologica. Milioni e milioni di individui videro quel gesto e quella fiala maledetta sugli schermi televisivi del mondo intero per giorni e giorni. L’Irak era ormai isolato, l’aggressore poteva agire impunemente. Lo strumento televisivo aveva di gran misura già determinato l’esito della guerra. Quella fiala agitata in tivvù aveva di colpo suscitato dall’inconscio collettivo delle masse, soprattutto d’occidente, memorie di cruente caccie alle streghe, di caccie agli untori. Lo stregone era già condannato, già approntato il patibolo. C’è chi ben ricorda l’enormità del nodo scorsoio per impiccare Saddam; quel capestro fu addirittura esibito alla vista di tutti, sullo schermo! Rappresentava la soddisfazione dovuta al perverso piacere delle 'consenzienti' masse di cui s’erano sollecitati gl’inferi incubi e terrori. Nessuno ha fatto gran caso alle centinaia di migliaia di morti, alle sofferenze dei bambini, alla distruzione d’una nazione, alle rovine in cui ancora versa l’Irak. Se non ci fosse stata la televisione, forse la storia dell’Irak sarebbe stata diversa. E le ‘primavere arabe’ con l’esportazione famelica della democrazia? La televisione ne ha accompagnato la trionfalistica avanzata, trascurando stragi, distruzioni e sciagure, il Mediterraneo completamente invaso e sconvolto e la martoriata, in rovine, e ancor minacciata Siria.
Recentemente i governi fantoccio dell’occidente sostengono, per partito preso, il caso degli Skripal, avvelenati da gas nervino sul suolo inglese e bellicosamente danno addosso al nuovo untore, il Presidente d’un grande Paese, la Russia, aizzando, senza alcuna prova, un dissidio nocivo e altamente pericoloso. I popoli tacciono! Più quegli spiritati si agitano, minacciano, espellono diplomatici, comminano sanzioni e più la gente se ne rimane tranquilla. Come mai? È probabile che, seppur a livello d'inconscio, i popoli avvertano che questi pupuli non valgono niente e quindi li ritengano incapaci di assumersi la responsabilità d'una guerra e ciò li tranquillizza: vale a dir, can che abbaia non morde. Ma, occorre qui dirlo, i popoli ignorano che è il Potentato Suprême a muovere sulla scena i burattini. I burattini son burattini e quindi privi di conoscenza; asserviti, nulla fanno per sottrarsi allo stato d’ignoranza. E, allora? Stando al manuale di Sun Tzu, proprio nell’ignoranza, nel non conoscersi, s’annida il pericolo: “Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai nel conflitto”.
La tivvù stempera il conflitto sul suo ipnotico schermo, mentre la accolta ciuchesca somatizza il tutto con un grottesco sbadiglio ragliante. I grossi strateghi della finanza globalizzata studiano nell’ombra le loro strategie assassine sul manuale di Sun Tzu, libro di Maestria guerriera da essi capovolto con losco intento in un grimorio di magia oscura. Al Suprême della finanza usuraria è sconosciuta la FORTEZZA DELLO SPIRITO, il suo artiglio di rapace da cortile affonda nel fango del più bieco materialismo; ostinato nel suo odio verso l’UOMO, provoca quindi continui scontri e mantiene il mondo sotto una impellente minaccia di guerra, ché gli arsenali nucleari, stolida brutale potenza, sono ancora nel suo controllo. Ma, sempre
il guerriero vittorioso prima vince e poi va in guerra.
Il savio di Efeso, nella serena dimora foranea, là, nei sempre fiorenti giardini di Artemide, serba da sempre intatto il suo aristocratico distacco.
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Non è mai andato perduto il retto agire, e neppure il tempo in cui avvenne; non perché esso permanga in quanto opera e tempo, ma perché, sciolto dall’opera e dal tempo, è eterno con la sua qualità nello spirito, come lo spirito è eterno in sé stesso. (Meister Eckhart)

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