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LA ZIFRA D’OMBRA E L’ETÀ NUOVA

                           

 

 

LA ZIFRA D’OMBRA

 

e

 

l’Età Nuova

 

 

 

Concordia parvae res crescunt, discordia maximae dilabuntur

                                                                                  SALLUSTIO

 

Nello scorcio di questo secondo decennio che s’avvia a concludersi, par che questo XXI sia un secolo avviato ad altissima velocità alla catastrofe, abbiam constatato nelle nostre terre un irrefrenabile peggioramento dei costumi, un serio deterioramento dell’ordine sociale, una voluta deturpazione dello spazio culturale che arriva addirittura a forzate sconciature linguistiche. Questo popolo, un tempo sveglio e sobrio, con la sua gioventù alacre, goliardica, tenace, entusiasta; un popolo sano di agricoltori, artigiani, funzionari diligenti, ordini professionali responsabili e creativi; un popolo sicuro di sé e fedele alla sua civiltà, generoso e intensamente incline al BENE COMUNE’. In breve un popolo sincero, malauguratamente oggi disorientato, disfatto. Una gioventù infingardita, spinta all’alcol e alle droghe, in preda al dubbio, smarrita; una gioventù minata dagli psicofarmaci, dagli eccessi del consumismo, dall’edonismo dissipatore, incapace di darsi una disciplina onde affermare una propria virtù, una consapevolezza di più alti valori, che non sia il vivere alla giornata, nella precarietà assoluta, senza neppure uno sforzo per ottenere equilibrio e stabilità in sé e la fermezza nell’agire. La perdita d’ogni patria aspirazione, d’ogni tràdito sostegno e di conseguenza il distacco dai fati divini. Rattrista molto imbattersi in volti incanutiti anzitempo, ancor più sconfortante notare segni di precoce malizia sul viso d’un ragazzetto che s’atteggia a spudorato bricconcello; giovanissimi e già ansiosi di praticare un velleitario ribellismo. Nell’VIII secolo a.e.v., Esiodo scriveva: “stirpe di uomini effimeri, quando ai nati cominciano presto a ingrigire le tempie. Il padre non sarà simile ai figli, né a lui i figli… Non verranno onorati i genitori appena invecchiati, che saranno al contrario, biasimati con dure parole.”  Sciagurata, apostrofa il Poeta questa stirpe caduca perché, allontanatasi dal divino, si è precipitata nel bieco materialismo procurandosi ogni sorta di mali.

   Il dogma egalitario, che ha portato a una successione di abitudini negative apprese dai bassifondi dell’istintualità generale, ha cancellato la buona educazione d’un tempo, quella che dagli avi giungeva attraverso i padri ai nipoti, rinnegata questa affabile continuità i figli non si son più riconosciuti nei padri e così di seguito. L’educazione modellava e temprava il carattere e, acquisendo un proprio originale temperamento, ogni persona s’arricchiva d’una propria esperienza interiore e cresceva in consapevolezza. Più si è consapevoli, più si migliora e più si è liberi; la condizione di chi non conosce sé stesso si definisce ignoranza. Chi si bea del proprio egoismo e di materialità, l’essere grossolano, non si libera, non si sublima. Nessuna democrazia al mondo opererà tal prodigio. Essa non era altro, un tempo, che una delle forme di governo, da migliorarsi sull’esempio e la pratica delle vere aristocrazie guidate dai sapienti; oggi essa è peggiorata molto perché è soltanto una ideologia, tra l’altro irriducibilmente dogmatica, e che copre, populo coram, gl’interessi delle oligarchie capitaliste e delle lobby finanziare mondialiste. Ben l’ha definita l’acuto saggista di Baltimora Henry L. Mencken“La democrazia è una forma di religione. È l’adorazione degli sciacalli da parte dei somari.” Notate! l’accorto scrittore non fa riferimento all’asino, il mansueto animale, ma ai somari, cioè a coloro che portano la soma: gli schiavotti! Se intendiamo rettamente il sublime significato della parola libertà, così come la rappresentavano i Romani e non i giacobini ghigliottinatori e i loro potenziali emuli contemporanei, infatti, non c’è democrazia che possa davvero regalare la libertà a nessuno, siano individui e tanto meno gruppi sociali o addirittura intere masse, com’essa subdolamente promette. La facoltà di fare i propri comodi, e in specie con riguardo alle dirigenze, questa sì, ma essa non migliora nessuno.  Né è sufficiente la libertà di movimento o la cosiddetta libertà di pensiero entrambe oggi controllabili e influenzabili se non addirittura sottomesse mediante condizionamenti (persuasori occulti, riflessi condizionati, il potere dei mass media, servizi segreti, leggi negazioniste etc.).  Non si migliora se non si ha il giusto concetto e il generoso intento di operare per il BENE COMUNE’. E attenzione, quando ci riferiamo al BENE COMUNE’ intendiamo qualcosa di più grande che non sia la semplice cura degli interessi e dei beni meramente materiali d’una nazione. Per questi ultimi è sufficiente un onesto buon amministratore; per il BENE COMUNE’ occorre ben altro che mestatori improvvisati, sprovveduti e insipienti. Per la custodia di tal bene è indispensabile l’azione virtuosa di coloro la cui saggezza di ottimati e la cui nobile anima sia un tutt’uno con la tradizione e l’anima della Patria, e sin dalle origini. L’azione salvifica di coloro che sanno sottoporsi alle leggi che regolano la vita dello spirito ed hanno il perfetto dominio sull’istintualità, che si sono affrancati dalle branche del materialismo, dalle bramosie: sub lege libertas e Orazio nell’ode ai Romani (verso 5)“Dis te minorem quod geris, imperas”.

   LEXlegis – LUXlucis: Legge, norma, regola – Luce, splendore. Chi ha la conoscenza è buon reggitore, guida e governatore, a lui è dato vedere nei fati della patria e schiarirli e quindi, agendo impersonalmente per il BENE COMUNE’, tramandare lume e splendore di civiltà.  Mancando di buon nocchiero, prima o poi la democrazia inavvertitamente si trasforma in tirannide. Platone, nella Repubblica: “È naturale quindi, continuai, che la tirannide non si formi da altra costituzione che la democrazia; cioè, a mio avviso, dalla eccessiva libertà viene la schiavitù maggiore e più feroce”.

   La somma libertà è quel principio che eleva ai superi, che dignifica, che conferisce nobiltà. Non è da tutti. L’eccessiva libertà, quella concessa dalle democrazie, in primis alle sue dirigenze oligarchiche e postea alle popolazioni per opportunità elettorali, ovviamente più che di libertà è appropriato parlare di licenza che sempre più spesso vale per licenziosità, invece è catagogica – dal verbo greco κατάγω, sostantivo καταγωγή, portare in basso condurre in giù. – E non c’è da aggiungere altro.

   Non è probabile oggidì che si verifichi un miglioramento della democrazia; una volta premesso il dogma egalitario non è possibile immaginare persone di maggiore capacità, come da noi sopra supposto. Il termine aristocrazia che prevede la partecipazione degli ἄριστοι, cioè dei migliori, gli ottimati, è grossolanamente alterato nel suo reale significato e per mera ignoranza viene usato dai più per indicare i ricconi della finanza, i grossi potentati economici; alterazione diffusa artatamente dagli intellettuali e demagoghi marxisti. C’è da credere che l’uomo d’oggi non sia in grado di ritrovarsi migliore di quello che è, appiattito sulla vita materiale così come il sistema democratico-mercantile esige che sia, cioè facilmente manovrabile. Tutto ciò potremmo, e solo paradossalmente, definirlo idilliaco, ma non lo è, così come ciò che è accaduto proprio in questi primi giorni di febbraio in quel di Macerata e che tumultuosamente ha investito tutta l’Italia. Un qualcosa di insueto e di raccapricciante ha occupato con l’ausilio dei mass media le menti inconsapevoli e pur timorose; un qualcosa venuto da lungi, che per insinuarsi approfitta di una breccia predisposta nell’animo della nostra gente, di una spaccatura. Un vecchio contrasto  va di nuovo acuendosi da  alcuni anni nel paese, per mostrarsi pubblicamente in forme di fanatismo e di isteria, e  viene indicato, o meglio semplificato dai media, con lo slogan fascismo/antifascismo; slogan ripreso e lanciato artatamente da chi ben sa e vuole che “duas ex una civitate discordia facit”(Livio);in tale spaccatura tenta di insinuarsi, dicevamo, qualcosa che viene da lontano, estraneo al nostro suolo e ai nostri cieli; ed è un che di mostruosamente selvaggio, che purtroppo trova spazi per eseguire pratiche barbare in un mondo che diviene sempre più  stregonico; vi si coglie  l’intento celato d’un malvagio, ostinato volere che ha frattanto già assoldato il dissidio. Un dissidio, si ribadisce, non spontaneo ma preparato e lasciato inconsultamente propagare, per cercar d’ imprimere in tal modo sulla banda psichica della società democratizzata, disorientata, succube e preda di facile cattura, la propria oscura zifra, il proprio marchio. E tanto, per reconditi predisposti fini nonché nel tentativo, questo ormai palese, di incidere definitivamente su un tessuto sociale, debole, diviso e logorato sul piano civile, religioso e morale, come abbiamo esposto all’inizio di questo scritto. Maligno volere di decomporre e dissolvere; ma non prevarrà.

   Possiamo considerare questi oscuri accadimenti come un segno di tempi ultimi e cioè di tempi che richiedono un mutamento radicale: una rivoluzione, cioè un ritorno alle patrie origini.

   Qui sotto leggerete per primo un brano di Esiodo che inizia affermando: Il diritto sarà della forza; ed è, questo d’oggi, il momento storico in cui pone il diritto e detta legge il cinico, sprezzante detentore dell’arma nucleare…

 

 

 

LA STIRPE DELL’ETÀ DEL FERRO

 

 

 

IL DRITTO DELLA FORZA SARÀ: LE CITTÀ L’UN DELL’ALTRO

PORRANNO A SACCO: PIÙ LA BONTÀ, L’EQUITÀ, LA PAROLA,

NON AVRAN PREGIO, E STIMA PIUTTOSTO GODRÀ CHI SOVERCHIA…

ADOPRANNO GLI OBLIQUI DISCORSI, FARANNO SPERGIURO…

LINGUA D’INFAMIA, CUORE CHE GODE DEL MALE, OCCHIO D’ODIO…

 

                                                 […] DAGLI UOMINI LUNGI,

GIUSTIZIA E VERECONDIA. FUNESTI DOLORI AI MORTALI

SOL RESTERANNO; E PIÙ NON AVRANNO RIPARO DAI MALI.

                                                                  Esiodo(tr.E.Romagnoli)

 

 

 

                                                                                                                       

 

ODE AI ROMANI

 

 

 

Dei padri i misfatti, certo incolpato,

Espierai, o Romano, finché templi

E altari cadenti non restauri

E le statue inscurite dal fumo.

 

Facendo gloriosi gli dei, imperi,

Ogni principio è loro ed ogni fine:

Negletti, molte pene assegnarono

Alla malavventurata Esperia.

 

Già Monese e le armate di Pacoro

Fransero i nostri sfortunati assalti

Per ben due volte, e sogghignando

Preda aggiungono a modesti monili.

 

Dilacerata da cruda discordia,

Prostrano l’urbe l’Etiope e il Daco,

L’uno nell’armar poderose flotte

L’altro nello scagliar frecce valenti.

 

L’età gravata di colpa inquinò

Le nozze, dappoi i casati e la stirpe,

E tal frode sciagura produsse

Alla patria e al suo popolo.

 

Si scalda ad emulare le mossette

Ioniche la fanciulla in erba e scopre

L’arti per sedurre, e indebiti amori

Già s’immagina nell’acerba età.

 

Cercherà ai conviti del marito

In fretta nuovi amanti, e manco più

Sceglierà, rimossi i lumi, a chi offrirsi

Furtiva per le proibite godute.

 

Accade che, consapevole lo sposo,

Richiesta da un bottegaio s’avanzi

Oppur dall’armator di navi ispano

Munifico acquirente d’ignominie.

 

Non da simili genitori venne

La gioventù che di sangue punico

Tinse il mare e Pirro vinse, il possente

Antiaco disperse e Annibale diro.

 

Ma progenie animosa fu d’agresti

Soldati esercitati a dura gleba

Con sabellica vanga e a spaccar ciocchi

Per fornir di legna l’austera madre,

 

Quando il sole sui monti rovesciava

Le ombre e i bovi affaticati e torpenti

Scioglieva dal giogo e, ultimato il corso,

Qui rimenava le ore del riposo.

 

 A rovina ci precipita il tempo!

Tralignarono i padri e prima gli avi,

Da virtù lungi or siamo gente vile,

Sopravverrà imbarbarita prole.

 

ORAZIO – Odi, L. III,6 – (ns.traduzione)

 

 

 

 

CADUCITÀ   e   PERENNITÀ

 

L’odio sol nume, il lucro unica fede

L’età maligna avea. 

 

Salve, o bel sole che le cose accendi!

                                            M.Rapisardi

 

 

L’approdo degli umani:

commerci abietti! Spinti

dall’ insaziabil lucro

gareggiano in blasfemie

mercanti e adulatori.

Spersi in mondane brighe

non si curan del cielo,

sì dell’umana stirpe

desolata è la via!

Da ineluttabil sorte

piegati a oscuri eventi,

cedevoli o restii,

per tanta ignavia giungono

a dubbie, spoglie mete:

qui, a un adagio mesto,

lì, a un allegro incompiuto;

di note liete  accenni

tra intervalli turbati

da ambizioni luttuose

o selvagge passioni.

Attrattive e avversioni

abbrancano gli umani:

s’avversano e s’acquietano,

tornano a contrastarsi;

sprezzan le sacre insegne

già dai padri giurate,

altre levano in alto,

falsi idoli onorano.

Contese devastanti

fomentano con frode,

con gran protervia ordiscono  

trame che il tempo abrade …

                                                                     

Non rimarrà più traccia

di tal stolta vicenda

quando, oltre il secol buio

e l’osceno progresso

sanguinante di stragi,

età nuova risplenderà. Dal sole

l’antico rege, e una stirpe valente.

 

 

 

La fiorente zifra del mondo
La fiorente zifra del mondo