DISCIPLINA:

 

COERENZA   È   ARMONIA

 

 

   Coerenza è coesione, unione. Un discorso coeso è appunto coerente, cioè non presenta contraddizioni. Coerenza è quindi anche organicità. Il vocabolario spiega la organicità come connessione funzionale delle varie parti di un tutto. L’organico è infatti ciò che è formato da più elementi o parti, coordinate tutte ad uno stesso fine. Un tutto armonico, dunque. Armonia, a sua volta, evoca equilibrio, proporzione, simmetria, accordo, quindi ecco la cohaerentia, che deriva dal verbo latino cohaereo il cui participio passato è cohaesum, ciò che è unito e giocoforza sussiste in sé, perché ha reale fondamento. Ne deriva che l’incoerente è il disomogeneo, il frammentario, il disorganico, mancante quindi di quel caposaldo e altresì di continuità, che sono proprio i presupposti della cohaerentia, nel qui e ora. L’uomo quindi non può difettare di tale requisito che in lui assume il carattere di una virtù imprescindibile. L’uomo incoerente infatti presenta i vizi della discontinuità, della incongruenza, manifestando la disorganicità e la disarmonia. In sintesi, dissociazione.

   Poiché, a nostro avviso, tutto dipende dall’agire umano, l’uomo sano deve naturalmente tendere ad un agire coerente ed a una scrupolosa connessione tra il suo pensiero e il suo agire; in sé tenacemente unito, mai si contraddice, né con le parole né con i fatti. Fermo in sé, deve sempre procedere, anche se con sforzo, nei sani principi. Il suo comportamento non deve mai far di lui un estraneo a sé stesso. Nel mondo antico, e i romani ne erano veri custodi, nel punto in cui si verificava la detta estraneità, per tal franoso cedimento, veniva meno anche ogni nesso, cioè ogni legame, con il costume avito, il Mos, e con le patrie leggi.  Questa sciagura è oggi talmente evidente, e l’incoerenza ha assunto tale diffusione nella società contemporanea, da far cadere nell’oblio l’amor di Patria, principio unificatore, che in uno Stato giusto è il fondamento dell’armonia sociale. Ciò che lega è oggi sempre disatteso; disattese la vera arte, l’amicizia, la solidarietà e le virtù religiose patrie familiari. C’è ancora chi con amore ara il suo campicello?

   Per un ritorno dell’uomo alla suprema virtù della coerenza occorrerebbe ritornare al severo esercizio, davvero salutare, della D I S C I P L I N A.

   Disciplina come costume come arte come scienza come scuola. Disciplina da attuare soprattutto in sé stessi e per sé stessi. Disciplina quindi come governo di sé. I romani vi si assoggettarono, era il loro esercizio quotidiano, di ogni ora, di ogni istante. Presenza continua a sé stessi e ai doveri verso la Famiglia, le Genti, la Religio, la Patria. Mai il romano trascurava sé stesso; tale continuità rinvigoriva la sua coerenza. Questa organicità, minutamente controllata, esaltava nell’uomo quella unitarietà che conduce alla suprema armonia divina; ne godevano la Natura, l’Urbe e il Cosmo intero.

DISCIPLINA   COERENZA   ARMONIA

   Immenso eroico respiro che richiedeva la presenza, nel seno della vivente Natura, degli Dei aviti e, eretto di fronte ad essi, dell’Uomo Vir.

 

 

TENDENZA  ALL’INDIVIDUALISMO

L’indisciplina

 

   L’inclinazione all’esteriorità è innegabilmente connessa ad un male inteso personalismo, che assai facilmente degenera in individualismo. Qui si ha un altro aspetto dell’anima mediterranea, la tendenza, appunto, ad un individualismo anarchico, disordinato, caotico, irrequieto, indisciplinato. E’ l’inclinazione più antiromana che si possa pensare. Politicamente, è essa che, prendendo il sopravvento sulle qualità arie, ha condotto alla rovina le città greche attraverso continue lotte e contese; è essa che ritroviamo nella turbolenza pretoriana della decadenza di Roma imperiale; è essa, infine, che proruppe nell’Italia medievale in particolarismi, scismi, lotte, tradimenti e campanilismi di ogni genere. E se la Rinascenza e l’Umanismo hanno dei lati di splendore innegabili, pure essi hanno anche dei lati d’ombra, connessi appunto a questo individualismo mediterraneo, insofferente di ogni superiore autorità e di ogni legge generale d’ordine, amante il fuoco d’artificio, l’incomposta creatività, la dissipazione di possibilità spesso preziose in posizioni puramente personali. Così, scendendo di piano in piano, trovate la stessa componente “mediterranea” nel tipo “genialoide” contemporaneo, critico ad ogni costo, sempre pronto a dire il contrario, sempre pronto a costituirsi difensore anziché giudice di sé stesso, abilissimo nel trovare il modo di girare un ostacolo o una legge. Ancor più in basso avete la maliziosità, la ruberia, che al tipo in questione vale quasi come al sinonimo di intelligenza (saper far “fesso” l’altro) e come affermazione di sé stesso, laddove per un tipo ario e romano ciò varrebbe solo come degradazione e come rinuncia interna.(J.EVOLA)

 

   Queste magistrali righe di Evola, rintracciabili in un educativo articolo, Stile mediterraneo e carattere ario-romano, pubblicato in giorni ormai lontani (1941), nel mensile CARATTERE, RASSEGNA DEL LAVORO ITALIANO, ci trovano pienamente d’accordo, perché tutt’oggi attualissime. Purtroppo attualissime! Quanti, infatti, sfrontatamente manifestano il loro individualismo anarchico, disordinato, caotico, irrequieto, indisciplinato! E poi, pervicacemente turbolenti, vengono a parlarci di arianità, romanità, pax deorum, mos maiorum, padri antichi, perennità di Roma, addirittura di arcaici luminosi inizi! Turbolenza, pervicacia, presunzione, tutti difetti che giustamente Evola denuncia come l’inclinazione più antiromana che si possa pensare. Presunzione che vuol sempre prevalere, predominare, ma che è semplicemente asservita a colui che noi spesso chiamiamo il Disgregatore. Critici impertinenti, sempre pronti a criticare l’altro, ma soprattutto incapaci di giudicare sé stessi, cioè incapaci di darsi una raddrizzata. Tanto incapaci che sbagliano e di grosso, accrescendo la loro tracotanza; insomma non sanno vivere senza far vanto di sé; non si accorgono i “poveretti” della loro interna rinuncia. Fuochi d’artificio! Eppur trovano seguaci, formano le loro tristi congreghe, loro che pretendono, i pedanti, di fare i distinguo su ciò che è stato, con buon criterio, scritto e affermato da insigni maestri. Non rispettano nulla; sleali, ignorano il sentimento dell’amicizia, che sbarrano sovente con la menzogna o le mezze verità. Offrono il loro impegno, ma son lesti a metter in difficoltà la fidanza di chi è stato sincero con loro. Loro, i diseducatori! Fuochi d’artificio, con strascico mefitico. E il Disgregatore se la ride…

 

E parlano della romanità senza conoscerla

 

   Quel che andiamo dicendo non implica da parte nostra intromissione in litigi, se pur ci sono in corso litigi; non ingerenza, quindi, dato che noi cerchiamo di trarre insegnamento da tutto, soprattutto per il continuo affinamento della nostra istruzione: ars longa… Tanto meno nutriamo alcuna presunzione, per tal motivo non critichiamo mai nessuno, se non sempre e continuamente noi stessi, perché vogliamo tentare di essere irreprensibili; cosa, amici cari, difficilissima! E per tal motivo evitiamo di farcene un cruccio o una ossessione. Rispettiamo tutti e con tutti ci adoperiamo ad esser leali; portiamo rispetto persino al pollaio e ai furiosi litigi che vi avvengono tra i galli per la supremazia; anche se ci viene testé da riflettere e da chiederci: come mai costoro, cioè i galli, da fieri rapaci, quali un tempo dovevano essere stati, si son ridotti polli e cosa ancor peggiore a becchettarsi collerici tra di loro?

   Facciamo un passo indietro circa quanto abbiamo detto sulla severa dura diuturna disciplina romana, non per allontanarci da essa, ma semplicemente per venire incontro ai tempi che han perso in forza, in salute e in bellezza. Trattiamo cioè di quanto è necessariamente preparatorio ad affrontare, attraverso un lungo discepolato, la dura severa disciplina romana. E che se la ridano pure i polli che han scritto sul loro pollaio: QUEL CHE POTETE LEGGERE DA VOI, SFOGLIANDO I VARI FACEBOOK “ROMANPAG”

   E veniamo invece ai benintenzionati…ai diletti taciturni.

  Senza l’educazione, primariamente, e poi l’istruzione, l’uomo non nobilita la sua natura che si guasta e non matura un buon carattere. L’habitus naturae va coltivato, e diligentemente, altrimenti l’indole, l’animo, l’ingegno si corrompono e si rischia di non acquisire mai più quelle qualità che conducono al rispetto dei patri costumi, i mores. Sopravverrà vanità, leggerezza del carattere, un animus infirmus.

   L’istruzione romana tendeva invece a formare un tipo d’uomo che possiamo definire, Vir modestus et costans, un animus firmus. Modestia da modus, cioè misura, moderazione regola limite norma. Lo stato d’animo di chi mai eccede e quindi è in grado di porre limiti, di fissare regole, stabilire norme. Modestia quindi nell’agire, cioè saggezza; modestia nel parlare, sempre onesto, contegnoso. Modestia come scrupolo giuridico e altresì religioso. Modestia uguale moderatio. Moderatio dicendi, nel discutere; moderatio animi, il dominio di se stesso. E così fino ad ottenere il divino governo del mondo: mundi divina moderatio. Cosa non da poco!

   Constantia, costanza, fermezza di carattere, esser coerente con i propri principi, costanza nella virtù, nel valore. Era proprio sempre del romano il costanter ferre, il costanter pugnare.

   Oggi questo tipo d’istruzione è completamente ignorata, perché, per attuarla, occorre severità. Occorrono famiglie serie, occorre una Stato vero con dei valori, il giusto metodo e sicure regole di condotta. Dicevano i confuciani: Insegnare senza severità è una pigrizia del maestro. Infatti, se l’uomo non viene coltivato, aggiungevano, non potrà mai conoscere la rettitudine.

   E per conoscere la rettitudine occorre purificarsi dell’ampollosità, ampollosità che poco si confà a un discorso serio sulla romanità. Sosteneva Evola: “E’ una vera fiera della retorica… ci si riferisce alla romanità per esaltarla con un linguaggio bombastico ed ampolloso, nemico della verità e della realtà, in aperto contrasto con lo stile romano, questo essendo caratterizzato dalla chiarezza, dalla sobrietà, dal guardar ai fatti e dal procedere in azioni efficaci, invece di appagarsi di grandi parole.” Perciò noi dissentiamo dai movimentismi fanatizzanti, dagli annunci enfatizzati di coloro i quali sono lontanissimi dalla moderatio dicendi e dalla moderatio animi e si servono del nome romano solo per i meschini loro interessi di bottega, definiti come sacre congregazioni.

   Noi più semplicemente invitiamo i volenterosi a non lasciarsi suggestionare dall’ illusionismo parolaio; non può sussistere un illusorio romano, perché severa, concreta, dura era, è, la realtà romana. Tentate piuttosto di non abbandonare la posizione che vi ha assegnato la natura, ma di ben coltivarla e con costante impegno. Siate giudiziosi, non eccedete mai, fissatevi una regola; coltivate in voi la modestia, cioè il modus, la misura come disciplina e la disciplina come saggezza. Sia vostra scienza essere Uomini, essere Donne e, nella rettitudine, di non allontanarvi mai da tali privilegiate posizioni, base di partenza per recuperare i valori essenziali che un tempo nutrirono la nostra stirpe. E quando sarete pronti, con modestia e sentimento di grande reverenza e rispetto, apprestatevi a studiare responsabilmente, e senza retorica, con studio assiduo e severo la romanità. Ci sarà ancora qualche fortunato? Se ci sarà, la latinità genuina, la romanità viva potrà ritrovarla solo in sé stesso. E poi, scoprirà il resto. 

 

etsi Harpocrates digito significat, ut taceam
etsi Harpocrates digito significat, ut taceam

 

 

DEL GRAN PARLARE

 

Prezioso l’intelletto

E preziosa è la lingua,

Ma pochi, ed è malaventura,

Ne sono i discreti custodi!

 

La lingua di molti uomini

Salda porta non serra,

Cose e fatti che van taciuti

Con foga in giro diffondono.

Tuttavia meglio è stornare il male,

0nde presto si ravvisi ciò

Cui dedicarsi è bene.

 

da Teognide

 

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L’ A U G E L

 

 

 

Vidi al sorgere dell’Aurora

 

Volare un augello.

 

Non me ne chiedete il nome,

 

Era l’augello dell’Aurora;

 

Non me ne chiedete la specie,

 

Era l’augello dell’Aurora;

 

Non me ne chiedete i colori,

 

Era l’augello dell’Aurora.

 

Vano cercare – e dove? –

 

Quell’alato suggello delle Aurore!

 

 HAC STA

 

   Oggi, 5 luglio, nella nostra valle la giornata è trascorsa in pieno sole e nell’intenso diffuso frinire delle cicale. Qualche bianca nuvola vagante e il ripetuto verso delle tortore, sempre uguale; sono apparsi i primi stormi dei gruccioni, venivano da laggiù, dall’Albula, mentre su, in alto, una poiana ad ali spiegate si lasciava portare dalla corrente verso il nord…

   Il sole al tramonto però si è trovato di fronte ad una barriera di nuvole tempestose; poi, da uno squarcio d’azzurro, ha inviato i suoi raggi tingendo le nuvole d’una varietà di colori. Un lampo, il fulmine e il rombo del tuono, che echeggiano a lungo su tutta la valle. Improvvisi, del tutto inattesi! C’è parso che Giove avesse per un tratto accordato al Sole il lampo il fulmine e il tuono…

   Oggi, giorno festivo nell’antica Roma, giorno delle Feriae Iovi. Si ricordava anche la fuga del Popolo romano durante una guerra contro gli Etruschi a cui seguì, Giove annuente, la rivincita e l’affermazione delle armi romane. Si commemorava in tal giorno anche la scomparsa di Romolo, avvenuta tra il bagliore dei fulmini, il rombo dei tuoni e il popolo in fuga.

   Festività (dei)... Poplifugia! 

  Allorché con la fuga il popolo cerca di sottrarsi a un pericolo oppure, perché preso dal panico, come quando il Popolo romano perse il suo Re, fugge disorientato, quel popolo sarà anche capace poi di riscattarsi e di ritrovare una guida, come avvenne e ci è stato tramandato. Quando invece un popolo non dà più alcun segno di reazione, rimettendosi rassegnato all'altrui dominio, allora quel popolo svilito e svigorito ha nel suo destino ineluttabile la decadenza e l'ignominia.

 

S O L E    T O N A N T E

 

 

PELLEGRINAGGI

 

                                                          La linfa sale dalle radici verso le fronde

 

Oh! State andando alla Montagna Sacra? Allora, fermatevi qui, per un brindisi! Al Bar del Pantheon si brinda con il miglior liquore del mondo. Venite… venite… venite! Ho da mangiare, da bere… ci sono buoni letti, splendidi bagni, magnifiche piscine… Venite! (liberamente riprodotto da “La Montagna Sacra” di A. Jodorowsky).

 

   Tutti oggi fanno i loro pellegrinaggi. Col “tutti” intendiamo coloro che hanno una “fede religiosa”, sempre più generalmente da intendersi nel senso pieno di superstizione; o meglio, coloro cui è stata imposta una fede superstiziosa… Sia essa cristiana, induista, buddista, giainista, spiritista, occultista, marx-leninista, caodaista, sikhista, pagana, wicca, etc. Dissentite? Ma, è così! Tutte le fedi oggi vengono imposte: dalla nascita! Poi con la divulgazione, con i catechismi, con la propaganda… Sì! anche con la propaganda commerciale… ce n’è per tutti… per i cerebrali, per i sentimentali, per gli esaltati, per i depressi, per i caratteri evasivi, per gli allucinati, per i ricercatori di “fedi”. Non c’è fede oggi, sia essa abramitica o non, o addirittura animista o pagana, che non venga accompagnata da tanto o, nei casi più disastrati, anche da un po’ di business. Ma dal grosso al piccolo non c’è differenza, vi opera sempre un miscuglio di incredulità e di misticismo, di salmeggiare e di parodistico, di estetizzare e deformare, di fanatismi e stravaganze. Tutto questo stralunato fermento giunge sempre ad un Bar del Pantheon, trova alloggio prima o poi in qualche bottega gestita da un malioso (o forse, meglio malizioso e avido) Guru: “Venite… venite!

   Una fede superstiziosa - una superstizio - in varie salse per l’intero mondo globalizzato!

 

Voi ch’auribus arrectis auscultate

In lingua etrusca il fremito e il rumore

Dei miei sospiri pieni di stupore

Forse d’intemperantia m’accusate…

 

   Così cantava Camillo Scroffa nei suoi “I cantici di Fidenzio”, e… Voi ch’auribus arrectis auscultate in lingua etrusca il fremito e il rumore di tanto bailamme mistificatorio, vi preghiamo, non accusateci di intemperantia e lasciateci dare sfogo ai nostri sospiri pieni di stupore, tanto per rifarci ancora allo Scroffa, perché a noi nulla cale di tutto ciò.  Piuttosto vorremmo attirare l’attenzione dei desti su l’acerbo lanista, espressione ancora dello Scroffa, cioè l’usuraio o strozzino che campa straziando i cerebri e i nervi dei gonzi, dei creduloni facili da minchionare.

   Tutti oggi fanno pellegrinaggi. Pellegrinaggi a Medjugorje, a Pietrelcina, a Lourdes, ad Assisi, pellegrinaggi hippy a Katmandu, pellegrinaggi sulle orme di Siddhartha… e tanti, tanti altri pellegrinaggi! Pii pellegrinaggi New Age? Business “spiritualisti”? Soprattutto business! E non trascuriamo il neo-paganesimo Wicca e il revival “pagano”. Questo revival “pagano”, moda recentissima, noi preferiamo definirlo “paganismo”. È la moda di sparuti gruppi che invocano, o meglio pretendono di invocare le deità, greche, romane, etrusche, norrene, arie dell’India vedica, celtiche et cetera et cetera… Anche costoro praticano i loro pellegrinaggi… E potrebbero essere allegre feste nei boschi o in montagna, se non fossero funestate da ingannevoli velleitarismi e quindi prive di autenticità; infatti ogni apparato artefatto, quindi non genuino, non forma un organismo vitale, non s’innesta, non si congiunge quindi al GENUS, non confluisce nel legittimo sistema, nella schietta struttura della stirpe. Innanzitutto bisognerebbe conoscer bene la propria origine (la linfa sale dalle radici verso le fronde) e il proprio lignaggio (natura), cioè conoscer meglio sé stessi. Conoscer sé stessi vuol dire dedicarsi sinceramente al superamento del meschino “io” storico, spettro, ombra, che trascina con sé le passioni parassite che rendono inerti e passivi. Significa ancora evocare il Genio dei Padri per rifarsi al Mos, praticarne le virtù e quindi giungere a riconoscere dentro di sé quel paterno Genio. Lavoro duro, di costanza, e di cui abbiamo già sopra parlato. Un “io” eccitato, esaltato persino fanatico, trascinato da hybris, inconcludente sul piano dell’affermazione spirituale, conduce in un vicolo cieco. Gli effetti, infatti, saranno non benefici, innanzitutto per la persona ed anche per chi l’affianca. Sconsideratezza, inavveduto agire, inconseguenza, saranno il prodotto di tal inconsistente, fanatico praticare. Gli ignavi che s’impicciano in tali pastoni ne usciranno unti e bisunti di un appiccicoso idoleggiar sé stessi e un idolatrare le tronfie idee che in loro sono andate ad attecchire. Ci si gonfia di narcisismo, si finisce col girare attorno a sé stessi, come i cani che s’innamorano della propria coda. Vi piace inseguire la vostra immagine esteriore? oggi avete a disposizione il computer e sul suo schermo potete inviarla e moltiplicarla all’infinito con i più stupefacenti ‘selfie’.  Irrigidite il vostro corpo! Duri, sodi gridate dallo schermo: “Nulla mi può fermare, ho attraversato la Montagna Sacra! In meno di un minuto ho attraversato la Montagna Sacra! Ho attraversato la Montagna Sacra orizzontalmente; solo orizzontalmente, ma comunque sono un campione.”  Fantocci, persone che hanno sostituito ad un temprata volontà cariche di fanatismo, di fronte a idoli; sempre dei falsi e bugiardi, seppur sconsideratamente celebrati con nomi altisonanti! Vi state mal costruendo; ribadiamo, per costruire bene bisogna essere innanzitutto buon carpentiere. Se curate meticolosamente solo la parte di voi che dovete esibire all’esterno, l’apparire, e non impegnate tenacemente la vostra volontà e la vostra coerenza ad unificare l’organismo interiore, rimarrete meschini e renderete meschini gli altri. Vi vincolerete ad aspre catene, decreterete per voi un destino da subire. Dovete dare, donare, non rappresentarvi a mo’ di istrioni, gonfi sul palcoscenico del mondo. Perché l’amore vero non si esaurisce. Quanto più dai tanto più ti resta da dare. E se vai ad attingere alla vera fontana, quanto più attingi, tanto più essa è generosa. (Saint-exupéry)

   E così dovete procedere fin quando non avrete raggiunto la perfezione nel donare. Allora non sarete soli in tale perfezione, perché gli dei vi risveglieranno al fervore, che dà e non sottrae mai poiché il fervore non richiede né il possesso né la presenza. Il poema è bello per delle ragioni che non appartengono alla logica poiché d’un altro livello. Il poema è tanto più commovente quanto più grande è la vastità che t’infonde nel cuore (sempre Saint-exupéry). Allora, sì, appariranno gli dei. Ma dipende dal vostro sforzo. Sforzo cardiaco, che non va risparmiato.

   I pellegrinaggi, l’invito al Bar del Pantheon, ai favolosi hotel con ossianici addobbi anche in versione romanesca, e tutto l’altro di cui si è detto non è che la pania, condita in tutte le più svariate salse, per adescare e invischiare i gonzi (intendete la folla degli arroganti “io” storici). Sentite: “Ho fondato un’Accademia dove do premi ogni anno; potrete vincere un trofeo…et cetera”. Esca, sempre più raffinata nei sapori, che vien dalla infame BOTTEGA (son tante ma sempre ‘una’) del sempre poco percepito Disgregatore.

   Abbiam parlato di genus, di lignaggio, di stirpe ed è opportuno conoscere la propria ascendenza, saperla valutare, saperla apprezzare, saper distinguere ciò che in essa è sano da ciò che invece va rettificato. Esaltarsi, portarsi al fanatismo significa aver paura, camuffarsi, non concluder nulla, è da infingardi. Significa abituarsi a frequentare il Bar del Pantheon, come rappresentato dal visionario Jodorowsky, ed esser clienti del sunnominato Disgregatore. Duemila e più anni d’influenza asiatica mediorientale sui nostri territori e sulle nostre genti non possono essere con superficialità trascurati. È un lavoro culturale di grande mole e richiede grande impegno e sacrificio; bisogna aggiungere che il tempo urge!

   Tanto peregrinare, tanto errare vien da lontano. Occorre però ben distinguere. Il PEREGER, colui che erra, è il peregrinus cioè il forestiero che percorre terre straniere. Colui che non ha patria in sé, perché non ha un ubi consistam, è forestiero, externus a sé stesso. Chi va in cerca dell’esteriorità difficilmente si conoscerà; sarà incapace a possedere la propria interiorità, l’ancestralità.  Il suo vagare diventerà un trafficare; le merci, il denaro saranno la sua compagnia e in tal compagnia riverserà tutto sé stesso. Questo tipo umano allignò fin da remota antichità nelle terre d’Asia. Dal medio-oriente, in tempi precedenti la fondazione di Roma, giunsero sulle nostre terre popolazioni dalla Lidia fortemente asiatizzate, con inclinazione ai commerci e all’accumulo di ricchezze e al lusso; tal deleteria cultura estesero su molte regioni della penisola. Giunsero anche popolazioni dalla Grecia, che aveva perso il suo laconico splendore originario portato dagli Achei e dai Dori, e inclinava ormai alla sontuosità d’una cultura fenicio-siriaca. Questi apporti culturali s’accompagnavano sempre ai traffici commerciali. L’attenzione delle genti si spostava sempre più verso l’esteriorità; il PEREGER, lo sradicato, era divenuto purtroppo il modello da imitare.

   Questo mondo crepuscolare, già moderno, però dovette fare i conti con altro tipo d’uomo. Un Uomo che aveva viaggiato, che aveva percorso un lungo cammino portando con sé solamente il viaticus, la provvista necessaria per il suo viaggio, il proprio, l’essenziale. Non era un’errante, aveva tutto con sé ed una direzione precisa; egli compiva un cammino, un percorso, un iter. Egli aveva anche un compito, doveva adempierlo. Doveva riportare la Luce iperborea nell’ombelico del mondo, affinché da quel umbilicus terrarum si diffondesse dappertutto tra le genti. Era guida, sacerdote, sciamano, guerriero, edificatore, allevatore; riprendeva in sé le tre funzioni. Doveva essere l'iniziatore (in-itus) d'un nuovo tempo. Iter, itineris, viaggio, cammino; eo, is, ii, itum, ire, andare, camminare, venire, giungere; dalla radice indoeuropea I, IT – il cammino, la direzione… Italus, ItaliaItali 

   Poi sarà Alba Longa, una lunga lunga alba di luce da cui verrà Roma.

   Smettetela di scherzare, guadagnate serietà, conseguite saggezza! E chi è seriamente intenzionato a riprendere quel luminoso cammino, per il ritorno di una lunga alba di Luce per le Genti Italiche, si faccia avanti con coraggio, dismetta la prosopopea dei pedanti e ne diserti le BOTTEGHE; occorre operare con consapevolezza e coerenza affinché si manifesti una profonda, universa μετάνοια, a por fine alla imperversante superstitio, la credenza vana e idolatra che i Romani aborrivano.

   Guardatevi dai maliardi che tentano di far delle loro botteghe piccole chiese al servizio del Disgregatore, patrono di tutte le piccole e grandi parrocchie, padrone del grande Bar del Pantheon, la bottega degli dei falsi e bugiardi. Guardatevi dai saccenti che supportano il vecchiume, il ristagno, con la loro pedanteria, e irresponsabilmente lascian pascere le larve frenando il vitale movimento; essi tergiversano attenendosi strettamente alle loro dogmatiche e ai loro pregiudizi, vecchie trame, vecchi schemi in cui tutto e tutti ingabbiano; quei pregiudizi poi irrigidiscono e venerano a mo’ di idoli, contribuendo al dilatarsi della desertificante superstitio; così subdolamente alimentano nei giovani il narcisismo, fornendo loro vieti argomenti li tengono in catene. Una gioventù irrigidita, mossa solo da ostinazione priva di fondamento, è triste spettacolo. L’ostinatezza si lega sempre alla perfidia, alla mancanza di fides, la slealtà. Ma, per fortuna, e anche qui si tratta d‘intendersi, la pedanteria anche se truffaldina si sbaraglia con lo sberleffo:

 

Et se ignoto ci fosse che l’adagio

Dice ch’il marmo e ogn’aspra cote rigida

Fracta riman da diuturna gutula,

 

davvero non ci sarebbe più da sperare. Ma noi riteniamo che con diuturna gutula, gutula dopo gutula, si riesca ad ammorbidire la vostra cote rigida e tale ammorbidimento (un atteggiamento perspicace), cominciando a manifestarsi nella migliore schietta gioventù italica,disorienti i pervicaci pedanti, ne annienti la vanità, la cupa slealtà da trafficanti, e si avvii la disfatta del Disgregatore con la fine della insana superstitio.E’ questo il motivo per cui abbiamo invocato l’aiuto della letteratura pedantesca e l’estro del vicentino Camillo Scroffa.