MAGICA PUERIZIA 

 

 

INDICE

 

VIAGGIO ALLA TERRA DELLE FATE – SATURNIA DIVIA – LA CHIOCCIOLA – FATAGIONE ESTIVA – IL RISVEGLIO DELLA TESTUGGINE – IL BECCHIME – VELE – FILASTROCCA SPENSIERATA – NEL VENTO – VENTO MAGOLO – SOGNO CANTONALE – LA CERCA – I SETTE NANI – C’ERA UNA VOLTA – FAIR PLAY – LUNARE CON BRIO – IL RE DEI SAURI – LA BALLATA DI MAITRE RAR-È – TORNA IL VERMIGLIO AI PRATI – A PRIMAVERA – IL TESTAMENTO DELL’ORSO – BALLATA DELLA CHIOCCIOLA STOLTA

 

 

 

AI FANCIULLI D'ITALIA

 

E A CHI AMA

 

LA FANCIULLEZZA DEL MONDO

 

 

 

 

VIAGGIO ALLA TERRA DELLE FATE

  

 

Vogliamo richiamare

la terra delle fate?

Via con armi e bagagli

nel magico paese!

 

La gente si mette a ridere.

Oh! dove vogliono andare

quei quattro smaniosi?

Oggi perfino i fanciulli

alle fate non credono più.

 

O gente, a te che importa?

Gira tu in Rolls-Royce,

viaggia tu by air…

Per una scarrozzata

nel paese incantato,

a bordo d’un calesse

uscito da una zucca

bello ed equipaggiato,

e infin, mirate ancora!,

trainato da sorcetti

a un cenno delle fate

in cavalli mutati,

abbandoniamo il mondo

corroso dall’usura,

corrotto dal denaro!

 

Scansiamo lotterie,

banche, profitti e consumi!

Via, magici ronzini,

partiamo! Orsù, entriamo

alla svelta e senza rimpianti

nel reame fatato!

HAC STAT

mamma lupa e il suo bel lupacchiotto
mamma lupa e il suo bel lupacchiotto

 

 

IL VAGITO DELL’AURORA

 

SATURNIA  DIVIA

 

         All'Italia, rinascente Aurora!

 

   Sull’erboso prato una bianca mucca

rumava lenta la grassa pastura,

le poppe piene di tepido latte;

stava al fianco della madre il vitello

pezzato di tinte forti, rubesto.

Repente echeggiò dalle fonde gorghe

il mugghio, nell’antelucano albore,

e richiamò dei desti augelli il canto.

Vagitano, il Genio fanciullo, attento

alle sferiche voci dei primordi,

mostrandosi tra timidi caprioli,

disse a sé stesso: “All’erta giovanetto!

E poi, l’orizzonte scrutando,

Presto, al primo schiarir dell’alba,

risuonerà in questi queti spazi

il carro sfolgorante dell’Aurora!

E da lì, con misurati saltelli,

s’avviò verso la novella cuna

che nella crocea fibra è sculta.

Balenò d’auroral luce l’oriente,

s’udì del nascente mondo il vagito.

 

   Né trascurò una latina culla,

non obliò l’aurorale Genio

il soave vagito, cui sedule

Alemonia e Caelestis, altrici dee

inghirlandate di leggiadre rose,

dei fulgidi astri largivan le doti.

Venne l’alma Cerere,

e venne la venusta Dea

e la glauca Vergine, la Minerva

guerriera; e, vanto del canto, Carmenta

con il colto corteo dell’auree Muse.

Accorse lesta Cunina alla culla,

lei di teneri amplessi generosa;

Potina, perché non tardasse il primo

dei nutrimenti, il rugiadoso latte;

premurosa Educa, l’educazione

a venir su e a formarsi alla vita.

E Nundina ai parenti le sillabe

del nome suggerì, Saturnia Divia.

Presso la dolce culla or Fabulino

canterella le favole del mondo,

quelle più belle e antiche,

e  la e la e la, e lalla  lalla…

Già Senzia con profumi,

gai suoni e aure liete,

culti sensi propizia,

ché Statulino già s’appressa, e dice:

Sta’ ritta sui tuoi piedini, o Divia,

 avanza con passo pronto e sicuro,

pargola, sull’elette e d’ogni fiore

adorne rive della Patria antica;

va’, tu, da sempre nostra e nova Aurora!”.

 

 

 

gli orsetti si esercitano al pugilato
gli orsetti si esercitano al pugilato

hac stat

  

LA CHIOCCIOLA

 

La chiocciola dormiva

rinchiusa nella sua conchiglia.

 

Ancora s’era vista

sull’orlo della fontanella

durante le ultime piogge d’aprile.

Andava a tentoni

muovendo in giro

circospetta le corna,

specchiando malinconica

nei globi piccini

il piovoso cielo d’aprile.

Poi s’era nascosta, ché il sole

cominciava a scottare.

Ora qui, incollato al muricciolo,

c’è un guscio vuoto.

Ma, dov’è andata la chiocciola?

 

Ricomparirà di certo, vedrai,

sui tappeti di verdura

inumiditi dalle prime

piogge di settembre.

La vedrai lemme lemme andare

muovendo in giro

con flemma le corna,

specchiando nei globi piccini

i piovosi ciel settembrini.

 

 

IL RISVEGLIO DELLA TESTUGGINE

  La tartaruga

ha messo fuori

il suo capino di rettile.

Immobile,

 con gli occhiucci annebbiati,

se ne sta lì,

tutta intontita.  

 

Chi la destò dal duro,

ottuso sonno?

Infatti, piombata in letargo,

interrata nel carapace,

l’avresti confusa coi sassi!

 

Di certo fu l’invito

della primavera,

ma di più il caldo

raggio del sole.

Oggi, che si è ridesta,

ha fame e morde

e rimorde l’erbetta

con il rostro vorace.

 

Mentre attonito guardo

la famelica cosa,

un dubbio mi assale.

Ah!, se d’un tratto

si scuotesse dal sonno

la moltitudine dei sassi?

 

 

IL BECCHIME

 

 

Il merlo, preso alloggio in cima a un tiglio,

fischiava al suo vicino un pio consiglio: 

“Laggiù nel bosco ripresa è la caccia,

beccato hanno stamane la beccaccia…

Qui l’orto, invece, ancor serba il lombrico

e appresso alla ciliegia becchi il fico!

 

Ma, mentre ciò il merlo esponeva,

la motosega il tiglio abbatteva.

 

 

V E L E

 

 

Spiega la notte le ali sul mare.

Un’ombra passa,

forse... un veliero?

Come la notte brune ha le vele.

Un veliero!...Un veliero

perduto nel buio

che nella stiva

indicibili cela cupi misteri?

Un fantasma è il capitano,

un fantasma il secondo,

fantasmi i mozzi e i marinai.

Ciurma inquieta alloggia

sulla randagia nave!

 

Appena l’alba rischiara il mare

e sfolgora l’aurora,

al sol che sorge

appare il veliero.

Come la luce bianche ha le vele.

A bordo c’è il capitano,

col capitano il timoniere

e l’equipaggio ligio al dovere.

Sul cassero garrisce

allegra la bandiera,

solca sicuro l’onda

il nobile veliero.

 

 

Come il viaggio di un veliero... la vita!

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Filastrocca spensierata

 

 

Or via, su, non pensare!

Sì, spensierati è bello,

ché spensierato è il fiore,

spensierato il fringuello!

Se t’ appaion pensosi

il corvo e il gufo,

sappi è la notte

che li finge tali.

Così, assorto

è il volto della luna;

ma se nel buio

tu  saprai sognare,

scaccerà il corvo

i suoi tristi pensieri,

il gufo muterà

il contegno grave,

sorriderà la luna fra le stelle.

hac stat

 

N E L   V E N T O

 

Il vento mi ha insegnato

quest’oggi  la buona creanza!

Sopraggiungendo improvviso

spirava vigoroso,

un tantin burbanzoso…

Poiché io spavaldo villano

 continuavo a calcarmi

sul capo il berretto, d’un soffio

se l’è portato via…

 

E, quando passa il vento,

toglietevi il cappello!

 

  

VENTO MAGOLO

 

 

  Allor che aleggia il vento

 sul paese incantato,

 in terra delle fate,

 toglietevi il cappello!

 

 

E quando il vento sferza

 le torri del maniero,

 nel borgo delle fate,

 toglietevi il cappello!

 

 

E quando il vento spira

  fra l’erbetta fiorita

 sui prati delle fate,

 toglietevi il cappello!

 

 

  Se crucciato ei confida

 all'orfane sorgive

 di rimpianger le fate, 

 lor novellar gentile,

 

 

per cui, gonfie le gote,

 le ance del canneto

 raccorda ai dì fatati,

 toglietevi il cappello! 

 

 

Ed or che il vento preme

 e il bosco freme e danza

 chinate breve il capo,

 cavatevi il cappello!

 

 

Son tornate le fate!

 Non è poi stravaganza

 se son davver tornate.

 Su, scappellate il vento,

 riverite le fate!

 

HAC STAT

 

  SOGNO CANTONALE

 

Un’occhicerulea coda di pavone

faceva spicco nella vetrina

dell’OCCHIALERIA.

Dietro il bancone sedeva

indolente l’occhialaio,

con occhiuto cipiglio

nella violacea piega

delle occhiaie!

Gelida e pettoruta

si mostrò l’occhialaia

e con stizza fece gli occhiacci.

Un’occhiata veloce

e lesto me la filai,

giù per la via del filatoio…

Saltai su un filobus

e vi smarii gli occhiali!

 

Ciò una notte sognai

in un Hôtel d’un cantone elvetico,

dopo una cena a base di groviera

    e torta al cioccolato,

                                                                decorata a coda di pavone.

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LA CERCA

 

Chi dice bello è sognare,

desiar piacevoli cose,

altri soprattutto viaggiare...

Dei dotti ascoltar le opinioni,

del poeta emulare il canto?

Ma, fra tutto, meglio è cercare!

 

Cercare sui monti

non solito un fiore,

poi, tra siepi selvagge,

il maggiolino

e il pettirosso scovare…

E laggiù, in fondo ai campi,

la formichetta, ove tra sparse

granelle qua e là s’affaccenda…

 

Anche per lei il sole

ha fuso in oro il grano.

 

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 I SETTE NANI 

 

Tornan dalla miniera i sette nani,

sotto i panciotti un cuor, contento,

le giubbe a righe gonfie nel vento.

 

Tornan dalla miniera i sette nani,

calzari fiammanti e a fibbie d’oro,

berretti portano di gran decoro.

 

Tornan dalla miniera i sette nani,

zeppe le sacche d’oro e d’argento

e sul berretto la piuma al vento.

 

Tornan dalla miniera i sette nani,

con il sussiego dei gran castaldi

marciano fieri , fieri e spavaldi.

 

Nel cuor del bosco

che bel giardino!

Nel cuor del bosco

e sotto un pino

dei sette nani

vi è la casetta.

Son sette vani

e un salottino,

là, Biancaneve

i nani aspetta.

 

E quando il bosco

la neve imbianca,

allegro fuma,

fuma il camino.

C'ERA UNA VOLTA

 

C’era una volta

un bosco incantato

ed in quel bosco

c’eran davvero

quei sette nani.

Non è un mistero!

 

Quando la neve il bosco imbiancava

e sul tettuccio fumava il camino,

i nani, indossati

verdastri blusotti,

calzati sul capo

i noti scuffiotti,

gustavano allegri

il tè coi biscotti.

Quando la neve il bosco imbiancava

e sul tettuccio il camino fumava!

 

Non è un mistero

che oggi ancora,

sempre in quel bosco,

sorge un villino

con sette nani

in peperino.

Là, Biancaneve

il volto in cotto,

di ceramica il musino,

le gote rosse

gonfie di vento,

suona ai sette l’ottavino.

 

C’era una volta un bosco incantato…

 

Oggi in quel bosco  sorge un villino

e tutt’intorno un muricciolo

con sette nani in peperino

e Biancaneve in terracotta.

 

 

 

F A I R    P L A Y

 

Tal caso mi fu confidato da un ladro di professione

talmente destro che sfuggì ogni volta alla legge.

 

 

In pieno giorno,

con il plauso della folla,

un cane poliziotto m’inseguiva

per aver semplicemente,

e in sogno, furato una gallina!

Gli dissi: “Mi rincorri

per sì misera cosa, il maldestro

 furto  d’una pollastra vaga?”

“Non io, la legge!”, mi rispose il cane,

“Io punto solo a riprendere il pollo”.

 

Il caso si concluse

col ladro in gattabuia

e il cane a degustare,

in sogno, la gallina.

 

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LUNARE CON BRIO

 

 

Oh, quanto è buffa

 la luna piena!

 

A me non piace la luna

quando tronfia occupa il cielo;

ma se,sperduta sul vasto orizzonte,

somiglia a un paiolo di rame,

a una piccola cuna d’oro,

a una pianella a punta d’argento,

a un leprotto cavato

dal cilindro del cielo,

a una talpa dorata

che la notte fonda trafora,

alla vela d’una paranza

portata via dal vento

o ad un pesce lucerna,

sia pure a una tinca verdastra

in un pallido stagno,

allora, sì, graziosa

è invero la luna!

Si, davvero leggiadra

a me appare la luna!

 

Quanto sei buffa,

o luna piena!

Ma se, specchiandoti

in mezzo al mare,

tu mi rammenti

il pesce luna,

allor, seppur buffa,

piacevol sei, luna!

 

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SMILODONTE
SMILODONTE

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POLACANTO POLACANTO

 

IL RE DEI SAURI

 

(sfogliando l’albo dei dinosauri)

 

 

 

   Ai tempi del Polacanto,

quando le felci giganti

coprivano tutta la Terra,

nell’incomoda Era                                               

dei rettili sapienti

adagiati in lunghi riposi

nell’ombra d’alti equiseti,

io, intento ad arcaici giochi

sul confine della foresta,

affilavo i giovani artigli

ai tronchi del lepidodendro.

Più in là, il Mamenchisauro,

astrologo dal lunghissimo collo,

scrutava il triassico cielo

d’afosi nembi ricolmo.

Dal nulla emerso, un Sauro

grave e maestoso a vedersi 

per l’impervia cornea corona,

mi colpì d’una segreta paura  

che d’un balzo…fuggii

alla volta del Montenevoso.

Laggiù era il mio nascondiglio,

ai piedi dell’albo monte,

nella caverna malfamata

che il popolo della foresta

chiamava l’Antro assassino.

Tal era il nome dell’antro

perché vi abitava mia madre,

lo Smilodonte,

la grossa tigre dai denti a sciabola,

che in tutto il regno animale

non aveva ovunque rivali!

E fu lo Stiracosauro

la cagione di tanto spavento.

Oh, lo Stiracosauro

il più mite vivente!

Solo di fieno si nutriva, d’erba

se ben di  terribile aspetto

fosse, quel Signore dei Sauri

e delle prodigiose lucertole 

che le fonde paludi abitavano!

 

MAMENCHISAURO
MAMENCHISAURO
PTEROSAURO PTEROSAURO

  

Ai tempi dei Draghi volanti,

sugli smisurati altipiani 

e sulle afose praterie

di grassa erba nutrite,

dove, pedante vegetariano,

filosofando pascolava

il Diplodoco,

con degno scettro regnava

quel Re dalla rude, salda corona.  

È saggio accogliere

di Giove l’avviso,

che regni qui, sulle terrene sorti,

una maestà nuda e clemente,

che incuta sempre timore ai malvagi,

altrimenti lo Smilodonte,

l’imponente tigre assassina,

svuoterebbe la terra intera.

 

DIPLODOCO DIPLODOCO

   Oggi, che quella brava madre

(colava dolce il suo latte

sulla mia tenera lingua!)

sotto l’alta erba è sepolta,

là dove sbocciano fiori

odorosi tra i più lieti colori,

redento mi son d’ogni paura,  

perché sono io lo Smilodonte,

la tigre dai denti a sciabola,

e tuttora la cieca caverna

sotto l’alta Montagna nevosa,

dove da sempre dimoro,

è una caverna malfamata

e il suo nome è l’Antro assassino.

 

STIRACOSAURO
STIRACOSAURO

 

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LA BALLATA DI MAÎTRE RAR-È

 

 

 

 

   Il y avait une fois un petit gnome,

che si chiamava maître Rar-è.

En ce temps - là che Berta filava,

maître Rar-è sa pipe fumava;

et lorsque un jour Berte s’évanoui,

tout à coup aussi Rar-è sparì.

Ah, que le bon vieux temps est passé!

 

   

 

 

 Il y avait une fois un petit gnome,

che si chiamava maître Rar-è.

El era amigo de uno viejo gufo

che di vivir ahora era stufo;

et lorsque le vieux hibou morì

maître Rar-è l’ensevelì!

Ah, que le bon vieux temps est passé!

 

  

 

 Il y avait une fois un petit gnome,

che si chiamava maître Rar-è.

Egli era amico di una marmotta,

che soffriva di tigna e di gotta;

e quando la piaga quella affliggeva

maître Rar-è beaucoup piangeva.

Ah, que le bon vieux temps est passé!

 

  

 

 

 Il y avait une fois un petit gnome,

che si chiamava maître Rar-è.

Il etait ami d’un corvo intrigante

che indossava un tàit elegante

e quando al cuervo el cibo mancava

maître Rar-è lo consolava.

Ah, que le bon vieux temps est passé!

 

   

   Il y avait une fois un petit gnome,

che si chiamava maître Rar-è.

Amico era de uno ensayo serpiente

che abitava la playa caliente;

comme celui-là mudaba la pelle

maître Rar-è guarniva le selle.

Ah, que le bon vieux temps est passé!

   

 

Il y avait une fois un petit gnome,

che si chiamava maître Rar-è.

El era amigo de mucha gente,

aficionada al non far niente;

e mentre quella neente faceva

maître Rar-è al fresco sedeva.

Ah, que le bon vieux temps est passé!

 

 

 

 

 Il y avait une fois un petit gnome,

che si chiamava maître Rar-è.

Oggi, se giri tutte le terre,

di quel tal tale non trovi una erre,

mentre la serpe ancor muta pelle

et tout les ânes portent les selles.

Ah, que le bon vieux temps est passé!

 

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dddd

 

 

 

 

Dov’è, dov’è quel fiore?

 

 

 

Fiore di lupinella,

 

smorto il tuo colore

 

brilla lassù la stella,

 

o fior di lupinella!

 

Nell’ ombre della sera

 

il barbagianni avventa

 

l’ala austera, soffusa

 

del lunare pallore.

 

Ora, dov’è quel fiore?

 

Chi, il seme ne ghermì?

 

Vivace fior dei campi,

 

fiore di lupinella,

 

suggevi la rugiada,

 

ora è in ciel la stella!

 

Qui, costeggiano il buio

 

scialbe ali. E tu, fiore?

 

Dove sei, gentil fiore?

 

Scomparirà la stella,

 

riprendi il bel colore,

 

ché l’astro in sul mattino

 

s’affaccia a l’orizzonte!

 

S’avvia il mondo, un émpito

 

di vermigli colori,

 

torna ai tuoi prati, o fiore,

 

già pur del falco l’ala

 

ha piumaggio d’aurora!

 

 

 

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A PRIMAVERA...  

 

 

 

LUCERTOLE 

 

Guizzi... guizzi sui prati

e sulle vecchie mura...

Ah, che grato tepore!

Di qua di là di su di giù

chi schizza... fuor dai buchi?

 

Lucertole...lucertole...

 

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In fila

 

Vanno

su e giù

le formichette,

su e giù

su e giù

in lunghe

lunghissime

continue

interminabili

file...

Scomparvero d’acchito

nella nebbia dell’autunno.

Hanno dormito.

A lungo hanno dormito!

E oggi hanno voglia di fare.

Vanno

su e giù

ostinate,

su e giù

dappertutto sui prati.

Ah, che voglia di sfaccendare!

Davvero un gran daffare...

Di continuo

su e giù ,

su e giù

in composte

lunghe

lunghissime

continue

interminabili

file...

IL TESTAMENTO DELL’ORSO

  

Eccomi!...Sono l’orso

e scorro la brughiera…

Tutto mi godo il bosco,

ma trovo gran piacere

giù nella tana fonda

quando giunge la neve;

quando la neve appare

a diradar le bacche,

a macerar le fronde,

a celare i sentieri.

Poi, quando si discioglie

il manto raggelato

e la mammola spunta

fra l’erba primaticcia,

dalla spelonca buia

ritorno su alla luce

e sporgo il muso al sole!

Sorseggio la rugiada

dalla foglia del faggio,

la rossa bacca spicco

dallo spinoso rovo…

 

Seguimi!... Sono l’orso

ed amo il miele d’oro…

Mi punge l’ape bionda

quando goloso il favo

furtivamente involo.

Del bosco e la brughiera

intendo gli echi e i suoni

quando s’alza la bruma,

ma al fioccar delle nevi

cerco l’antro più cheto

mentre gela il sentiero…

 

Guardami!...Sono l’orso

e scorsi la brughiera…

Fattomi vecchio e stanco,

con le labbra rugose

lambisco la rugiada

dalla foglia più larga,

poi con l’estremo graffio

del dispettoso rovo

stacco l’ultima bacca.

Congedo i miei pensieri

nell’azzurro dei cieli,

saluto i bei sentieri

e giù, nella caverna,

vo incontro alla morte.

Si, giù, proprio giù in fondo,

a rovistar gli scrigni

strapieni di tesori…

 

D’un colpo allor si scioglie

dal fitto buio la grotta!

Rivedo il sol, le stelle,

cammino senza peso

sui lucenti sentieri,

m’ondeggia intorno l’erba

che più non sfiora il gelo.

 

Ballata della chiocciola stolta

 

 

Questa è la storia del merlo che aveva preso stanza sul mio balcone 

e, profittando della difficoltà in cui si trovava  la chiocciola sprovveduta,

le tenne discorso per giustificare la propria ingordigia.

                                                                                                   l’autore  

 

 

   S’annuncia il tuono,

ma di pioggia goccia non cade …

Oh, che ci fai tu, chiocciolina,

con le corna linde, sgusciate

sul cornicione, al secco,

del mio caro balcone?

Or, così nuda, sulla terra asciutta

davvero azzardi di rischiarla brutta!

O chiocciolina,

non sprecare la bava

ch’avesti in dote dalla tua ava!

A passeggio lungo la roggia,

o piova alfine o pur non piova,

per te è lieta festa uscir dal guscio,

puntar su al cielo i cornini occhiuti

e sciando il rombo invocar del tuono

che invia la pioggia con giovial frastuono!

Orsù, ti prego, non sprecar la bava

ch’avesti in dote dalla tua ava! 

Diceva questo il merlo affamato

ad una chiocciola assetata;

poi, messo il rimorso a tacere,

pronto e lesto il becco vorace,

d’un colpo l’incauta ingollò!

 

   Il tuono romba, tarda la pioggia,

il merlo canta, e or lungo la roggia,

issati i cornini, la chiocciolina

la bava fila,

nel molle limo scivola … scivola …

 

   In natura non c'è vicenda dolorosa, non vi si svolge dramma. La "vittima" (vitto) ricompare al tempo giusto, cioè favorevole, e nel luogo più appropriato, cioè a lei stessa vantaggioso, sana ed integra. Solo l'inettitudine è sempre fatale; nell'uomo, aggiungi la sventatezza e la dissennatezza.