LA  FRECCIA  E  LA  FOLGORE

 

dell’arco, invero, il nome è vita, ma l’opera è morte

eraclito

 

 

 

 

Quest’uccello d’ebano,

con la grave e severa dignità del suo aspetto...

quest’uccello d’altri tempi...

 

 ... sperantemque sibi non falsae praemia linguae

inter aves albas vetuit consistere corvum.

                                                       Ovidio, met.II, 631/32

 

   Si racconta che Apollo s’innamorò di Coronide, figlia di Flegias della Tessaglia, e la fece sua; ma Coronide conosciuto Ischi, pur pregna del dio, andò ad abitare con lui. Il corvo, senza alcun riguardo, riferì la notizia, svelò al dio A-letheia, la verità, e quindi s’attendeva il premio che spetta alle non falsae linguae. Apollo con una freccia uccise Coronide, poi mentre la fanciulla bruciava sulla pira, tirò fuori dalle fiamme Asclepio, suo figlio, e lo affidò al centauro Chirone affinché lo istruisse nell’arte medica. Infine, da bianco che era, fece diventare nero il corvo: inter aves albas vetuit consistere corvum. Asclepio divenne un medico tanto valente  da resuscitare a volte addirittura persone già morte. Mitografi antichi e vati hanno tramandato questa muta storia e hanno reso noi edotti della metamorfosi del corvo. Il suo becco robusto, volontà e previdenza; l’occhio sveglio che penetra le cose, la vigilanza. Memore e pensativo augello, enigmaticamente saggio, dal linguaggio pungente e arguto, alato messaggiero dell’ignoto: orsù! agĭte! Ricordiamo che quest’uccello d’altri tempi, il corvo, simboleggiava il passaggio dall’ignoranza alla conoscenza; sì! in quei tempi tanto addietro, vale a dire ai tempi di Ischi, il seduttore, ucciso da una folgore di Giove. Voi dite, ma tutto ciò è inesplicabile, se non persino invalicabili tante antinomie e discordanze; ebbene, fatevi prestare dal corvo il suo occhio sveglio e munitevi d’un becco robusto, un becco di coracide, e osate... ma prudenti, tendete l’orecchio al suo gracchìo...

 

   Dalla radice i.e. KAS = risplendere, deriva il lat. canus,a,um,agg., = bianco, biancheggiante, argenteo, canuto, e il verbo canesco,is,canui,ĕre = diventar bianco, incanutire. Avete più sentito pronunciare l’aggettivo “canuto”, il verbo “incanutire”, l’espressione “l’età canuta?”, un verso come quello famoso del Tasso: “Canuto senno e cor virile ascondi”? No! perché nulla più quaggiù risplende di canuto e virile. Maledetta democrazia qui importata a suon di bombe e menzogne! Guai a pronunciare il termine canuto, a parlare d’età canuta! Nulla più risplende quaggiù, di canuti in giro ce ne son pochi, derelitti e spregiati; l’età canuta, grave e posata, non è più di moda; quando non è calvizie, son parrucchini oppur tinture... a ottanta, a novantanni, pur nella bara! Splendor nessuno, fosche capigliature, nigerrima coma e una barba irsuta e nera, nigra, nigra...  E crocida il corvo... er ca cai mán... er dra co... er dra co...

 

*

    J.G. Frazer, nel Ramo d’0ro, trattando della magia simpatica, menziona un fantastico espediente e narra: “Gli antichi Greci ritenevano che applicando uova di corvo avrebbero reso il nero corvino alle teste canute, chi però ricorreva a questo rimedio per nascondere i danni dell’età, doveva stare molto attento e tenere la bocca piena di olio durante l’applicazione delle uova alla sua ragguardevole chioma, altrimenti anche i denti sarebbero diventati neri e non sarebbero mai più tornati ad essere bianchi per quanto ci si adoperasse a sfregarli e lucidarli. Trattavasi davvero d’una tintura troppo potente, più funzionale del desiderato!”.

 

  Lasciamo alla riflessione dell’intelligente lettore, occhio sveglio e becco di coracide, il comprendere pienamente il tutto.

 

  23 settembre 2022, Veneris dies – Aequinoctium autumnale

 

 

 

CONVERSAZIONE EQUINOZIALE

 

Nel sole settembrino

Dardeggiante la loggia,

Scambiamo parole serene

Sotto ai tralci lenti del gelsomino.

L’elusivo volo d’un corvo

Sfiora il parapetto abbellito

Dai vasi di geranio,

E la provocante ghignata,

Proprio da osèl del contado,

Distrae dal terrestre l’attenzione,

La proietta nel ciel, nel cupo azzurro.

Ed era l’ora ligia, equinoziale!

E, a lei, silvana ala scontrosa,

Sacre ad Apollo l’ebanine piume,

Toccò sdrammatizzar l’ora lucente!

L’ora voluta greve e affranta

Dai teisti democratizzatori,

Che, con gli ammiccamenti

Dei media e di tivù, quei gabbamondo,

Spalmano il vischio sui cervelli!

L’autunno già s’accinge

Alla demuscazione,

Ercole ipoctono a distruggere

I vermini che rodono le vigne,

Mentre il Tristo che depredò l’estate

Propaga tra la gente la sua noia,

Insiste con il suo spleen.

Prepara desolati giorni,

Disseminando di maligne peste

La dura guazza dell’inverno!

 

A noi non appartiene l’impoetico,

Proseguiamo nei nostri conversari.

Voci schiette e sonore

Nel giorno equinoziale,

Augurato dall’ala arguta,

Severa nel nero  ebano e lucente,

Dell’apollineo augello.

Heus! Phoebeius ales!

 

 

BUON EQUINOZIO E SERENO AUTUNNO NELLA TUA NERA GROTTA, POPOLO D’ITALIA!

 

ASCOLTA IL BATTITO DELL’ALA DELL’UCCELLO DI FEBO CHE ANNUNCIA LA CATARSI

 

IL RITORNO!